Città diverse; forme d’arte diverse; esperienze diverse: la carriera di Anna Castiglia è puntellata di molteplicità. E di fasi che coincidono col passaggio da un posto all’altro: da Catania, luogo di nascita in cui scopre la passione per la musica e inizia le prime sperimentazioni, a Torino, scenario di crescita professionale e concretizzazione di un sogno, fino a Milano, metropoli ancora da scoprire. E ora? Ora Musicultura, perché il suo nome è tra quelli dei finalisti della XXXV edizione del concorso e Ghali il suo brano selezionato dalla giuria del festival. Il pezzo affronta alcune tematiche della società contemporanea, tra cui il rapporto che c’è tra le nuove generazioni musicali e quelle legate a una modalità espressiva che guarda di più al passato. Ci racconta proprio di questo, e di molto altro, in questa intervista.
Partiamo dagli albori: quale è stato il momento in cui hai capito che la musica sarebbe diventata una parte fondamentale della tua vita?
Ho capito di poter e voler fare questo nella vita a Torino, quando mi sono trasferita a 18 anni. La città è piena di locali ed eventi per emergenti, vedere concretamente qualcuno/a che cantava le proprie canzoni per lavoro ha fatto credere anche a me di poterlo fare. La passione è nata molto prima, a Catania, quando ero piccola, ma prima di uscire dalla stanzetta restava sempre un sogno. Ancora lo è ma lo sento più concreto e necessario, non mi immagino in altri panni.
Non solo cantautorato: l’arte sembra abbracciare il tuo percorso in molteplici forme. Non a caso, tra i vari studi che hai fatto c’è anche quello di recitazione. Come ha influenzato il tuo modo di stare sul palco?
In realtà, se ci penso, è arrivata prima la recitazione della musica perché i miei genitori hanno fatto entrambi teatro; anche io e mia sorella da piccole abbiamo fatto qualche commedia dialettale. La recitazione, così come la danza, è utilissima alla musica; e la musica è utile a recitazione e danza. Conoscere anche le altre discipline è stato ed è tutt’ora fondamentale per me. Il mio progetto futuro e più grande è realizzare uno spettacolo musicale, non un musical, che possa contemplare le discipline, anche il tip tap. Quindi una sorta di varietà con monologhi musicati, canzoni e danze.
E se l’arte non è una sola, nemmeno le città lo sono: nel corso della tua vita ne hai cambiate diverse, passando da Catania a Torino, per poi approdare a Milano. Quanto differiscono le scene musicali di questi tre posti e che input hanno dato, o stanno dando, alla tua produzione artistica?
Le scene musicali sono spesso legate alla città in cui nascono. A Catania ho fatto la prima gavetta, quella delle cover e del piano bar, dei cavi aggrovigliati e dei mixer non funzionanti, Insomma, ho imparato l’arte di cavarsela e dell’intrattenimento. Fare tante cover è un ottimo modo per imparare a suonare ma anche ad arrangiare e comporre; quindi, il periodo catanese è stato fondamentale. La scena Torinese è molto definita ma anche variegata; come accennavo poco fa, ci sono tantissimi posti in cui suonare e in cui ho suonato. È qui che colloco la seconda gavetta, quella più professionale e burocratica, delle ritenute d’acconto e dell’esenzione; ho imparato a lavorare. Invece la scena Milanese è nuova per me, non sto avendo modo di sviscerarla in tutti i suoi localini perché sono qui da poco, perché mi sono catapultata in un’altra fase e perché al momento sono in tour in tutta Italia, però da pubblico ovviamente la conosco e noto un carattere molto metropolitano ed europeo, c’è di tutto.
Il brano Ghali, selezionato da Musicultura per il tuo ingresso nella rosa dei 18 finalisti, parla di problematiche e contraddizioni della società odierna. Vi fanno capolino, per esempio, la disoccupazione e la facilità con cui un giudizio può essere influenzato dal pensiero altrui. Cosa ti ha spinto a scegliere proprio queste tematiche?
Volevo scrivere una canzone che parlasse dello scarico delle colpe. Di chi si sente vittima di qualunque cosa, anche delle cose inanimate, perché incapace di assumersi le proprie responsabilità. Accusare, per paura di essere accusate/i, denigrare e affibbiare uno stereotipo o una colpa storica: questo mi ha spinta a scrivere Ghali. Si chiama così perché anche noi cantautrici/cantautori di “vecchio stampo” diamo spesso la colpa alla trap o ai nuovi generi per i nostri insuccessi. Ma non è certo colpa di Ghali se le nuove generazioni si sentono spesso più rappresentate da quel genere e da quei temi, non è proprio una colpa, è normale.
Il tuo curriculum è nutrito di esperienze anche molto diverse tra loro. E adesso approdi anche a Musicultura. Cosa rappresenta questo festival per Anna Castiglia?
Musicultura rappresenta un traguardo, dato che seguo il festival da anni e ho sempre sognato di parteciparvi, ma anche uno schieramento: sottolinea un po’ il mio habitat in un periodo in cui ho fatto anche cose lontane da me, come il passaggio in televisione (X-Factor, ndr); poi sono contenta di aver conosciuto nuovi ambienti e aver cambiato forma, mai contenuto, però sicuramente Musicultura per quello che faccio e voglio fare è il massimo.