Una chitarra. “Solo” una chitarra. Può un solo strumento incendiare gli animi? Sì, se a suonarlo è un musicista dal talento incredibile; sì, se a suonarlo è Marcin. Il giovane artista polacco, noto in tutto il mondo come “il chitarrista del diavolo” per la sua tecnica percussiva e per il suo fingerstyle, è stato ospite, ieri, di Musicultura 2024. In serata si è esibito sul palco dello Sferisterio; prima, nel pomeriggio, intervistato dai conduttori radiofonici Marcella Sullo e Duccio Pasqua, ha raccontato della sua vita e della sua carriera al pubblico de La Controra e ha risposto a qualche domanda della redazione di Sciuscià.
Il tuo modo di suonare la chitarra si può definire unico: è una commistione di tecniche classiche, di flamenco e percussive. Puoi spiegarci come hai sviluppato questo stile e chi o cosa ha funto da ispirazione?
Il mio background è la chitarra classica: molte delle mie tecniche sono nate da essa; però mi sono stancato velocemente di suonare sempre le stesse cose, così ho iniziato a spaziare verso il flamenco, e più avanti ho sperimentato con la chitarra acustica. Non ho avuto nessun idolo nello specifico, ma ho cercato semplicemente di scoprire vari generi – come il rock, l’elettronica, il pop e il rap – cercando di capire cosa potevo creare di diverso. Se dovessi nominare un mio punto di riferimento, sceglierei Paco De Lucía, un chitarrista spagnolo di flamenco, che ha introdotto questo genere nel mainstream. Cerco così di fare conoscere questa tecnica alla gente, non solo ai fanatici di musica. Voglio suonare per tutti, presentare un nuovo stile al pubblico: questa è la mia aspirazione.
Non è la prima volta che sali su un palco italiano: qual è il tuo rapporto con il nostro paese?
Beh, in realtà è alquanto speciale. La maggior parte delle persone non sa che, dopo il crollo del comunismo in Polonia, i miei genitori sono andati alla ricerca di fortuna e si sono trasferiti a Roma. Mia madre parla italiano fluentemente; spesso preparava dei piatti come la pasta all’arrabbiata o le pennette al pesto; così ho sempre amato la vostra cucina e la vostra cultura. Poi nel 2018 mi hanno invitato a Tu si que vales; non mi aspettavo nulla, pensavo che fosse solo un’avventura, e invece sorprendentemente ho vinto. Poco dopo ci ha colpiti la pandemia e quindi non sono potuto ritornare, ma ora eccomi di nuovo qui, a Macerata, e chissà se potrò fare l’anno prossimo un tour.
Ancora TV. Un altro snodo importante per la tua carriera è stata la partecipazione ad America’s Got Talent, programma grazie al quale il tuo talento, appunto, è stato apprezzato da un pubblico mondiale. Com’è stato per te suonare su un palco con una risonanza mediatica così grande?
È stato un momento importante per me: ha cambiato un sacco di cose. Soprattutto, è stato fondamentale per il mio successo online: il video della mia esibizione ha raggiunto più di 50 milioni di visualizzazioni su YouTube e questo ha portato su di me molta attenzione. Il mio impegno, poi, è stato quello di trasformare tutta questa visibilità in un vero e proprio seguito. Ho lavorato duro e ora in America ho il mio pubblico più affezionato, cosa che mi fa molto piacere. Insomma, quel programma mi ha veramente aperto infinite porte.
Ti hanno soprannominato il “chitarrista del diavolo” per le tue performance elettrizzanti e un controllo apparentemente soprannaturale sulla chitarra. Cosa pensi di questo appellativo? Ti calza a pennello o andrebbe modificato?
È un soprannome che ha scelto il pubblico e io lo rispetto. E devo dire che mi lusinga, visto che Niccolò Paganini veniva chiamato il “violinista del diavolo”: è un onore per me avere una connessione con questo grande genio. In generale, amo quando il pubblico crea sui miei canali soprannomi, meme o commenti come “Ha comprato l’intera chitarra, userà l’intera chitarra”, che è diventato un meme ed è parte della cultura di Internet. Ormai lo sento mio.
Salutiamoci parlando del tuo prossimo, primo album, Dragon in Harmony, da cui è già stato estratto un singolo, Classical Dragon: cosa dobbiamo aspettarci? E cosa ti aspetti tu da questo lavoro?
Finora mi sono limitato a pubblicare piccoli frammenti di musica, su Instagram o su TikTok, oppure singoli da tre o quattro minuti, nulla di più. Questa è la primissima volta in cui mi prendo tempo per creare un vero e proprio album, di quasi 50 minuti, che espande le mie composizioni originali tra influenze classiche e pop rock. Mi piace immaginarlo come il mio primo prodotto veritiero, il futuro della tecnica percussiva. Classical Dragon è frutto della mia collaborazione con Tim Henson. Ha raggiunto molte persone in poche settimane, cosa che mi ha stravolto in senso positivo. Spero che la gente inizi a vedermi più come un artista da album che come una personalità social – non che ci sia nulla di male, ma io non sono solo quello. Ecco, spero che questo nuovo album sia un punto di svolta della mia carriera.