INTERVISTA – La Ballata dell’Inferno di Elena Mil

Tra musica, teatro e il «desiderio di raccontare storie»

Cresciuta tra folk e tango argentino, Elena Mil porta con sé una grande eredità artistica. Da sempre divisa tra il teatro e la musica, ha saputo trarre da entrambe le discipline un’energia unica, che oggi la guida nella la sua carriera musicale. Con la canzone Ballata dell’Inferno, è tra i finalisti di Musicultura XXXVI, un traguardo che segna solo l’inizio di un progetto artistico più ampio. In questa intervista, ci racconta del suo percorso, delle influenze familiari, della sua passione per le parole e del suo debutto imminente con un album che promette di essere un viaggio emozionante e personale.

Elena Mil alle Audizioni Live di Musicultura 2025

Provieni dal teatro e con la compagnia teatrale del tuo liceo hai girato l’Italia. Nel 2019 hai ottenuto una menzione d’onore per l’interpretazione del Corifeo nell’Antigone di Sofocle. Cosa ti porti dietro di quell’esperienza artistica? Ti ha insegnato qualcosa che ti è stato utile per la tua carriera musicale?
Il teatro è una dimensione per me fondamentale. L’esperienza come attrice mi ha fatto scoprire l’intensità del contatto con il pubblico dal vivo in un modo a cui non riesco più a rinunciare. Ciò che amo di più quando mi esibisco è proprio questa connessione, unica ed estemporanea, che a volte s’instaura con gli ascoltatori presenti. Mi diverte molto registrare in studio, ma quando scrivo parto sempre dalla necessità di dire qualcosa a qualcuno. In questo senso, un aspetto che porto dal teatro alla musica è il desiderio di raccontare storie e personaggi – o, meglio ancora, persone – attraverso le mie canzoni. Essere abituata alla necessità che in teatro sia “buona la prima” è sicuramente una grande risorsa sul palco, che mi permette di coinvolgere l’audience in modo autentico. Forse sono ancora quel Corifeo, che sente il compito e l’onore di narrare a chi ha di fronte qualcosa di importante.

L’arte ti accompagna da sempre: sei cresciuta immersa nella musica folk e nel tango argentino, sulle orme di un padre musicista e di una madre ballerina. Com’è stato vivere un ambiente così stimolante? Quale il valore aggiunto al tuo percorso?
I miei genitori sono stati insieme per poco, ma quei cinque anni hanno lasciato un’impronta profonda. Vivere nella musica e in un continuo dinamismo per me era la normalità, fra i concerti di papà seguiti da dietro le quinte e le milonghe dove si ballava tango fino a tarda sera. Non ricordo la mia casa di allora come un luogo, ma come quelle intense emozioni che in tre condividevamo, soprattutto la gioia. Senza che volessero insegnarmi qualcosa, entrambi mi hanno mostrato il proprio modo di esprimersi attraverso la musica e nella performance dal vivo. Questa necessità di dire me stessa attraverso l’arte ha abitato anche me in modo spontaneo fin da piccolissima e ancora oggi mi sembra l’unico modo possibile di vivere.

Il brano con cui hai avuto accesso alla finale di Musicultura, La Ballata dell’Inferno, racconta della discesa agli inferi di una ragazza che afferma di essere “morta di niente”: volevi confrontarti col senso di colpa e l’innocenza che sembrano risuonare per tutto il brano?
Adoro il fatto che ogni persona che ha ascoltato La Ballata mi abbia restituito un’interpretazione diversa; per questo cercherò di non spiegare un significato. Quando l’ho scritta avevo sedici anni ed ero attraversata da un grande senso di smarrimento. Anche oggi i dubbi mi rincorrono e spesso mi lasciano senza una spiegazione di fronte al dolore. Non so se la ragazza “dalla bella voce” si senta in colpa, ma di sicuro si sente accusata. Quel “niente” con cui si confronta è un vuoto incomprensibile: origine di un dolore che in qualche modo la giustifica -“qui c’è chi ha ammazzato la gente, io non ho fatto niente” – , ma allo stesso tempo è proprio ciò da cui vuole fuggire. È innocente o ha perso quest’innocenza quando ha scelto l’inferno? Quale che sia la risposta, la sua condanna finale lascia sconcertati: c’è una stortura nel mondo da cui nemmeno morendo si riesce a scappare.

Nei tuoi pezzi appare evidente la ricerca sul significato delle parole e sul loro suono: quando componi parti dal testo per poi costruire intorno la melodia o viceversa? Componi e scrivi sempre da sola o collabori anche con altri autori?
Non ho mai collaborato con altri, ma deve essere divertente e voglio presto provare. Finora ho composto sempre da sola, lontana da tutti, in uno stato di tale concentrazione che, anche se qualcuno mi parla, non me ne accorgo. Se mi metto a dar forma a un nuovo pezzo è per dire qualcosa di intimo e questa solitudine mi permette di mantenere pieno controllo creativo sia sul testo che sull’idea musicale. Di fatti, quando scrivo parto sempre da un’emozione ed è da questa che sgorgano insieme testo e melodia: per me non esistono parole giuste a prescindere dal loro suono, e suoni giusti a prescindere dalla nota in cui respirano. La voce e lo strumento hanno la funzione di esprimere con la maggior fedeltà possibile l’emozione da cui sono partita. In questo senso, assonanze, consonanze, rime e ritmo all’interno dei testi, oltre a fare da controcanto alla melodia, costituiscono una parte essenziale del significato del brano a cui dedico molta attenzione.

Nella tua nota biografica parli di un disco quasi pronto, con 14 canzoni già scritte. Puoi anticiparci qualcosa di questo progetto?
Anche se scrivo nell’ombra da tanti anni, il mio progetto musicale è giovane: ha appena compiuto un anno. C’è molto che voglio imparare, soprattutto attraverso le collaborazioni – in parte già avviate- per arricchire gli arrangiamenti dei brani. Mentre il mio stile vocale è riconoscibile, sperimentare con altri musicisti mi sta aiutando a trovare la stessa personalità anche in ambito strumentale. Ciò su cui credo di avere una visione già abbastanza matura sono i contenuti: dietro a tutte le canzoni scritte finora c’è una direzione coerente. L’album sarà la forma più adatta per raccontare quest’unica grande storia, i cui protagonisti sono donne in conflitto più o meno aperto con la società e uomini che vogliono, ma non sanno come amare.