Intervista: Ilaria Pilar Patassini torna sul palco di Musicultura

Artista senza frontiere, viaggiatrice e sognatrice, Ilaria Pilar Patassini ha esordito nel 2007 con il suo primo album intitolato Femminile singolare. Da lì la sua musica non si è più fermata, spaziando tra generi e culture, storie e viaggi. Quello stesso anno inebriava lo Sferisterio di Macerata con la sua Gente che resta, la stessa canzone che le ha permesso di vincere il premio finale di quella edizione di Musicultura. Dopo anni è tornata sotto quegli stessi riflettori a emozionare il pubblico, a lasciare messaggi d’amore e a raccontare un po’ di sé a noi della redazione di “Sciuscià”.

Leggendo la tua biografia è evidente che, oltre a un ovvio amore per la musica, una tua grande passione è il viaggio. Da cosa nascono queste tue passioni e cosa, secondo te, le unisce?

Per me la musica e il viaggio sono due cose congiunte. Chi vuole far musica deve per forza avere una vocazione al viaggio come senso dello spostamento, come senso reale di quello che si vive e di quello che si fa. I musicisti sono anche un po’ marinai. Io ogni volta non vedo l’ora di partire. Poi, giunta a destinazione, non vedo l’ora di ripartire per andare a suonare da un’altra parte. Se non viaggi non conosci, non ti distacchi dal posto in cui vivi, quindi non puoi vedere le cose da fuori. E questo è fondamentale per chi canta e per chi interpreta, come nel mio caso. Il distacco dal proprio posto è imprescindibile per poterne parlare, altrimenti si rischia di diventare assolutamente autoreferenziali. Se si parla del posto in cui si vive, della propria vita, non distaccandosene mai, è difficile riuscire a dare alla composizione un carattere universale. Sarà sempre troppo personale, quindi tenderà a parlare a molte meno persone possibili. Chi viaggia, conosce. Il viaggio non è solo un’azione fisica ma una forma di conoscenza. Anche leggere un libro è un viaggio, un atto di conoscenza per scoprire le storie altrui: se un interprete non conosce le storie altrui, come si racconta al pubblico? Per me il viaggio in sé è casa. Aspettare ai gate degli aeroporti o stare su un treno in movimento per me è casa. La considero una “droga legale”, ma alle volte anche una croce.

Sei stata una delle protagoniste di una trasmissione RAI intitolata Femminile Musicale, in un approfondimento dedicato alle problematiche presenti nella discografia italiana per le donne. Qual è il tuo parere a proposito?

Da madre di un bambino molto piccolo, posso dire che la maternità è ancora un handicap per le donne. Questa cosa per me non riguarda la politica ma proprio i diritti umani. Il sessismo e la discriminazione ci sono ancora e sono fortissimi. E io mi rendo sempre più conto del fatto che essere una donna abbia influito tantissimo nella mia vita professionale, umana e artistica. A farsi carico dei figli e del lavoro non retribuito non dovrebbero essere solo le donne. E finché questo non entra nella mente dei maschi, il divario non può essere colmato. Questo problema non si risolve mettendo gli asili nido negli uffici, se poi a portarseli dietro sono sempre e solo le donne. Il carico mentale gigantesco che noi donne abbiamo è da sempre la forma di ingiustizia più grande e scandalosa che esista al mondo. Secondo il libro meraviglioso di una sociologa, il lavoro di cura non retribuito nel mondo è al 75% sulle spalle di noi donne, e questo è un peso che appartiene solo a noi. Tutto questo, ovviamente, si riflette anche nel mondo della musica, come nel mio caso. A volte non riesco a dedicare il mio tempo allo scrivere canzoni perché devo pensare a tutte le faccende che riguardano la casa, mio figlio, eccetera. Alcuni passi avanti sono stati fatti ma non è ancora abbastanza. Se non ci si fa carico a livello comunitario di questo problema, non si risolverà mai. Fino ad arrivare al punto di cedere per stanchezza.

Hai collaborato con moltissimi artisti – per citarne qualcuno: Don Byron, Tosca, Neri Marcoré, Jean-Louis Matinier. In che modo ti hanno aiutato ad ampliare il tuo bagaglio artistico e culturale?

Collaboro in continuazione. Trovo stimolante poter condividere i miei lavori con altri artisti che stimo e che fortunatamente mi stimano. Questo mi fa sicuramente crescere. Adesso ho una collaborazione con Daniele di Bonaventura che è un bandoneonista marchigiano. Faremo uscire insieme un disco molto bello di world music realizzato insieme alla sua band storica. Ho anche una collaborazione con Geoff Westley, un direttore d’orchestra, con cui suono i brani di De André in chiave sinfonica. Spero poi di tornare in Canada per recuperare le collaborazioni che ho lasciato lì. Ci sono sempre delle collaborazioni all’orizzonte. Del resto da soli non si va da nessuna parte. Non siamo isole, al limite possiamo essere arcipelaghi!

Per quanto la cultura musicale contemporanea cerchi di inquadrare gli artisti all’interno di generi ben definiti, sembra che tu combatta proprio per evitare una sorta di inquadramento. Tuttavia, tra i tanti generi che tratti ce n’è uno che prediligi?

La bella musica: questo è il genere che prediligo.

La tua carriera discografica è cominciata nel 2007 e da lì non ti sei più fermata. Se potessi parlare alla Pilar di 15 anni fa, cosa le diresti?

Probabilmente le darei i consigli che mi sono stati dati ma che non ho mai ascoltato. Una mia insegnante, ad esempio, mi diceva di andare altrove, di espatriare, ma io, essendo troppo legata alle mie radici, non le ho dato mai ascolto. Amo troppo il mio paese e amo scrivere nella mia lingua, quindi sarebbe stato molto difficile per me andare lontano. Forse un altro consiglio che le darei è quello di stare attenta alle persone che ha intorno. Sì, un’altra cosa che le direi è proprio questa: “Cara ragazza, smettila di essere così educata e ogni tanto di’ qualche vaffanculo in più.”

RACCONTO: da La Controra ai vincitori assoluti

La sesta e ultima giornata di Musicultura inizia nel migliore dei modi: con un aperitivo. Per l’occasione, a raccontarsi al pubblico, guidati dalla conduzione delle voci di Rai Radio 1 John Vignola, Duccio Pasqua e Marcella Sullo, sono i quattro vincitori del Festival che hanno avuto accesso alla finalissima: i Malvax, THEMORBELLI, Yosh Whale ed Emit.

La Controra continua poi con Storie di straordinaria fonia. A presentare il libro è il suo autore, Rodolfo “Foffo” Bianchi, che nel volume guarda alla musica italiana dalla sua prospettiva, quella di musicista, produttore e ingegnere del suono, raccontandone cinquant’anni di storia con fatti, curiosità e aneddoti.
Spazio poi a L’angelo e la mosca: Commento sul teatro dei grandi mistici. Protagonista dell’evento è Massimiliano Civica, regista teatrale che spiega al pubblico che “Il teatro è una religione mistica che non ha dogmi e che mette al centro l’uomo”.

L’ultimo evento de La Controra? John Vignola è a A tu per tu con Manuel Agnelli. Piazza Cesare Battisti ospita così un grande volto della musica italiana che racconta aneddoti relativi alla sua carriera e dichiara: “È un’arte quella di perdere il controllo, quella di lasciare che la magia faccia accadere le cose”.

E quella stessa magia la ritroviamo sul palco dello Sferisterio, dove proprio Agnelli è tra gli ospiti della finalissima del Festival.
L’arena è gremita e accoglie con affetto Ilaria Pilar Patassini, ex vincitrice del Festival, che si esibisce con il suo brano Lascia ch’io pianga.

È poi la volta di Enrico Ruggeri, conduttore delle serate finali insieme a Veronica Maya, che con La rivoluzione anticipa l’ingresso in scena dei primi due vincitori del concorso.
Tra le poltrone e i palchetti, dalle gradinate alla platea, risuonano così le note di Esci col cane dei Malvax e di Vino di Emit.

È poi Gianluca Grignani a regalare ai presenti tre dei successi della sua carriera artistica – La mia storia tra le dita, Sogni infranti e La fabbrica di plastica – per poi lasciar spazio agli altri due vincitori del concorso: THEMORBELLI con il brano Il giardino dei Finzi Contini e gli Yosh Whale con Inutile.

E protagonista torna a essere lui, Manuel Agnelli, che regala allo Sferisterio, con un’intima performance chitarra e voce, Padania e Non è per sempre.

Ed è subito tempo di riconoscimenti: Il Premio della Critica Piero Cesanelli viene assegnato a Isotta; il Premio NuovoIMAE finisce nelle mani degli Yosh Whale.

A salire di nuovo sul palco, poi, è Ilaria Pilar Patassini, che si esibisce in due pezzi, Luna in ariete e Todo cambia di Julio Numhauser, prima di lasciar spazio a un’altra incredibile voce femminile, quella di Emiliana Torrini. Accompagnata dalla The Colorist Orchestra, l’artista islandese, per questa sua unica tappa italiana, regala a Macerata Jungle Drum, Mikos, Hilton e Blood red.

E infine, il grande annuncio: i vincitori assoluti di Musicultura 2022 sono gli Yosh Whale! Il gruppo salernitano riceve il Premio Banca Macerata di 20.000 € consegnato da Ferdinando Cavallini, Presidente dell’istituto di credito.

 

RACCONTO: da La Controra ai live all’Arena

Macerata si prepara a ospitare la quinta giornata del Festival oramai sempre più ricco di novità: narrazione, podcast, fotografia, scrittura e tanta musica!

Agli esordi delle serate di finalissima allo Sferisterio, nell’aria si sente profumo di novità e l’energia che solo la musica live sa dare. E ancora, tanta curiosità e condivisione agli immancabili eventi proposti da La Controra. La giornata si apre con lo speaker Filippo Ferrari e il conduttore radiofonico John Vignola che, tra scambi di esperienze, raccontano di podcast e di tutto ciò che gira intorno a questa nuova forma di comunicazione uditiva-non-visiva: “Il bello del podcast, soprattutto di quello indipendente, è che è un laboratorio personale, come un libro auto-pubblicato”.

Il pomeriggio tra le vie del centro storico maceratese si arricchisce di incontri: con il format di “Le parole che non ti ho detto”,  Ennio Cavalli intervista il giornalista Andrea Vianello. Un racconto toccante il suo, dal dolore e la fragilità di una malattia al cervello alla rinascita del linguaggio grazie al sostegno degli affetti più cari. Vianello racconta che per tornare a parlare c’è bisogno di amore, tanto amore. “Forse è proprio la carica affettiva, il trasporto insito in questa parola che è l’unico vero motore per vivere”.

La giornata prosegue con un’ulteriore intervista, questa volta alla cantautrice romana conosciuta sotto lo pseudonimo di Ditonellapiaga che si racconta a John Vignola confessando qualche particolare aneddoto della sua carriera artistica, esplosa anche grazie alla partecipazione allo scorso Festival di Sanremo. La giovane cantante si svela al pubblico maceratese: “Sento di avere ancora tanto da sperimentare e da imparare. Amo fare ricerca per la scrittura di un disco”.

È la volta di un altro ospite tanto atteso: il fotografo e critico musicale Guido Harari. Ad accompagnarlo nelle sue rivelazioni sono gli intervistatori Marcella Sullo di Rai Radio 1 e il giornalista de Il Giornale Paolo Giordano. Tra domande e curiosità del pubblico, Harari racconta di mille imprese fotografiche, di incontri mirabolanti con i più grandi miti della storia del panorama musicale, descrivendo il magico connubio che da decenni unisce il mondo della fotografia con quello della musica. Parla dei suoi anni ’90 e della spiccata volontà di creare delle autobiografie reali di memoria fotografica, come quelle dei cantautori Fabrizio De André e Giorgio Gaber.

Sul far del tramonto inizia lo show: tutta l’attenzione sull’Arena Sferisterio, per la finalissima della XXXIII edizione del Festival. È il gruppo ucraino dei DakhaBrahka a dare inizio alle danze, con il pensiero e il cuore rivolto alla propria terra.

Spazio ai giovani protagonisti della canzone italiana: Isotta è la prima finalista a esibirsi sul palco e inaugura gli otto brani concorrenti intonando Palla avvelenata. Seguono Valeria Sturba con Antiamore, THEMORBELLI con Il giardino dei Finzi Contini e Martina Vinci con cielo di Londra.

Tra le novità degli esordienti allo Sferisterio, una pausa con un grande classico della musica nostrana, menestrello della canzone italiana, il cantante genovese Angelo Branduardi. Dopo i brani Confessioni di un malandrino e Il dono del cervo, a sorpresa il maestro propone sul palco dell’Arena una rivisitazione de Alla fiera dell’est con una strofa in ucraino.

Si ritorna alla rosa degli 8 vincitori: i prossimi artisti a esibirsi sono Cassandra Raffaele con La mia anarchia ama te e i Malvax che interpretano Esci col cane. Con Vino, Emit coinvolge il pubblico dello Sferisterio con la sua settima proposta in gara. A terminare la fila degli otto sono gli Yosh Whale, band salernitana che calorosamente canta Inutile.

Ritorna, questa volta in live, la cantante Ditonellapiaga che accende gli animi dello Sferisterio con i brani Per un’ora d’amore e Chimica, cavallo di battaglia che l’ha resa celebre a seguito del Festival di Sanremo.

E poi, quando il rock chiama, i Litfiba rispondono! I brani Vivere il tempo, Il mio nome è mai più che Pelù dedica alle popolazioni dell’Ucraina, di Gaza e di Kabul, Lo spettacolo e El Diablo scatenano letteralmente il pubblico dell’Arena. Mauro Giustozzi e Graziano Leoni consegnano l’onorificenza per Alti Meriti Artistici alla rock band di Piero Pelù.

A seguire, è la volta del trio franco-mongolo-bulgaro de i Violons Barbares che fanno doppietta al Festival con ritmi etnici energici, sonorità  inedite e musiche baltiche che ammaliano il pubblico marchigiano in Arena.

In chiusura di serata, vengono assegnati i premi ai vincitori di Musicultura: il premio Miglior Testo viene consegnato dagli studenti dell’Università di Camerino e di quella di Macerata alla band Yosh Whale; il premio AFI invece viene assegnato a Isotta da Sergio Cerruti, presidente stesso dell’AFI (Associazione Fonografi Italiani). Regalo a sorpresa per la città: one-man show con Enrico Ruggeri e la sua esibizione in Arena.

Ci rivedremo nella seconda serata della kermesse? L’Arena si colora di azzurro con un quartetto tutto al maschile: Emit, THEMORBELLI, Malvax e Yosh Whale sono ufficialmente i quattro protagonisti della finalissima della XXXIII edizione di Musicultura 2022.

RACCONTO: il giovedì targato La Controra 2022

La Controra di Musicultura continua e il primo ospite della giornata di ieri è Ennio Cavalli. Nel cortile del Palazzo Comunale lo scrittore, poeta e giornalista presenta le sue ultime fatiche letterarie: la raccolta di poesia Amore Manifesto e il romanzo Parabola di un filo d’erba. In quest’ultimo, centrale è il tema della vecchiaia, che secondo l’autore “altro non è che l’insieme degli anelli della giovinezza”.

Spazio poi al secondo ospite, il regista e autore televisivo Duccio Forzano. È possibile imparare a incassare i colpi più duri e non smettere di credere, nonostante ciò, nell’occasione della propria vita? La risposta, positiva, è contenuta proprio nel romanzo di Forzano, Come Rocky Balboa. “Nel mio caso – si legge nella quarta di copertina – le delusioni e la sofferenza mi hanno messo a dura prova fin da piccolo, ma in qualche modo sono riuscito a trasformare tutto quel dolore e tutti quegli ostacoli nell’energia positiva che mi serviva per andare avanti e per raggiungere obiettivi che chiunque avrebbe considerato irraggiungibili”.  È la storia della sua vita, insomma, quella che il regista racconta tra le pagine e al pubblico di Musicultura in compagnia del conduttore radiofonico John Vignola; è una storia portatrice di un messaggio di rivincita che vale esclusivamente a una condizione: “è possibile concretizzare i propri sogni solo se ci si crede davvero.”

Per la serata protagonista torna a essere la musica con il concerto dei Violons Barbares. Con l’esibizione del gruppo Macerata si trasforma nella Ulan Bator del XVIII secolo; o magari nella Parigi dell’epoca degli Impressionisti; o forse nella Bulgaria di fine Ottocento. Insomma, grazie alla performance della band il tempo e lo spazio si annullano. E per un attimo tutto è “qui e ora”, “hic et nunc”, grazie alla gadulka, i violini, le percussioni, il canto armonico.

Ma non è tutto qui. Perché nel frattempo, nel cortile di Palazzo Buonaccorsi, uno dei più grandi discografici della musica italiana viene omaggiato con la proiezione di un docufilm di Roberto Manfredi, Nanni Ricordi, l’uomo che inventò i dischi. E che produsse i lavori, solo per citarne alcuni, di artisti del calibro di Umberto Bindi, Gino Paoli, Luigi Tenco, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Sergio Endrigo e Ornella Vanoni, scrivendo la storia del cantautorato nostrano.

RACCONTO: il mercoledì maceratese de La Controra

Dopo due giornate trascorse all’insegna di fortissime emozioni, entusiasmo e partecipazione da parte del pubblico accorso da ogni angolo della regione Marche per assistere agli eventi proposti, la terza giornata de La Controra non delude le aspettative.

Il primo capitolo della giornata si apre con “Scrivere per ricostruire. Voci e storie del dopo terremoto”, progetto ideato e promosso dall’Istituto Storico di Macerata e la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Il progetto nasce con l’intento di ri-costruire le memorie delle comunità delle aree interne della provincia maceratese in seguito ai terremoti che hanno colpito l’Appennino dove, tra ritardi e polemiche, la ricostruzione ha tardato a iniziare. Presso la Sala Castiglioni della Biblioteca Comunale di Macerata sono presentate storie di vite attraversate dalla fragilità, dal coraggio e dalla speranza. Sono storie di donne, uomini, bambini, anziani. Molti sono i temi che vengono trattati tra cui il passato, la riorganizzazione della propria vita e la voglia di ricostruire con la convinzione che è proprio la forza del racconto e della scrittura ad aiutare a risanare le ferite e a rimettere insieme quanto dentro e fuori di sé sta andando in pezzi.

La giornata prosegue presso il Cortile di Palazzo Buonaccorsi, dove bambini, genitori e lettori curiosi accolgono l’editrice e autrice Elisabetta Dami, teneramente conosciuta come la “mamma” di Geronimo Stilton. Dami, insignita da poco del titolo di Commendatore della Repubblica Italiana, ripercorre la storia della sua vita attraverso una serie di aneddoti e racconti inediti e racconta al pubblico presente come da una esperienza personale, l’adozione presso la tribù di nativi americani Cherokee, l’autrice abbia tratto lo spunto per il suo ultimo romanzo. Così parlò Lupo Blu è un viaggio avventuroso nella natura selvaggia alla scoperta del vero senso della vita e dei valori fondamentali quali la cooperazione, la tolleranza e il rispetto per noi stessi, per gli altri e per la Natura. Un romanzo che parla a tutti, grandi e piccini, e ci ricorda la bellezza della diversità e il potere straordinario delle storie come queste, toccanti, dolci. Lupo Blu ci insegna che noi, attraverso le scelte che compiamo ogni giorno, siamo i responsabili e gli artefici del nostro destino e che il futuro è nelle mani di chi ha la forza e il coraggio di continuare a sognare e a ricercare la felicità.

Le vie di Macerata si riempiono poi di gioia e colori grazie all’ Hoopelaï Hula Hoop Show di Andreanne Thiboutot, artista canadese che nella sua importante carriera vanta meravigliose collaborazioni con il prestigioso Cirque du Soleil. In Hoopelaï, Thiboutot, veste i panni di Madame Jocelyn, una donna elegante e sofisticata, che si stordisce a far girare i suoi hula hoop.  Grande è il coinvolgimento del pubblico, giovane e meno giovane che con grande stupore e meraviglia si lascia affascinare ed emozionare da tanta bellezza e tanta arte.

La sera si accendono i riflettori su Piazza della Libertà Il sindaco di Macerata, Sandro Parcaroli e la direttrice commerciale di Banca Macerata, Debora Falcetta, sottolineano l’importanza di un festival come Musicultura per la comunità maceratese. Spazio poi a John Vignola per l’inizio della serata musicale in compagnia degli otto vincitori di Musicultura 2022.

La prima a esibirsi è Isotta, artista senese che porta sul palco le sue Palla avvelenata e Psicofarmaci, a detta della cantautrice una metafora di tutti quei “castelli di sabbia che la nostra mente crea per cercare di stare meglio con se stessi e nel rapporto con gli altri”. Spazio poi all’anima dolce ed elettronica di Martina Vinci, cantautrice e musicista genovese che ha incantato la platea con Il cielo di Londra e Parole di troppo, canzone che parla dei mille modi possibili di vivere l’amore, invita ad accettarsi e ad accettare gli altri e a fare delle proprie insicurezze dei punti di forza. La serata continua poi con THEMORBELLI, autore e interprete de Il giardino dei Finzi-Contini e THERINASCIMENTO, una canzone d’amore non convenzionale che lascia trasparire una rabbia velata la quale sottende una gioia e un amore infinito per la vita. Il quarto ad esibirsi è Emit. Il cantautore sottolinea l’importanza che le parole hanno all’interno della sua produzione artistica e suggerisce delle bellissime immagini con i suoi due brani Vino e Mare.

Altra presenza femminile è quella di Cassandra Raffaele. La musica rappresenta per lei un rifugio, una luce, un fuoco che le brucia l’anima e che la porta a intonare le note de La mia anarchia ama te e Sarà successo. Seguono gli Yosh Whale, che con le loro Inutile e Stanca portano sul palco la loro musica frutto di un ricercato lavoro di sperimentazione e contaminazione. È il turno poi di Valeria Sturba, artista polistrumentista che grida forte il suo Antiamore e racconta i mille mondi interiori che convivono in ognuno di noi con Le cose strane. Ultimi a esibirsi sono i Malvax che, con una straordinaria capacità di coinvolgere il pubblico presente, eseguono le loro canzoni Esci col cane e Sneakers.

Intervista: con Elisabetta Dami, l’arte della curiosità a La Controra 2022

Chi, come noi della redazione di “Sciuscià”, ha la possibilità di incontrare di persona Elisabetta Dami, capisce subito che di fronte non ha solo l’autrice di Geronimo Stilton. Classe 1958, da sempre dedica la sua vita alla scrittura e ai viaggi. Tra un libro e l’altro ha corso tre volte la maratona di New York e una volta la durissima 100 km del Sahara; ha preso il brevetto da pilota d’aereo e fatto paracadutismo. Per il suo ruolo di storyteller è stata adottata ufficialmente da due tribù di nativi americani: il Popolo degli Hopi e quello dei Cherokee. Avventura, rispetto e curiosità sono i suoi principi guida nel lavoro e nella vita. Anche se la sua missione principale consiste nell’educazione di bambini e ragazzi, una cosa è certa: Elisabetta Dami è un esempio per tutti, grandi e piccini.

Nella tua biografia dici che in ogni libro c’è un po’ di te, soprattutto la tua passione per l’avventura. Come riesci a prendere le distanze dal tuo vissuto personale e a trasformarlo in una storia?

In realtà tutte le esperienze che faccio, da sempre, mi sono servite. Sono la materia prima da cui parto per elaborare le emozioni che ho provato e trasmetterle ai lettori che magari non hanno ancora l’età, o le capacità di organizzarsi – magari le avranno in futuro – per scalare il Kilimangiaro, completare una maratona di centoventi chilometri nel deserto del Sahara o un trekking in Nepal. Sono tutte cose che mi hanno insegnato moltissimo su me stessa e di cui sono grata alla vita. Quindi parto dall’emozione che ho provato in queste avventure e cerco di trasmetterle a chi legge, in modo che il libro sia come una finestra sul mondo, capace di immedesimare il lettore nella realtà vera di quello che ho sentito io. Per esempio, una volta mi chiesero – più di vent’anni fa – di scrivere un libro di Geronimo sulle cascate del Niagara e c’era pochissimo tempo perché il lavoro era urgente. Dissi che ci dovevo andare, e tutti a ripetermi che ero la solita esagerata, che avrei potuto solo studiare un po’. Volevo – e voglio ancora – l’emozione. Quando arrivai là capii che avevo ragione. La cosa curiosa che scoprii alle cascate è che tu senti un rumore fortissimo prima ancora di vederle. E proprio questo ti dà l’emozione: comprendere che quella è una cosa assolutamente fuori dal normale. Lo stesso mi accadde quando per la prima volta mi trovai vicino a degli elefanti nella riserva naturale di Dzanga-Sangha in Centrafrica: prima di vederli, senti il terreno che trema e senti l’odore, questo odore di selvatico che non è sgradevole e sa di foglie bagnate, di fango, di terra, di piante, di esotico, di Africa. E la guida ti dice: “Arrivano!”.

I valori e gli ideali che cerchi di trasmettere nei tuoi libri sono approdati in tutto il mondo: Geronimo Stilton è stato tradotto in ben 49 lingue, dall’inglese al cinese, fino  all’arabo. Come si arriva al cuore dei bambini quando hanno una cultura di base tanto diversa dalla nostra?

I bambini in tutto il mondo, almeno fino ai dieci anni, sono molto simili perché sono istintivi e danno una grande importanza al cuore. Vedo che rispondono alle stesse leve psicologiche ed emotive, proprio per questa loro capacità così autentica di essere sinceri. I valori di Geronimo sono onestà, lealtà, sincerità, amicizia, soprattutto rispetto. Rispetto per la natura significa ecologia, rispetto per gli altri significa valorizzazione delle diversità, inclusione e pace. Rispetto per se stessi significa non fare mai nulla che possa farti del male, per esempio non avvicinarsi alle droghe o all’alcol. Ci sono anche il rispetto per la famiglia, per la scuola, per le istituzioni, per la legalità. Tutti questi valori aiutano i bambini a inserirsi in modo pacifico e civile nella società, ma il punto più importante è la speranza. Geronimo è nato proprio così, in un ospedale, per dare speranza ai ragazzi. Poi le sue storie sono anche avventure, colpi di scena in ogni pagina e umorismo, che è fondamentale.

Il tuo ultimo libro, Così parlò Lupo Blu, si discosta in parte dalla produzione precedente, soprattutto per quanto riguarda i possibili destinatari del testo: non solo piccoli uomini e donne, ma anche ragazzi e adulti. Come è emersa l’esigenza di parlare a una platea più ampia?

Per oltre vent’anni ho parlato con la voce di un topo, poi ho pensato di fare un libro per i più piccoli: sono nati Billo e Billa nella Valle della Felicità. In ogni libro spiego un valore e cerco di aiutare i genitori ad affrontare certi temi difficili. Il lupo, invece, è un animale che parla al cuore di tutti noi e desideravo scrivere un’avventura senza tempo, alla scoperta del senso della vita. Attraverso la voce di questo personaggio speciale volevo raccontare la mia esperienza. Vedo che i giovani hanno bisogno di sentirsi confortare da qualcuno che dica loro: “Io ti racconto ciò che ho imparato, secondo me ti sarà utile”.

Suoni il pianoforte e da anni sei ambasciatore dello Zecchino d’Oro e dell’Antoniano Onlus. La tua presenza a Musicultura evidenzia l’aspirazione di questo Festival a essere un’officina dell’arte in tutte le sue forme, una scuola per chiunque abbia voglia di imparare. A te cosa ha insegnato la musica?

La musica è forse l’unico linguaggio universale perché – di nuovo – parla al cuore di tutti. Quando ci si riunisce in nome della musica non si può sbagliare e a quel punto si può parlare anche di cultura, di libri. Qui al Festival ho trovato un clima di amicizia che mi piace tantissimo. Infatti ho chiesto a Ezio (Nannipieri, il direttore artistico di Musicultura, ndr) di invitarmi anche l’anno prossimo. Magari troverò qualcos’altro di intelligente da dire!

Dopo quarant’anni di carriera come si conserva e protegge quella curiosità di bambina che, come dici, ispira ancora il tuo lavoro?

Guarda, li ho contati l’altro giorno: sono 45. Io ho 63 anni e sono orgogliosa di dirlo perché nel cuore me ne sento meno e, quando scrivo, ritorno ai miei 7 anni. Però sono anche contenta di essere “maturata”, come direbbe Geronimo per il formaggio. L’età mi ha insegnato un sacco di cose. Sono migliorata con gli anni: per esempio, ho imparato la pazienza – una virtù che da giovane non avevo – e ho capito l’importanza della gentilezza. Sono felice che la mia esperienza possa passare a qualcuno.

Hai già fatto il giro del mondo e visitato alcuni dei luoghi più singolari del pianeta. Dove ti porterà il prossimo viaggio?

Tocchi un punto sensibilissimo. Iniziai a lavorare a 18 anni con mio papà e a 25 gli dissi: “Senti, qui ho capito che per far le cose come dico io devo lavorare tanto, sarà impegnativo e mi ci voglio buttare bene. Adesso mi prendo sei mesi sabbatici e vado a fare il giro del mondo”. Partii con i soldi che avevo guadagnato e messo da parte religiosamente, in classe economica e da sola perché volevo fare esperienza. Ho visto di tutto, ma non è stato facile. A metà ci ho messo anche un corso di sopravvivenza nel Maine. Però è stato favoloso e da qualche tempo a questa parte mi sono detta: ho lasciato passare quarant’anni, adesso lo devo rifare!

Intervista: Roberto Piumini ospite a La Controra 2022

Roberto Piumini ha sempre giocato con i suoni, le parole, i racconti. È stato, all’inizio della sua carriera, insegnante di lettere e attore teatrale. La scrittura è arrivata quasi naturalmente, nel 1978: da allora ha pubblicato moltissimi libri di fiabe, filastrocche e testi teatrali, diventando uno dei nomi più importanti della letteratura per l’infanzia. E non solo: perché dagli anni ’90 ha anche scritto romanzi, racconti e poemi per i più grandi.

Ieri ha messo un po’ di quelle storie in valigia e le ha portate a Macerata, per la Controra di Musicultura. Nella Sala Castiglioni della Biblioteca Mozzi Borgetti, assieme a Nadio Marenco che lo ha accompagnato con la sua fisarmonica, ha letto ad alta voce le avventure de “Il Piegatore di lenzuoli”. Noi della redazione di Sciuscià l’abbiamo intervistato, per conoscere meglio il suo percorso artistico, le sue idee sul mestiere di scrivere, le sue ispirazioni. Ecco cosa ci ha raccontato:

Partiamo così, a bruciapelo: come nasce una filastrocca?

La filastrocca nasce dal gioco: il gioco delle parole e del senso, e il gioco dei suoni. È qualcosa che origina nella parte ludica e fonosimbolica della nostra mente, dalla voglia di creare e poi di condividere con gli altri. “Altri” che in questo caso sono i bambini. In un primo momento la filastrocca appartiene solo a chi la scrive, ma fa presto a diventare divertimento, coralità, danza e movimento, voglia di partecipare insieme. È un materiale verbale dinamico.

Ha tradotto poemi di Browning, i Sonetti e il Macbeth di Shakespeare. Come si integra il suo lavoro di traduttore con quello di scrittore per l’infanzia?

Il mio lavoro di traduttore è una sorta di “prolungamento ludico” della mia attività di poeta. Ma senza la responsabilità di narrare e di inventare. Con la traduzione ho la possibilità di far dilatare al massimo l’intervento del mio linguaggio e della mia capacità di costruire e di creare. Di mestiere non faccio il traduttore, però quando traduco mi informo sul campo semantico usato dall’autore, faccio una sorta di “perizia investigativa” sulla metrica, studio la lingua, le metafore. Però non mi dimentico mai di essere anche un poeta, quindi cerco di creare delle versioni che siano comunque fedeli, ma più godibili e con più canto.

Ha lavorato al fianco di diversi musicisti per la realizzazione di libri su autori, strumenti e stili musicali. Com’è nata l’idea di queste collaborazioni?

Diversi decenni fa Bruno Lauzi, cantautore della gloriosa epoca del cantautorato italiano, mi fece iscrivere alla SIAE. Aveva visto e apprezzato alcuni dei miei testi, e voleva a tutti i costi che io diventassi autore musicale per potermi coinvolgere in un progetto. La cosa alla fine non avvenne, il progetto non fu mai realizzato, ma io rimasi comunque formalmente un autore. Quando cominciai a girare per le scuole e per le biblioteche per fare spettacoli sui miei testi accompagnato da musicisti scoprii che non avevo nessuna difficoltà a scrivere canzoni. È un’attività che mi diverte tantissimo, proprio come mi diverte fare traduzioni. Credo che in entrambi i casi, infatti, ci sia una parte poetica preesistente; quindi posso rivolgermi con più attenzione al mio campo specifico: quello delle parole. Le considero entrambe attività “defaticanti”. Il che può sembrare strano, perché una traduzione come quella del “Paradiso Perduto” mi ha occupato circa un anno e mezzo. Ma è un gioco: un gioco che si fa con qualcosa detto già da altri o che sta per essere detto da altri, e io cerco di giocare nel miglior modo possibile.

Che valore attribuisce alla poesia quando afferma che “partecipa al colloquio del mondo, anche quando è un canto solitario”?

Attribuisco alla poesia un valore antropologico. È senz’altro l’atto espressivo più profondo e più legato alla memoria, al desiderio, all’esperienza, all’identità. È quello che più di ogni altra cosa richiama una risposta nell’altro.

Da oltre trent’anni Musicultura accoglie moltissimi giovani cantautori. Parliamo di musica d’autore in cui ognuno esprime una parte di sé, del proprio animo. Quali sono le sue impressioni a proposito?

Posso parlare dei miei gusti personali, perché non sono un ascoltatore per così dire “qualificato”. Mi piacciono i cantautori che non scrivono con un eccesso di letteratura, ma che lavorano sull’espressività. Preferisco i cantautori che non vogliono essere troppo letterati, insomma. Quelli che trovano il giusto equilibrio, senza esagerare nel profetarsi poeti.

Musicultura e Banca Macerata

Venerdì 24 e sabato 25 giugno, l’Arena Sferisterio farà da scenario alle esibizioni degli 8 vincitori della XXXIII edizione di Musicultura. Alla fine delle due serate verrà assegnato il premio Banca Macerata, del valore di 20.000 euro, al vincitore assoluto di questa XXXIII edizione. Ecco, proprio valorizzare l’eccellenza e i giovani talenti musicali è uno degli obiettivi che la partnership tra Musicultura e Banca Macerata intende perseguire. In un momento storico come questo, in cui ricominciare è la parola d’ordine, il Presidente dell’istituto di credito, Ferdinando Cavallini, ci ricorda proprio di puntare sempre sui giovani e sul futuro della musica italiana.

Sta per giungere al termine il secondo anno di collaborazione con il Festival della Musica Popolare e d’Autore. Com’è nata l’idea di questa partnership?

L’idea nasce da una semplice costatazione: Musicultura è un’eccellenza del territorio che si è affermata – e sempre più si va affermando – nel tempo, portando la città di Macerata ad avere risonanza a livello nazionale. Banca Macerata è una banca giovane, un po’ più giovane di Musicultura, e vuole quindi valorizzare i giovani e i loro talenti. Non c’era un partner migliore per noi, perché rispondeva perfettamente alla nostra esigenza di portare avanti un’idea: quella di essere sempre presenti e sempre attivi sul territorio.

Facciamo un piccolo bilancio, seppur ancora parziale, di questa prima edizione del festival post-pandemia…

È stata un’edizione di grande successo, di grande soddisfazione, di grandi impegno e capacità organizzativa. Il Festival ancora una volta è riuscito a coinvolgere tutti in termini mediatici. C’è stata tanta presenza, insomma. Tanto tutto. Tanto bello.

Le serate finali che si terranno allo Sferisterio si avvicinano. Qual è il suo augurio agli otto vincitori che a breve si esibiranno per aggiudicarsi il titolo di vincitore assoluto?

Che vinca il migliore. Che vinca il finalista più apprezzato dal pubblico. A tutti gli artisti auguro una splendida carriera, perché si sono impegnati tanto, hanno superato molte selezioni e sono arrivati fino a questo traguardo. Credo che sarà una grande soddisfazione per tutti loro essere già arrivati fin qui. In bocca a lupo a tutti, vi auguriamo tutto il bene possibile.

Chiudiamo così: se dovesse dedicare una canzone a Musicultura, quale canzone sceglierebbe?

Sei bellissima, di Loredana Bertè.

Intervista: Michele D’Andrea torna a La Controra di Musicultura

La seconda giornata de La Controra è inaugurata dalla presenza dello storico, araldista, scrittore romano Michele D’Andrea e dalla sua spiccata volontà di narrare particolari storici poco noti al pubblico. Tante le attività e le passioni che contraddistinguono la sua figura, tra cui la passione per la musica risorgimentale italiana.
Classe ’59, Michele D’Andrea ha ricoperto cariche prestigiose come quella di Consigliere della Presidenza della Repubblica e membro del Cerimoniale. Si è occupato, inoltre, di messaggistica presidenziale e uffici stampa. Insomma, la sua è stata, per sua stessa ammissione, “una bella palestra di crescita professionale”. Conosciamo altre sfaccettature della sua persona attraverso quest’intervista rilasciata alla redazione di “Sciuscià”.

Si è occupato di messagistica e comunicazione istituzionale, cerimoniale, storia, teatro e musica. Come ci si giostra tra attività apparentemente così diverse?

Con tanta passione. La passione è qualcosa che ti fa vivere. È ossigeno. È il cervello che si apre. Sono le occasioni che prendi al volo. Sono le intuizioni. È anche la mancanza di fatica quando sei stanco. E c’è una cosa che dico a voi ragazzi: fate tutte le vostre cose, scuola e fuoriscuola, con passione, perché la passione muove le montagne.

In qualità di araldista ha curato lo stendardo presidenziale e gli stemmi dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Marina Militare e dell’Esercito Italiano. Qual è l’importanza di questa forma di comunicazione nel 2022?

L’araldica fu una sorta di miracolo. In cinquant’anni appena, tra la fine del 1100 e l’inizio del 1200, l’Europa riusciva a parlare lo stesso linguaggio figurato attraverso l’araldica, che è un po’ una carta di identità senza parole e, per tantissimi secoli, è stato uno strumento per raccontare la storia, le persone, le comunità. Oggi l’araldica ha ancora un senso, perché in tutti i comuni se alzi lo sguardo all’entrata della città puoi vedere il suo stemma ed essere in grado di riconoscerlo tra mille. Ecco perché l’araldica è ancora importante: dà un messaggio immediato, visivo, che si può cogliere subito.

Spesso si è interessato di temi quali il galateo della comunicazione, l’educazione e il rispetto nella società contemporanea. Che valore ha sensibilizzare i giovani di oggi su queste tematiche?

Non vorrei essere preso per un vecchio, però ci sono dei comportamenti che possono dare fastidio, trent’anni fa come oggi. Io dico sempre che c’è una libertà personale che dev’essere poi mediata con la libertà degli altri. Il nostro comportamento individuale deve essere sempre legato al luogo in cui si sta, a chi si ha intorno, all’occasione, all’età delle altre persone.
È importante perché voi ragazzi affronterete il mondo del lavoro, e in quel mondo ci sono delle regole non scritte molto più rigide. È necessario, quindi, abituarsi adesso ad avere un certo tipo di atteggiamento con gli altri, un atteggiamento tendenzialmente rispettoso che ha in sé la cifra di un’educazione. Ad esempio, io a una persona più grande darei comunque del “lei”. Quando sarete nel mondo del lavoro, questo vi aiuterà a capire meglio quali sono i meccanismi che regolano gli ambienti in cui spenderete la vostra professionalità. Se uno tende a essere un pochino anarcoide, prima o poi si scontrerà frontalmente contro un treno e con una realtà che è molto diversa.

Nella scorsa edizione del Festival ha presentato al pubblico dello Sferisterio Il Canto degli italiani. Cosa rappresenta per lei l’Inno di Novaro-Mameli?

Hai detto bene, “l’inno di Novaro-Mameli”, perché tutti dicono “l’inno di Mameli” ma, effettivamente, ciò che l’ha portato a essere simbolo dell’Italia è la musica di Novaro. L’inno è stata la colonna sonora non solo del nostro Risorgimento, ma anche degli anni a venire. Si pensi, per esempio, che in tema della Resistenza nel 1943, Radio Bari, che era una radio che trasmetteva ai partigiani del Nord, chiudeva le sue trasmissioni con l’inno di Mameli. Se l’anno scorso, proprio qui a Musicultura, l’ho presentato e quest’anno ne riparlo è proprio perché il nostro inno merita di essere raccontato, svelato, e deve essere presentato come in realtà è e non come, purtroppo, viene spesso massacrato da esecuzioni che non sono corrette.

Nei suoi seminari e convegni utilizza spesso l’ironia. L’ha sempre usata o ha deciso solo di recente di adottarla come strategia comunicativa?

Più che parlare di “strategia comunicativa”, che fa pensare a qualcosa di costruito, direi che in realtà ho sempre cercato di approntare il mio lavoro e i miei interessi non tanto sull’ironia quanto sull’autoironia, prendendo in giro anzitutto me stesso, ovvero non prendendomi troppo sul serio. La storia si può raccontare in tanti modi, ma sono certo che anche raccontandola attraverso l’aneddotica, i retroscena, le curiosità, anche scherzandoci un pochino sopra, alla fine il messaggio arrivi ugualmente, ma in una maniera forse più piacevole che magari invoglia ad andare in libreria e comprare un libro per aggiornarsi. Ecco, un altro consiglio che mi permetto di dare, da persona anziana, a voi giovani, è proprio questo: abbiate tanta autoironia.