In un mondo che corre e urla, lui sceglie di fermarsi e sussurrare. La sua musica non è solo melodia: è un atto di resistenza emotiva, un invito a rallentare, ad abitare il silenzio, a dare forma all’invisibile. Sul palco si presenta come NILO, ma nella
vita di tutti i giorni è Daniele Delogu, giovane musicista sassarese oggi di casa a Piacenza, dove studia al Conservatorio. Il suo viaggio artistico comincia nel 2020 con la pubblicazione di Meco, un album d’esordio che fin dal titolo — dal latino “con me” — svela la natura profondamente introspettiva del suo percorso. Un progetto nato nel silenzio, cresciuto nell’ascolto, che segna l’inizio di un dialogo
sincero con il mondo. Un cammino che prende forma lì dove finisce il rumore: nel faccia a faccia con se stesso. Finalista di Musicultura 2025 con il brano Tutti-nessuno, ecco come si è raccontato alla redazione di “Sciuscià”.

Sei un polistrumentista; ti sei esibito con diverse formazioni rock e parallelamente hai coltivando una forte passione per la musica classica e il jazz. Insomma, in te sembrano convivere diverse “anime musicali”. Con quale genere e con quale strumento senti più sintonia e ti trovi più a tuo agio?
Essendo cresciuto in un contesto pieno di stimoli molto diversi tra loro, ho sempre visto la musica, e la realtà, molto sfaccettata e varia. Non credo che ci sia un genere unico al quale mi ispiro o col quale mi trovo più a mio agio. Ogni brano che scrivo è un’esperienza nuova che mi suscita diverse emozioni. Vedo la musica come un’entità unica ma diversificata. Differente è il caso dello strumento: mi trovo molto a mio agio a scrivere al pianoforte perché l’ho studiato di più durante la mia formazione musicale. Al pianoforte riesco a trasmettere genuinamente le mie idee.
Continuiamo a muovere tra le tue “anime musicali” e proviamo a sondarle meglio con un’altra domanda: quali sono i tuoi modelli di riferimento? Quanto sei riuscito a distaccartene per trovare la tua strada e quanto, invece, ti porti appresso di loro?
I miei punti di riferimento spaziano dal cantautorato – con Lucio Dalla, Daniele Silvestri, Enzo Jannacci – alla musica strumentale sia classica che jazz – Ennio Morricone, Miles Davis, Beethoven e tanti altri -. Il cantautorato per me è una biblioteca ricchissima dalla quale posso imparare a migliorare la scrittura dei miei testi. Ammiro come gli artisti citati prima riescano a raccontare delle storie
personali che parlano a tutti e di tutti con una semplicità – ovviamente apparente – disarmante. Nella musica classica/jazz invece cerco la raffinatezza, la profondità, il particolare che mi aiuta a migliorare a legare coerentemente la musica ai testi che scrivo. Le parole e la musica in un brano interagiscono tra loro, ma sono due entità distinte; per stare assieme devono avere un’identità chiara che permetta loro di comunicare senza nascondersi le uno dietro le altre.
Nella nota biografica che hai inviato a Musicultura scrivi che la tua arte, frutto di una continua ricerca sonora, unisce surrealismo, introspezione e semplicità. Qual è il segreto per dar voce, un’unica voce, a questi tre elementi, che potrebbero di primo acchito sembrare anche molto distanti tra loro?
La chiave secondo me è quella di ascoltarsi. Credo che la scrittura sia una ricerca profonda del nostro Io interiore, che è in continuo cambiamento, in continua evoluzione. Delle volte è più intenso, delle volte meno, delle volte è riconoscibile, delle altre neanche si riesce a percepire. Penso che siamo tremendamente sfaccettati ma, allo stesso tempo, tendiamo a definirci sotto una sola e unica persona. È una cosa naturale che ci aiuta a inserirci nella società, senza la quale ci sentiremmo soli, non riusciremmo ad adeguarci. Ecco, scrivere per me è fare la stessa cosa: accogliere tutti i pensieri, le emozioni, le sensazioni che ho e sceglierne solo alcuni che avranno il loro spazio in una canzone; gli altri potrebbero averlo in un altro momento, in un’altra canzone. Alle volte è complicato, quindi capita che non riesca a fare una “cernita”; altre volte è molto semplice. Credo che sia proprio questo il bello.
John Donne diceva: “Nessun uomo è un’isola”; sul palco delle Audizioni Live di Musicultura hai parlato di solitudine autoimposta, di quella condizione che porta a credere di essere sempre soli laddove si tratta invece solo di una percezione. Ecco, pensi che la scelta di una solitudine consapevole, autentica, sia sempre negativa o può essere un’opportunità di crescita personale?
Credo che la chiave di tutto sia la consapevolezza: in assenza di quest’ultima ci sarebbe un’anarchia mentale che porterebbe alla distruzione. Senza consapevolezza, anche la gioia potrebbe essere pericolosa. La solitudine, come tanti altri stati d’animo, è un qualcosa di naturale che non per forza viene per nuocere. Personalmente tendo molto a isolarmi, anche in contesti che non lo permettono: è importante per me avere un contatto costante con quello che provo e con quello che sono. Allo stesso tempo è una condanna, perché mi impedisce di godermi ciò che ho attorno e questo mi crea una profonda tristezza. Perciò stare soli non è per
forza un danno, purché ci sia la consapevolezza di ciò che si sta provando e della condizione in cui siamo o ci stiamo mettendo.
Passiamo dalle Audizioni a un’altra fase del concorso: quella che ora ti vede tra i 16 finalisti del Festival con il brano Tutti-nessuno. Quale pensi sia il motivo per cui la giuria di Musicultura ha scelto proprio questo pezzo?
Sinceramente non ho un’idea precisa. Credo che il brano Tutti-Nessuno sia lo specchio della nostra società. È il singolo che parla, si sostituisce alla collettività. Credo di essere riuscito a mettermi a nudo e a inquadrare certe pressioni che la società odierna presenta. Forse la giuria è stata colpita da questo aspetto, o forse ha trovato interessante un’altra interpretazione del brano. I miei pezzi non hanno una sola interpretazione, ognuno ci vede ciò che desidera. Non c’è giusto o sbagliato. Una volta che un’opera artistica viene vista, ascoltata, non è più dell’autore, ma del fruitore. Come artista tendo a fare un passo indietro evitando di imporre la mia
personale visione del brano che ho scritto. Anzi, trovo molto interessante vedere come l’opera si “modifica” da persona a persona.