Tra paesaggi interiori e sonorità elettroniche, ME, JULY è il nome d’arte dietro cui si cela una scrittura che è insieme racconto di sé e canto corale, esplorazione del presente e ritorno alle origini. Nato nella campagna campana e cresciuto tra studi da musicista e produzioni d’autore, Giuseppe Fuccio – questo il nome all’anagrafe dell’artista – si affaccia oggi al panorama musicale con Mundi, un EP che vibra di evocazioni dialettali, memorie ancestrali e una tensione costante tra intimità e spazialità sonora. A emergere in questa intervista della Redazione di Sciuscià è la figura di un trentenne che ha smesso di rincorrere affannosamente obiettivi e ha iniziato a raccontarsi, trovando nella musica un linguaggio aperto, poetico, profondamente radicato: «Mundi è nato dall’esigenza di sentirsi parte di qualcosa di incandescente e senza tempo». Ed è anche l’omonimo brano con cui ME, JULY prosegue il viaggio a Musicultura 2025, tra i 16 finalisti del Festival.

Il tuo progetto fonde sonorità che spaziano dal cantautorato all’elettronica, creando un equilibrio tra intimità e sperimentazione. Come hai costruito questa identità musicale? Ci sono stati momenti o influenze che hanno segnato particolarmente il tuo percorso?
Quando ho iniziato la scrittura dei brani dell’EP, l’immaginario ME, JULY, dal punto di vista artistico, è emerso lentamente. In questo progetto ho riversato la mia condizione di trentenne in preda a una rivelazione personale, non più legata al dover rincorrere un obiettivo con affanno bensì al raccontarmi e raccontare nel modo più sincero possibile. Nel ricercare ciò, i brani sono nati principalmente sperimentando sulla chitarra, che è il mio strumento principale, che in un secondo momento ho unito alle mie idee di contaminazione elettronica per descrivere al meglio le immagini delle canzoni.
Il legame con la Campania emerge con forza nel tuo EP Mundi, sia nei testi che nelle atmosfere sonore. Quanto la tua terra d’origine influenza il tuo modo di scrivere e raccontare? È una fonte di ispirazione concreta o un filo invisibile che ti accompagna ovunque?
Il legame più forte lo avverto con i luoghi strettamente di contorno alla casa di campagna in cui sono nato e cresciuto: i paesaggi, gli scorci, i colori, l’aria e lo spazio che la circondano sono stati per me sempre un luogo d’ispirazione, una dimensione in cui raccogliermi e dar vita ogni volta a qualcosa di nuovo. Il mio modo di raccontare si basa spesso sulla volontà di descrivere le emozioni e le immagini in modo “ampio” dal punto di vista sonoro, in cui riconosco fondamentale la spazialità che ho sempre contemplato nei luoghi della mia origine.
Il brano con cui sei stato selezionato tra i 16 finalisti di Musicultura è Mundi, omonimo del tuo EP, un pezzo che intreccia immagini evocative e una forte componente identitaria, alternando italiano e dialetto; trasmette un senso di radicamento, ma anche di trasformazione. Come è nato e cosa rappresenta per te? Il dialetto è una scelta stilistica o un’esigenza espressiva che amplifica certe emozioni?
Il brano Mundi, che appunto dà il titolo al mio primo EP, rappresenta per me un momento di profonda meditazione emotiva e di consapevolezza artistica. Negli ultimi tre anni vissuti a Milano, ho avvertito un forte richiamo delle sonorità popolari meridionali che fino ad allora non avevo mai pensato potessero appartenere al mio modo di raccontare. Il periodo di lontananza da quelle sonorità ha reso catartica la mia riscoperta della musica popolare e del suono dei dialetti del sud che ho avuto modo di scoprire in nuove forme. In Mundi ho cercato di esprimere poeticamente e musicalmente l’amore viscerale della terra verso i propri figli, il prendersi cura senza pretendere nulla in cambio. Una canzone nata dall’esigenza di sentirsi parte di qualcosa di incandescente e senza tempo. Le varie influenze dialettali del ritornello – tra cui il campano, il salentino, il siciliano e il calabrese – amplificano l’urgenza espressiva di questo sentimento.
Musicultura è un festival che valorizza progetti con una forte identità e lontani dalle logiche prettamente commerciali. Come hai vissuto questa esperienza? Ti ha fatto scoprire qualcosa di nuovo su te stesso o sul tuo modo di portare la tua musica dal vivo?
Assolutamente sì. Esibirsi sul palco del teatro Lauro Rossi, durante le Audizioni, è stato incredibile. Ho vissuto quell’esperienza con grande concentrazione e consapevolezza, senza appesantirmi di pressioni immotivate. Ho molto ben chiaro il tipo di crescita e di percorso che ho fatto prima di scrivere l’EP Mundi, per questo mi sono sentito totalmente a mio agio nel momento del confronto con quel palco. Certo, non potevo esserne pienamente sicuro prima di esibirmi, ma è stato un momento di piacevole introspezione.
Se dovessi immaginare il tuo percorso musicale nei prossimi anni, cosa speri di costruire? C’è un suono o una direzione artistica che senti di voler esplorare maggiormente, o un aspetto del tuo progetto che vorresti sviluppare in modo più profondo?
Il mio linguaggio musicale è il risultato di un percorso artistico fatto di varie esperienze come musicista, autore e producer. Questo primo lavoro in studio da solista mi sta portando in una direzione che si lega inevitabilmente alla necessità di comunicare a un pubblico la mia personale visione musicale. Spero di evolvere, col tempo, proprio quella capacità comunicativa, continuando a sperimentare sia dal punto di vista poetico che sonoro.