Nasce ad Aosta e si forma musicalmente a partire da Stoccolma, ma il suo cuore è tutto pugliese. Ospite allo Sferisterio, in occasione delle serate conclusive della XXXV edizione di Musicultura, un autore raffinato e interprete di talento: Diodato, un artista che è riuscito a entrare velocemente nel cuore delle persone grazie alla delicatezza con cui si addentra nelle fratture più sottili dell’animo umano, per sviscerarne contraddizioni e sentimenti che sono tanto personali quanto comuni e universali. Da qui il valore sociale e catartico della musica, che per lui è confronto, dialogo utile a mettere ordine al caos della vita, soprattutto interiore, affermandone la versione gentile.
Condivisione, dunque, che – in una società sempre più votata all’incomprensione e all’indifferenza – diventa importante da ribadire e affermare con convinzione, come ha fatto con la canzone che nel 2020 ha vinto il festival di Sanremo, Fai rumore. E appunto, “fare rumore” significa farsi sentire ed esprimere la propria opinione, per regalarla agli altri e camminare, crescere, vivere insieme.
Nella sua carriera, musica e cinema sembrano intrecciarsi costantemente, fin dagli studi universitari in Discipline delle Arti e dello Spettacolo. Per ben due volte ha vinto il David di Donatello per la migliore canzone originale: nel 2020 con Che vita Meravigliosa per il film La dea fortuna di Ferzan Ozpetek e quest’anno con La mia terra, inserita in Palazzina Laf, di Michele Riondino. La canzone, come l’intero film, parla della città che più sta a cuore a entrambi, Taranto, dove dirigono insieme a Roy Paci l’evento “Uno maggio Taranto libero e pensante”. Prima di esibirsi allo Sferisterio, è stato Diodato stesso a spiegare l’importanza del brano, raccontando, appunto, la storia della sua terra: «Un tempo gli spartani esiliarono coloro che erano ritenuti figli illegittimi, i parteni, che partirono insieme al loro capo, Falanto, a cui l’oracolo disse che avrebbero trovato la propria casa quando avrebbe piovuto a ciel sereno. Nel lungo viaggio nel Mediterraneo, a un certo punto, distrutto e demoralizzato, Falanto si accasciò sulle gambe di sua moglie, che iniziò a piangere. Sentendo queste gocce, aprì gli occhi e vide che il cielo era sereno. Così, il suo esercito conquistò la città che oggi chiamiamo Taranto. In quelle lacrime a ciel sereno, però, sembra esserci un destino segnato e, ancora oggi, alcuni figli di quella terra sono costretti a piangerle».
Poi, un altro regalo al pubblico maceratese: le già citate Fai rumore e Che vita meravigliosa, eseguite nell’intimità di sole chitarra e voce. Perché quando i messaggi sono forti, chiari e sentiti nel profondo, basta l’essenziale.
Prima di lasciare il palco, Diodato ha anche fatto un augurio ai vincitori del Festival: «Quello che mi sento di dire ai ragazzi è di battersi per trovare la propria strada e seguirla, con tenacia e anche un po’ di insistenza di fronte alle difficoltà. La musica è una grande opportunità per esprimersi, per crescere umanamente ma anche socialmente, creando dei ponti capaci di arrivare alle altre persone».
Passata la notte, è un saluto appuntato sulle sue pagine social a dare il buongiorno: «Grazie Musicultura – ha scritto – per l’invito di ieri. È stato bello tornare qui e vedere così tanta passione e attenzione per ciò che accade oggi nella musica italiana. Siete una risorsa importante. Grazie a Carolina Di Domenico, Paola Turci, Duccio Forzano (il regista del Festival, ndr), agli organizzatori, ai tecnici, a tutto lo staff e al pubblico per avermi accolto con così tanto amore. C’erano tanti amici a cui voglio un bene dell’anima e una luna piena pazzesca».