Forme di comunicazione e generazioni a confronto: Diego “Zoro” Bianchi ospite a Musicultura

"Ho seguito le mie passioni e avuto la fortuna di fare un lavoro che mi piace: è questo quello che auguro a voi giovani"

La Controra 2024 si chiude con un incontro tra gli studenti dell’Università di Macerata e dell’Università di Camerino e Diego Bianchi, in arte Zoro. Conduttore televisivo, blogger, youtuber, autore e regista, la sua è una figura capace di mantenersi solida e riconoscibile, in ogni medium e in ogni ruolo; il suo è un lavoro composito, che parte dalla passione per la politica, per la musica, per la vita sociale e civile e arriva a fare di questi temi qualcosa di popolare e condivisibile. Durante l’evento, moderato dal conduttore radiofonico John Vignola, si è raccontato rispondendo alle domande preparate per lui proprio da noi studenti, a partire dal percorso universitario, fino ad arrivare a Propaganda Live, con la sua inconfondibile ironia.

Zoro e gli studenti dell’Università di Macerata e dell’Università di Camerino

«Innanzitutto, grazie: è molto bello ritornare qui. Le Marche, per motivi familiari, sono la mia seconda casa e sono davvero molto affezionato alla vostra Regione››: saluta così il pubblico che, numeroso, ha deciso di assistere all’evento. Poi, via all’intervista, che parte facendo un piccolo passo indietro, a quando Diego Bianchi non era ancora Zoro. Per lui non è la prima volta a Musicultura: è già stato ospite in più occasioni, fa parte del Comitato Artistico di Garanzia del Festival e, forse lo sanno in pochi, nel 1996 è stato concorrente dell’allora Premio Recanati con gli Original Slummer Band. «Dobbiamo davvero ricordarlo?» scherza, e poi racconta come è andata: «È vero, ho avuto un tentativo di vita parallela da musicista con questa band. Abbiamo prodotto anche quattro o cinque dischi, ma all’epoca non esistevano i social e le possibilità di emergere erano sicuramente minori di adesso. Noi stavamo quasi per farcela, abbiamo calcato i palchi di alcuni importanti concorsi nazionali, come Musicultura. Poi, però, non abbiamo sfondato definitivamente e abbiamo fatto tutti altro nella vita».

Parla anche, con l’ironia che lo contraddistingue, del ruolo che lo vede impegnato a selezionare i vincitori del Festival: «Ora faccio parte del Comitato artistico di Garanzia di Musicultura e, ovviamente, ne prendo parte con la giusta componente di sadismo di chi non è riuscito a fare il musicista nella vita. Scherzo: quando mi capita, in generale, che qualche artista emergente mi consegni il suo disco per farmelo ascoltare, mi si stringe il cuore, perché l’ho fatto anch’io e conosco il valore di quel gesto».

Lasciato nel cassetto il sogno musicale, il percorso di Zoro, agli albori, non segue traiettorie precise; nessun piano studiato dal principio, ma tanta voglia di fare e di parlare delle sue passioni: «Mi sono diplomato al liceo classico e laureato in Scienze Politiche. Sapete, chi vuole fare il medico studia medicina; chi vuole fare l’avvocato, giurisprudenza. Io non avevo nessuna di queste folgorazioni, ma in compenso avevo tantissimi interessi. Non ho mai programmato nulla e non ho seguito un piano preciso: anzi, non lo avevo proprio. Ho fatto molti stage e, a un certo punto, ho avuto la prontezza di mandare il mio curriculum nel posto giusto al momento giusto, iniziando così a lavorare in uno dei portali online più famosi del mondo».

Inevitabile, allora, la domanda successiva, soprattutto se consideriamo che a condurre quest’intervista sono due universitari: quanto è stato utile quel percorso di studi? «La mia formazione umanistica – risponde – si è rivelata fondamentale in quel contesto: tutti quei portali online erano pieni di ingegneri che programmavano, non c’era nessuno che scrivesse qualcosa e c’era bisogno di testi. Ho cominciato come responsabile del canale viaggi, poi mi sono allargato alla musica, alla politica, al calcio e a tante altre cose; le stesse di cui poi ho iniziato a parlare nel mio blog».

Ecco il primo tassello di una carriera nutrita di esperienze, La Z di Zoro, il suo blog, appunto, a cui fanno seguito un canale YouTube, rubriche su quotidiani e settimanali e, nel 2013, la conduzione di un primo programma, Gazebo. Ma l’esordio televisivo avviene qualche anno prima, quando i video di Tolleranza Zoro trovano spazio in Parla con me, programma di Serena Dandini in onda su Rai 3: si tratta del primo caso in cui un prodotto nato sul web viene trasferito in televisione mantenendo inalterato il format iniziale. Nonostante il salto dalla sfera più intima del blog al piccolo schermo, Diego Bianchi mantiene intatto il suo personale modo di esprimersi e di comunicare.

«Quando mi chiesero di portare la mia rubrica in televisione, non sapevo – racconta – cosa aspettarmi e quanto sarebbe durata. Mi ricordo, però, che la prima cosa che chiesi fu di poter lavorare esattamente con gli strumenti che utilizzavo a casa, per non alterare e snaturare il mio linguaggio: volevo semplicemente continuare a fare le mie cose e vedere se funzionavano anche a un livello di risonanza maggiore, ed è andata bene». Dunque, originalità ed efficacia alla cui base c’è la volontà di andare dritto al cuore dei contenuti, con concretezza ed essenzialità: «A prescindere da tutte le teorie sui rapporti tra mezzi e contenuti, questi ultimi erano ciò che più mi interessava: mi premeva metterli al centro. Ho sempre fatto le cose “co ‘na scarpa e ‘na ciavatta”, cioè con i pochi mezzi che avevo e con le mie sole capacità, che però cercavo di sfruttare al massimo».

Dal 2017 inizia l’esperienza di Propaganda Live, programma entrato in pianta stabile nel palinsesto di La7, in cui sono ancora presenti i suoi reportage, che sembrano conservare quello stile di inizi anni 2000 e una componente che noi abbiamo definito “artigianale”; quando glielo diciamo, risponde scherzando: «Praticamente mi state chiedendo perché sono così scarso e continuo a fare le cose così male?». Poi spiega: «Per i miei reportage registro moltissimo, mi capita di tornare a casa magari con cinque o sei ore di riprese; poi, riguardo tutto e mi occupo del montaggio in autonomia. Sembra facile ma non lo è; si tratta di servizi dallo stile semplice ma elaborato, c’è moltissimo lavoro dietro».

Per concludere l’intervista, una curiosità: se Diego Bianchi non fosse diventato Zoro, l’avremmo incontrato in giacca e cravatta seduto dietro qualche scrivania oppure avrebbe trovato il modo di essere Zoro anche senza le telecamere accese? Lui risponde così, salutando i ragazzi e il pubblico maceratese con un augurio rivolto proprio agli studenti: «Durante tutta “la mia vita precedente”, ero sempre in giacca e cravatta; forse per questo adesso mi vedete solo in maglietta. Non so cos’altro avrei fatto; mitomania per mitomania, forse il musicista o il calciatore. Scherzi a parte, aldilà dell’essere Zoro o meno, ho seguito le mie passioni e avuto la fortuna di fare un lavoro che mi piace: è questo quello che auguro a voi giovani».