Anita e Federico sono giovanissimi, eppure – con il loro disco di esordio, L’universo si arrende a chi è calmo, un concerto di apertura ai Marlene Kuntz e un tour in alcuni importanti locali del nord Italia – hanno già dimostrato di avere qualcosa da dire e soprattutto da suonare, aggiudicandosi un posto tra i finalisti di Musicultura con il brano Guai. Lui è riflessivo e meticoloso; lei precipitosa e impulsiva. Si conoscono nei corridoi di scuola e capiscono subito di avere un desiderio comune: fare musica. Nasce così un sodalizio artistico che porta il nome di The Snookers e che li spinge a chiudersi in studio per sperimentare, ascoltare, registrare, trovare un’identità che ora è tutta racchiusa nel primo disco. «Mi annoia la gente tranquilla, io la voglio vedere urlare», scrivono in Rabbia, brano manifesto di questo lavoro, inno (o meglio, grido) che invita a combattere la passività, a non nascondere le proprie emozioni e reazioni, sia quelle più intime che quelle più esplosive: lo hanno spiegato, partendo dalla genesi del loro progetto, in questa intervista alla redazione di “Sciuscià”.
Fare musica insieme significa anche condividere idee, emozioni, progetti, valori. Come vi siete conosciuti e come avete capito che il vostro rapporto poteva funzionare anche artisticamente? C’è qualcosa in cui vi somigliate e qualcosa in cui, invece, siete complementari?
Ci siamo conosciuti nel 2018, quando suonavamo a degli eventi organizzati dal nostro liceo. Confrontandoci abbiamo capito di avere molto in comune, sia per quanto riguarda la musica che la vita in generale: grazie a questa sintonia è nato il progetto The Snookers. Avere dei gusti musicali simili, almeno secondo noi, non è una prerogativa strettamente necessaria per fare musica insieme; quello che è fondamentale – e che nel nostro caso ci accomuna particolarmente – è la visione globale della musica: come ci piace trattarla, dove prendere ispirazione, l’intento comunicativo.
Passando agli aspetti caratteriali, crediamo che a dare completezza al duo siano le nostre differenze: Federico ha una forte disciplina, è un ascoltatore accanito e solitamente lascia poche cose al caso nel processo creativo; Anita, invece, è molto istintiva, prende le cose di pancia e si lascia andare, trasportata da ciò che sente in ogni momento. Crediamo che questa combinazione di razionalità e irrazionalità sia la nostra forza.
Sul palco delle Audizioni Live di Musicultura avete dichiarato di essere delle persone abbastanza riservate e nella vostra biografia si legge che inizialmente scrivevate pezzi in inglese. Era un modo per “camuffare” le vostre emozioni, cercando di trattenerle in una dimensione più privata?
Abbiamo cominciato scrivendo in inglese perché gli artisti che ascoltavamo in quegli anni erano per la maggior parte americani o inglesi; in quel momento non credevamo che la lingua fosse uno schermo tra noi e gli ascoltatori. Nel passaggio alla scrittura in italiano ci siamo accorti, però, di quanto sia difficile mettersi a nudo ed essere compresi fino in fondo: scrivere nella propria lingua permette di arrivare al nocciolo delle questioni e a volte, soprattutto se non si tratta di argomenti semplici, è complicato accettare che chiunque le possa capire ed esserne partecipe ascoltando una nostra canzone; pensandoci, crediamo di esserci accorti che l’inglese fosse una sorta di “maschera” solo a posteriori.
L’universo si arrende a chi è calmo è il vostro primo album e i nove brani che lo compongono spaziano tra sonorità diverse: dal rock al pop, dall’indie all’elettronica, fino ad arrivare a qualche accenno di rap. Quali sono i riferimenti musicali di un progetto così ricco e composito?
L’universo si arrende a chi è calmo è un insieme di canzoni scritte in anni diversi, segnati dalla sperimentazione sonora e da un ascolto abbastanza vario, nel tentativo di trovare la nostra identità. Attualmente stiamo ancora lavorando per affinare il nostro genere e il nostro suono. Il primo disco non è niente di più che la sintesi del nostro modo di vivere la musica di quel momento: appena abbiamo avuto l’occasione di frequentare uno studio di registrazione, ci siamo messi alla prova con tanti generi musicali e canali d’espressione per trovare ciò che più ci apparteneva e rappresentava. Abbiamo fatto di questo processo un disco.
Dai vostri testi traspare un rapporto altalenante con la calma: per voi, è sinonimo di equilibrio o di indolenza?
La calma è un tratto che reputiamo sicuramente forte, solitamente è una qualità di persone sicure e lucide. Nonostante questo, quando la situazione lo richiede, crediamo sia giusto anche seguire i propri istinti. A tal proposito, il ritornello del brano Rabbia si apre con la frase «L’universo si arrende a chi è calmo, ma poi muoiono tutti»; ciò che vogliamo comunicare è che la calma è senza dubbio una virtù, ma bisogna stare attenti a non trasformarla in passività, rischiando di essere calpestati: il messaggio che vogliamo trasmettere è semplicemente quello di farsi sentire e rispettare sempre.
‹‹Ma sei convinto che in qualche modo arriverai dove neanche sai ma dove ti spetta››, leggiamo dal testo di Guai, brano selezionato per il concerto finalisti. A che punto del vostro percorso sentite di essere arrivati e cosa vi aspettate dall’esperienza di Musicultura?
Avere a che fare con la musica è una soddisfazione e una gioia a tutti i livelli: dalle prime demo in cameretta fino a Musicultura. Ovviamente, nel tempo abbiamo acquisito più esperienza, ma ogni giorno ripartiamo da zero con la stessa voglia di imparare e crescere. A questo punto del nostro percorso ci sentiamo gli stessi che eravamo all’inizio, da una parte arricchiti dalle esperienze che si sono aggiunte negli anni, dall’altra proiettati verso nuove cose da fare.