INTERVISTA – Simona Boo e Bimbi di Fumo: un’intesa fatta di ideali comuni e libertà espressiva

Simun è a Musicultura 2025

Sono bastati tre anni per portare Simona Boo e Bimbi di Fumo a una sintonia artistica che, nonostante la giovane età del gruppo, formatosi nel 2022, sembra scaturire da una vita insieme. La connessione del trio – composto oltre che da Simona da Luigi Di Costanzo e Luigi Orlando – nasce dal comune amore per la musica e dalla condivisione degli stessi ideali, cementificati dalla libertà artistica, e pratica, di non doversi porre limiti nella ricerca e nell’esecuzione, nonché dalla volontà di voler produrre musica che piaccia in primis a loro stessi. Il racconto musicale che ne scaturisce è un dipinto in cui notevole è la capacità di delineare chiare immagini sonore, tratteggiando spaccati di realtà, poi tramutati in brani, che vanno al di là delle parole, non relegando mai il suono a semplice accompagnamento, ma anzi mettendolo in primo piano. Un esempio di questa fusione è Simun, il pezzo col quale sono stati selezionati tra i 16 finalisti di Musicultura, che porta in scena, grazie alla delicata elettronica e all’arpeggio fluido delle chitarre, l’idea
del deserto come immaginario di un tempo che scorre lento e sinuoso, contrapposto ai ritmi incalzanti e spezzati tipici della realtà urbana.

Simona Boo e I Bimbi di fumo alle Audizioni Live di Musicultura 2025

Simona Boo e Bimbi di Fumo è un progetto nato solo tre anni fa, ma sul palco delle Audizioni Live avete mostrato una notevole affinità, fondendo raffinatezza e intensità espressiva, grazia e passione, tanto che sembrava vi conosceste da molto più tempo. Come è nato il vostro trio e da dove arriva questa connessione così forte?
Il trio nasce dall’unione di due realtà che hanno come comune denominatore Luigi Di Costanzo, e dalla volontà di tutti e tre di cercare qualcosa di nuovo, un suono caratteristico; la forte connessione nasce sia dalla ricerca collettiva di un determinato timbro – riuscendo a vedersi e a lavorare in maniera autoprodotta, quindi senza porsi limiti di tempo e di sperimentazione ed essendo disposti anche a cestinare tutto dopo una giornata intera -, sia dal fatto che, fuori dalle “mura musicali”, ci troviamo bene insieme e riusciamo a
condividere diversi momenti belli. Insomma, tutto parte dal desiderio comune di creare una musica per noi, che piacesse prima di tutto a noi, e da ciò che ci lega: la passione per la musica, appunto, e la voglia di voler comunicare messaggi di pace, di amore e di fratellanza da contrapporre a questo mondo violento, scorretto, incoerente e falso.

Il vostro nome d’arte prende ispirazione dalla canzone Il Bambino di Fumo di Lucio Dalla, che affronta il contrasto tra la città e la natura, simbolizzando la fragilità e il desiderio di ritorno alla purezza. Come mai avete scelto questo riferimento e in che modo rispecchia il vostro percorso musicale e il messaggio che volete trasmettere?
Ci sono tante motivazioni. La canzone Il Bambino di Fumo apre e chiude con i suoni della città, il traffico, i clacson, e un rumore di passi; descrive una città indefinita che potrebbe essere anche Napoli e a rafforzare quest’idea è il canto a fronn’ ‘e limone – canto libero – sul finale. Ma più che allo smog ci è piaciuto molto associare l’idea di fumo alle fumarole vulcaniche dei Campi Flegrei, che è il territorio sul quale viviamo tutti e tre. Inoltre, tutti e tre siamo decisamente dei bambini che amano ancora giocare e sognare e che
condividono appunto la stima per Lucio Dalla, per cui la scelta di questo nome ci è sembrata coerente coi nostri gusti. E anche con i nostri ideali: il brano è attualissimo nella sua denuncia ai problemi ambientali di inquinamento provocati dall’uomo.

I vostri brani nascono dall’intreccio delle idee di tutti e tre i componenti. Come funziona concretamente il vostro processo creativo? Come riuscite a bilanciare le vostre diverse influenze musicali e a far confluire nel progetto le esperienze artistiche che avete maturato nei vostri percorsi precedenti?
I modi in cui nascono i nostri pezzi fino a oggi sono stati sempre tutti diversi. Il processo creativo cambia a seconda dei brani, che partono da scheletri definiti dal rapporto tra melodia, accordi e testo; la fase di produzione, poi, spesso prende piede da un’idea di timbro, di suono, ma anche di immagini, o di scenari. Diventano fondamentali, dunque, le varie influenze musicali e i diversi ascolti, perché il risultato finale è una commistione di tutti questi ingredienti, con la continua sfida di creare qualcosa di nuovo ma soprattutto
di identitario.

Uno dei brani che avete presentato alle Audizioni di Musicultura, Tutt’ e Culure, trasmette un forte messaggio di inclusione e apertura al mondo, e lo fa in napoletano, la lingua legata alle vostre radici. Per voi, usare il dialetto è un modo per rafforzare la vostra identità o lo sentite come un ponte verso l’universalità, anziché un confine?
Il napoletano, in generale, è una lingua particolarmente musicale, ha al suo interno dei suoni che in maniera onomatopeica già ti riportano al senso della parola; ha una sua scansione metrica e melodica già nel parlato e i tipici ornamenti a “fronna” avvicinano la voce a uno strumento non ben definito, e viceversa uno strumento suonato in un certo modo può assomigliare a una voce umana. La lingua napoletana è fortemente identitaria, e rafforzare la nostra identità attraverso il suo utilizzo è sicuramente una nostra prerogativa.

Sempre in Tutt’ e Culure parlate di unire i colori, senza paura di mescolare culture diverse. Musicultura raccoglie artisti da background, stili e origini differenti, rappresentando un po’; questo stesso incontro. Ora siete tra i sedici finalisti del Festival con il brano Simun: cosa vi aspettate da questa esperienza in termini di crescita e scambio musicale?
Già prima di partire, alcuni colleghi che avevano partecipato alle edizioni precedenti ci avevano descritto una meravigliosa atmosfera tra i concorrenti, dietro le quinte, con il pubblico, la giuria e lo staff tecnico. Questa descrizione non è stata smentita dall’esperienza delle Audizioni, durante la quale abbiamo scoperto degli artisti di grande talento e originalità con i quali, a prescindere
dall’esito del concorso, sarebbe un piacere collaborare e scambiare idee. E poi ci fa molto piacere aver avuto un riscontro così positivo da farci arrivare tra i 16 finalisti. L’aspettativa, o la speranza, è ora quella di poter riuscire a vivere di musica in un’epoca sempre più difficile per questo ambito e non solo. Poi, sicuramente, è anche quella di continuare a scrivere per portare la nostra musica e il nostro messaggio a tanti.