Non solo musica: sul palco del Teatro Persiani di Recanati, in occasione del concerto dei finalisti della XXXV edizione di Musicultura, spazio anche ad altre forme d’arte. Ospite della serata del 26 aprile, infatti, è stato Guido Catalano, scrittore e poeta che, dopo avere letto un pezzo del suo ultimo libro, Cosa fanno le femmine in bagno, ha regalato al pubblico quattro delle sue poesie: Ti voglio bene si dice al cane, C’era una volta una storia, Teniamoci stretti che c’è vento forte, che hanno come tema centrale la fine di una storia d’amore, e Consigli, un elenco di consigli, appunto, scritto inizialmente per se stesso, pubblicato successivamente con l’idea che potesse esser d’aiuto anche per gli altri. Perché la poesia può far questo: può aiutare. Soprattutto quando, come in questo caso, elemento distintivo ne è l’ironia, che non solo diverte, ma è anche in grado di affrontare, alleggerendole un po’, tematiche particolari, alle volte estremamente personali e delicate.
Scopriamo un po’ di più, di questo e di altri argomenti, con questa intervista.
Partiamo dalla scrittura, grazie alla quale ha avuto modo di spaziare in vari ambiti, dai testi per la band di cui faceva parte da ragazzo, fino alle poesie di cui si occupa oggi. Ecco, la musica e la poesia: che legame hanno per lei queste due forme d’arte?
Per me musica e poesia hanno un legame fondamentale, tanto che ho iniziato cantando – male -, ma scrivevo i testi quantomeno. Poi a un certo punto il gruppo si è sciolto, ma ho proseguito a scrivere; piano piano, quei testi sono diventati non più testi per canzoni, ma poesie. E io ho sempre continuato a lavorare con la musica: anche quando mi esibisco, spesso lo faccio con dei musicisti o con dei cantautori; ho avuto il piacere di dividere il palco, per esempio, con Dente, Brunori, Levante e altri. Anche perché secondo me la poesia comunque ha un rapporto intimo con la canzone, nel senso che mi piace pensarla come una canzone con la musica dentro. È una questione di ritmo, anche per quello va letta ad alta voce; io leggo le poesie degli altri ad alta voce per sentire meglio. E quindi sì, per me la musica è fondamentale. In più mi ispira: alcune mie poesie sono ispirate anche a grandi canzoni dei nostri cantautori, sia quelli di una volta, sia quelli attuali.
L’amore e l’ironia sono due elementi ricorrenti nelle sue opere, non solo letterarie ma anche teatrali. Eppure, questi due temi sembrerebbero quasi contrapposti: l’amore, soprattutto se non corrisposto, può portare alla sofferenza e alla tristezza; al contrario, l’ironia porta allegria e divertimento. Come e perché si incontrano nelle sue opere?
L’ironia, secondo me, e anche il senso del comico, la comicità, sono un po’ dei doni che uno ha. Difficilmente si impara l’ironia: ce l’hai o non ce l’hai. Ho iniziato tanti anni fa a scrivere poesie d’amore, quando ero molto triste perché le cose non funzionavano, e mi hanno aiutato a esorcizzare la tristezza, quindi secondo me si può e si deve, alle volte, parlare di argomenti tristi tentando di scherzarci. E tutto mi è venuto naturale; non è successo a tavolino che mi sono detto, a un certo punto: “Questa cosa funziona, non potrei farne a meno”. Tra l’altro, le persone ironiche o le persone che hanno senso dell’umorismo sono le persone che mi piacciono di più. Una persona senza il senso dell’umorismo mi annoia dopo un po’.
Restiamo in ambito di amori non corrisposti. Dando consigli su questi ultimi, sui social è conosciuto anche come “dottore del cuore”. Nel corso della sua vita, le è capitato di trovarsi in situazioni simili a quelle vissute dalle persone che la ascoltano? Pensa che i social possano aiutare anche a condividere tematiche tanto delicate e personali come la malinconia e lo sconforto che scaturiscono da un amore non corrisposto?
I social possono essere molto utili, sono un mezzo importante. A me hanno cambiato la vita, tanti anni fa, dandomi la possibilità di scrivere le mie cose e farle conoscere a un grande pubblico. Poi, ovvio, bisogna stare attenti a non limitarsi solo a loro: è importante vedersi dal vivo, altrimenti è la fine. È la fine dell’umanità, fondamentalmente. Io ho fatto delle rubriche, ho addirittura dei podcast in cui fingevo, appunto, di essere un dottore del cuore, perché non credo che possa esistere realmente una persona che risolva i problemi di cuore se non parlando delle proprie esperienze, e quindi sì, lo faccio spesso con la poesia. E sì, l’ho fatto anche giocando con un podcast, l’ho fatto addirittura sul giornale, però sempre in maniera ironica, quindi non prendendomi troppo sul serio, pur facendo le cose sul serio.
Nell’immaginario collettivo, i giovani non si interessano di poesia, ma una buona parte del pubblico che segue i suoi spettacoli, legge le sue opere, è fatta proprio di giovani. Qual è il suo segreto per avvicinarli a questa forma d’arte?
In realtà, appunto, la mia percezione è che i giovani amino la poesia e quindi sono ottimista. Soprattutto in questi ultimi anni, la poesia ha avuto una rinascita; secondo me è diventata più pop. In generale, comunque, credo che l’amore per questa forma d’arte dovrebbe partire dalla scuola e dalla famiglia. Io sono stato fortunato, perché avevo dei genitori che leggevano molto, sia poesia che romanzi. E leggere è proprio quello che auguro ai giovani, perché è come augurare a una persona di fare sport: è fondamentale fare sport perché altrimenti il corpo decade; è fondamentale leggere perché altrimenti il cervello decade.
Stasera ci ha regalato in anteprima la lettura di un brano del suo prossimo libro, che uscirà a breve: Cosa fanno le femmine in bagno. Il tema centrale è la scoperta del mondo femminile da parte del genere maschile. Come mai ha scelto questo titolo e questo argomento?
Il titolo mi è venuto in mente mentre ero Salone del Libro, dove c’è tanta gente ma ci sono pochi bagni. Tipicamente la coda, però, dove la vediamo? Davanti al bagno delle donne. Perché hanno più cose da fare probabilmente. Da lì mi è venuta proprio la domanda: “Ma cosa fanno le femmine in bagno?”. E poi è nato il libro, che chiaramente non è un saggio che spiega cosa fanno le femmine in bagno, non mi permetterei mai; la narrazione prende piede da quella stessa domanda, ma a porla in questo caso è un bambino – quindi non un adulto al Salone del Libro – che a scuola vede due bambine uscire dal bagno delle femmine, ridendo, tenendosi a braccetto, guardandolo e ridendo, ridendo e guardandolo. Così, essendo lui un bambino, ed essendo quindi una persona curiosa, nasce questa domanda che appunto ha a che fare con la scoperta di un mondo diverso ma molto simile al suo: quello femminile.