Il crollo e il disastro che lasciano spazio a sogni, idee e desideri; gli esordi con una band sperimentale; la vita tra euforia e baratro; il desiderio di lasciare un’impronta e un nome d’arte che se ne fa testimone. E ovviamente lei, la musica. C’è tutto questo nell’intervista che Ormai, tra i 18 finalisti di Musicultura con il brano Vivere è ok, ha rilasciato alla redazione Sciuscià.
La tua carriera artistica prende il via da un’esperienza in un gruppo, per poi passare al progetto solista. Esser parte di una band ti ha fornito gli strumenti necessari per iniziare il tuo percorso da solista o senti di aver ricominciato tutto da capo?
Inquietude, la band in questione, è stata singolarmente l’esperienza formativa più importante del mio percorso, se la sommi alle esperienze autorali. Basta pensare che in tre, su quattro che eravamo nel gruppo, siamo sul palco di Musicultura. Quando abbiamo iniziato non pensavamo ci saremmo scambiati così tanto: molto di quello che ora sappiamo sulla musica nasce dalle ore divise insieme.
“E dico frasi assurde come Vivere è ok“: questo è un estratto di Vivere è ok, brano selezionato per il concerto dei finalisti di Musicultura. Cosa porta a pensare che “vivere è okay” sia così assurdo e cosa, invece, può condurre lontano da questa assurdità?
“Vivere è ok” è una assurdità perché oscilliamo tra l’euforia e il baratro. Vivere per me è sempre stato un disastro perfetto, allo stesso modo in cui le stelle vincono sulla notte ma quest’ultima rimane fondamentalmente oscura. Ho perso moltissime persone e ne ho trovate altrettante, con la facilità con cui sono uscito da dipendenze mi sono tuffato dentro altre. Non so come si esca dall’assurdo e dal paradosso di malsopportare la vita e poi restare stupefatti di fronte a un tramonto qualunque. Forse è un assurdo che mi piace.
In diverse occasioni hai dichiarato di sentirti tormentato dall’idea di essere costantemente in ritardo e non al passo con i tempi che corrono. Deriva da questa sensazione il tuo nome d’arte, Ormai? Raccontaci della sua genesi.
Non sono fatto per quest’epoca musicale. Questo è evidente. Penso però che, in ritardo o in anticipo, sia giusto fare le cose in modo puro, anche se nel processo ci fa sentire inadeguati o imperfetti. Penso sia parte dell’esperienza di essere artisti. Il mio nome d’arte arriva da “orma” perché volevo, come si fa da adolescenti, lasciare un’impronta, una scritta sul muro. È diventato “Ormai” perché ero parecchio disperso all’epoca.
Stai lavorando al tuo primo album, riguardo al quale dichiari di avere una missione ben precisa: parlare a chi soffre di esperienze simili alla tua, trovare una nota positiva, la scintilla da cui ripartire. Qual è, o qual è stata, per te quella scintilla?
Senz’altro la scintilla è il rapporto con gli altri, sentire di dedicarsi a qualcuno e viceversa. Forse tempo fa avrei detto che era la musica, ma purtroppo la musica non può salvare nessuno, amarsi e amare invece sì.
Hai collaborato con Clementino, Rosa Chemical, Nayt, Fabri Fibra, Giorgia; immagino che queste esperienze abbiano arricchito molto il tuo percorso artistico. In che maniera ti aspetti che quest’ultimo venga ulteriormente impreziosito dal confronto con gli altri finalisti di Musicultura e col palco del Festival?
Intanto ascoltando gli altri partecipanti sto scoprendo brani bellissimi. Spero di legare con chi ha missioni simili alla mia. Ogni artista con cui ho lavorato mi ha dato qualche frammento di esistenza su cui arrovellarmi. A pensarci bene, ha fatto lo stesso ogni persona in generale con cui ero pronto ad ascoltare. Penso ci sia margine per crescere parecchio.