LUNARIA 2021, a Recanati musica e spettacolo nel segno della qualità

Siamo appena entrati nell’estate, la musica un po’ alla volta si rimette in moto e il Comune di Recanati si fa trovare pronto. Il cartellone dell’edizione 2021 di Lunaria – la rassegna ideata nel 1996 da Musicultura e che da allora si è conquistata l’affetto e la fiducia del pubblico – sembra cucito addosso sulla vocazione della città leopardiana a coltivare i valori della bellezza e della qualità.   

Volendo usare un solo aggettivo, definirei il programma di Lunaria 2021 ‘elegante’. E veramente ricco di bei contenuti. Ora che, pur tra limitazioni ancora da rispettare, il pubblico può finalmente tornare a vivere l’intensità delle emozioni della musica dal vivo, a maggior ragione vogliamo che sul palco tutto sia artisticamente intenso ed a fuoco”,  ha dichiarato il direttore artistico Ezio Nannipieri.

Quest’anno, oltre alla centralissima piazza Leopardi, la manifestazione contempla anche altri scenari: il primo dei tre appuntamenti in programma si svolgerà infatti nel suggestivo contesto dell’Orto sul Colle dell’Infinito, dove il prossimo 15 luglio sarà di scena Francesco Bianconi. Cantautore e scrittore tra i più apprezzati, frontman dei Baustelle, l’artista proporrà le canzoni del suo primo album da solista Forever, accompagnato da sei musicisti. In considerazione del numero limitato di spettatori che il luogo può accogliere, Bianconi si è reso disponibile ad effettuare due concerti: il primo al tramonto del sole (con inizio alle 18.45), il secondo in compagnia della luna (con inizio alle 21.30).

Il 22 luglio si riverseranno in piazza Leopardi l’energia e l’originalità de La Rappresentante di Lista. L’ultimo festival di Sanremo ha consacrato davanti a milioni di Italiani la bravura e la vitalità della band fondata da Dario Mangiaracina e da Veronica Lucchesi, che si configura come un vero e proprio collettivo artistico, difficile da etichettare per la trasversalità con cui ama esprimersi in musica e rappresentarsi in scena.

Il 29 luglio, ancora in piazza Leopardi, sarà infine la volta di Alice, in Alice canta Battiato. La recente scomparsa di Franco Battiato rende, se possibile, ancor più toccante l’elegante e sentito omaggio che Alice dedica al compositore e autore con il quale, fin dalla vittoria del festival di Sanremo con Per Elisa (1983), è sempre rimasta in contatto e sintonia, tanto da costituire con lui un vero sodalizio artistico e umano. Alice proporrà le canzoni del lungo viaggio musicale di Battiato in versione acustica, nei bellissimi arrangiamenti e rielaborazioni del Maestro Carlo Guaitoli, già stretto collaboratore per tanti anni di Battiato in veste di pianista e direttore d’orchestra.

Per assistere agli spettacoli di Lunaria sarà necessario prenotarsi, a partire dal 1° luglio, sul sito www.musicultura.it fino ad esaurimento posti. Per scoraggiare il comportamento di coloro che si prenotano senza poi presentarsi al concerto, è stato introdotto un “gettone di prenotazione”, di 10 euro per il concerto all’Orto sul Colle dell’Infinito, di 5 euro per gli spettacoli in piazza Leopardi.  A tutti gli spettatori sarà assicurato il posto seduto, nel rispetto del piano di sicurezza e delle vigenti normative anti contagio, approntato per l’occasione da Ibitiassociati.

Il Comune di Recanati ha inoltre predisposto che, presentando il ticket di Lunaria presso una delle biglietterie del circuito museale “Infinito Recanati” (Museo Civico di Villa Colloredo Mels, Torre del Borgo, Museo della Musica/Beniamino Gigli) si potrà usufruire di uno sconto sul biglietto d’ingresso.

Musicultura ringrazia l’Ufficio Cultura e l’Ufficio Tecnico del Comune di Recanati, il Comando della Polizia Municipale, l’Amat e la Protezione Civile: la loro disponibilità e le loro competenze sono apprezzate e fondamentali per la buona riuscita di Lunaria.

Per info e aggiornamenti su Lunaria 2021: www.musicultura.it; 071 7574320.

Banca Macerata main partner di Musicultura: parola al Presidente Ferdinando Cavallini

Qualità, talento, passione e valorizzazione del territorio. Sono solo alcuni dei valori che Banca Macerata, main partner di Musicultura, condivide con il Festival. Così, in un momento particolarmente complicato per il movimento culturale e artistico nazionale, l’istituto ha scelto di investire sui giovani artisti che rappresentano le nuove leve del panorama musicale italiano.

Al duo The Jab, vincitore assoluto del concorso, è andato  infatti l’assegno di 20 000 euro targato proprio Banca Macerata. A raccontarci di questa particolare partnership è il Presidente dell’istituto di credito, Ferdinando Cavallini.

Un Festival dedicato al cantautorato e alla commistione tra diverse forme d’arte e un istituto bancario: cos’hanno in comune Musicultura e Banca Macerata?

Hanno in comune la volontà di fare emergere i talenti. Sono due eccellenze del territorio apparentemente diverse ma la cui sinergia può portare a vantaggi per tutti: per i ragazzi, per la comunità, per la società e per l’intero territorio.

Tiriamo le somme per il primo anno di collaborazione: com’è andata? E qual è stato, secondo lei, il punto di forza di questa edizione?

È andata benissimo e mi sento di fare i complimenti a chi ha gestito il tutto. Anzi, è andata meglio di come potesse andare! Quello di Musicultura è un successo crescente nel tempo, basti pensare che quest’anno si sono presentati più di mille artisti alle selezioni. Punti di forza? Credo siano gli stessi che da sempre caratterizzano il Festival: la professionalità dei ragazzi e l’imparzialità con la quale vengono effettuate le selezioni.

Nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, Musicultura conclude la sua XXXII edizione come da tradizione: esibizioni dal vivo e pubblico in presenza. Che sensazione si prova a compiere il primo e agognato passo verso il ritorno alla normalità?

È una sensazione di soddisfazione e piacevolezza. Non voglio parlare di libertà, perché in fondo quella non è mai stata messa in discussione. Ma attenzione, manteniamo la prudenza perché il nemico è invisibile!

 Quale augurio rivolge al vincitore assoluto di Musicultura, nelle mani del quale è finito il Premio Banca Macerata di 20 000 euro?

 L’augurio è che possa realizzare i suoi sogni. Credo che per un giovane sia questa la cosa più bella.

 Le va di salutarci a suon di musica? Se Banca Macerata fosse una canzone, che canzone sarebbe?

 Sarebbe una canzone che porta felicità, serenità, gioia di vivere e voglia di riuscire a realizzare i propri sogni.

 

INTERVISTA – “Sono sempre molto entusiasta nel cercare nuovi stimoli e attenta ai segnali della vita”: Irene Grandi a Musicultura

È una delle voci più note del panorama musicale italiano; ha ben dodici album alle spalle e una carriera ultraventennale costellata da innumerevoli e importanti collaborazioni. Tornata a Macerata per partecipare alla XXXII edizione di Musicultura, Irene Grandi, col suo inconfondibile sorriso, ha rilasciato questa intervista alla redazione di “Sciuscià”.

Nel 2019 è uscito l’album “Grandissimo”, una raccolta speciale per celebrare i venticinque anni della tua carriera. Come si è evoluta in questo lungo lasso di tempo la tua ricerca musicale?

La bellezza di avere una lunga carriera alle spalle è anche quella di potersi “muovere” all’interno della musica attraverso nuove esperienze e di scoprire a fondo le proprie potenzialità. Naturalmente all’inizio, all’epoca del mio esordio,  quello che più arrivava era la grinta di una ragazza un po’ ribelle e anticonvenzionale che voleva portare degli argomenti nuovi all’attenzione del pubblico; raggiungendo una certa maturità, poi, si fa pace sia con il mondo esterno che con il proprio mondo interiore. Le canzoni che più hanno rappresentato il mio cammino verso riflessione e introspezione sono “Alle porte del sogno”, “La cometa di Halley”, “Un vento senza nome”, come anche alcuni brani del mio ultimo disco, ma ad aprire questo discorso contemplativo è stata “Prima di partire per un lungo viaggio”.

Giustappunto. Tutti speriamo di poter presto ricominciare a viaggiare, anche per buttarci alle spalle il lungo periodo di pandemia. Prendiamo allora in prestito proprio il verso della canzone che hai appena citato: “Prima di partire per un lungo viaggio porta con te la voglia di non tornare più” e poi cos’altro? Cosa mettere di indispensabile in valigia per ritrovare il sorriso e un po’ di serenità?

In questo delicato periodo si è sentita molto forte la mancanza di stare insieme ad altre persone; invece di mettere qualcosa in una valigia, consiglierei a tutti una prenotazione ad un concerto, un ristorante, un teatro, a qualsiasi evento culturale che possa ricreare mentalmente le persone e metterle a confronto con i propri sentimenti, le proprie riflessioni; perché si sa, la musica, il teatro e la poesia creano emozione e questa emozione a propria volta coltiva introspezione.

Ancora “Grandissimo”, stavolta nella versione “new edition”. Nell’album è presente “Finalmente io”, canzone scritta da Vasco Rossi, uno dei membri del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura. Com’è nata l’idea di questa collaborazione? E com’è il tuo rapporto col Komandante?

Sento nei suoi confronti grande amicizia e stima. La nostra prima collaborazione risale al 2000, dopo di che ne è arrivata un’altra proprio con il brano “Prima di partire per un lungo viaggio”. Dopo un periodo di pausa, qualche anno fa ho realizzato un progetto sperimentale che si chiamava Pastis e Irene Grandi  – Lungo Viaggio, e io e i miei collaboratori chiedemmo un cameo a Vasco, che in quell’occasione diede un prezioso contributo. Successivamente, è nata anche la voglia di fare un altro brano pop insieme. Lui mi ha sempre invogliata a sperimentare, a superare i miei limiti.

Facciamo solo qualche nome tra quelli, numerosissimi, che hanno costellato la tua carriera: un disco con Stefano Bollani, un duetto con Pino Daniele, un featuring con Fiorella Mannoia, una canzone scritta per te – lo abbiamo detto poco fa – da Vasco Rossi. C’è un artista con cui non hai ancora collaborato con il quale ti piacerebbe lavorare?

Confesso di non avere una risposta al riguardo perché ogni volta che incontro un collega ho voglia di instaurare una collaborazione. Sono sempre una persona molto entusiasta nel cercare nuovi stimoli e attenta ai segnali della vita, ci sarà senz’altro presto qualcuno.

INTERVISTA – “Iniziare da Musicultura per spiccare il volo”: La Rappresentante di Lista sul palco della XXXII edizione del Festival

La Rappresentante di Lista è un progetto che nasce nel 2011 dall’incontro tra la cantante Veronica Lucchesi e il polistrumentista Dario Mangiaracina, che nel 2014 si esibiscono per la prima volta sul palco di Musicultura come finalisti della XXV edizione del Festival. Dopo il successo nel 2018 dell’album Go Go Diva, lo scorso marzo per la prima volta sono in gara a Sanremo con il brano Amare, diventato disco di platino e inserito nell’album My Mamma. Ospite della finalissima della XXXII edizione di Musicultura, il duo si racconta così alla redazione di “Sciuscià”.

Finalisti della XXV edizione del Festival nel 2014, ospiti nel 2017 e nella scorsa edizione, quest’anno avete inaugurato, in videocollegamento, la prima serata di audizioni live per poi approdare di nuovo sul palco dello Sferisterio: praticamente siete di casa a Musicultura. Ma che effetto fa tornare portandosi sulle spalle anche la recente avventura sanremese?

Dario: Ho notato l’orgoglio da parte del team di Musicultura nel riaverci qui dopo Sanremo, quasi fossimo dei figli. Ci riempe di gioia leggere tanto affetto negli occhi dello staff. Il nostro crescere nel panorama musicale sottolinea anche quanto il percorso di Musicultura funzioni: si può iniziare proprio da qui per spiccare il volo.

Amare, la canzone che avete portato, appunto, a Sanremo, ha scalato le classifiche musicali; il vinile che la contiene, My Mama, è tra i più venduti in Italia. Secondo voi come mai siamo passati dalla radio, al giradischi, al cd, alle piattaforme streaming ma il vinile continua ad avere così tanto successo, fino quasi a esser diventato la moda del momento?

Veronica: C’è da dire che moltissime persone comprano i vinili anche semplicemente perché le copertine sono esteticamente bellissime, come se fossero oggetti belli da esporre. Ultimamente, poi, sul mercato sono tornati di moda i giradischi – anche se spesso sono scadenti, quindi quando si va ad ascoltare ne risente anche la qualità della musica. In ogni caso, moda o meno, il vinile resta un’opera sempre attuale.

Spesso parlando di musica si fa riferimento al concetto di rivoluzione; anche nel vostro album Go Go Diva la canzone Questo corpo racconta come imparare e saper ascoltare ogni singola parte del proprio corpo sia già un atto rivoluzionario. Quanto è importante che la vostra musica, oltre a far emozionare e ballare, diventi portavoce anche di cambiamento?

Veronica: Molto, lo dico con fermezza perché mi rendo conto di quanto la musica riesca a smuovere le persone, da quelle che lavorano in questo settore, a chi la ascolta, a chi crede negli artisti. Quando salgo sul palco cerco di parlare con responsabilità, quanto meno di sollevare delle riflessioni e delle domande. Cerco di dare il mio contributo, insomma.

Dario: Il cambiamento è l’impegno che dovrebbe sempre attribuirsi chi sale su un palco.

Cinema e teatri sono finalmente di nuovo aperti; i prossimi mesi si prospettano come un ritorno, seppur lento, alla normalità, nell’ambito del quale si inserisce anche il vostro tour.  Si prospettano quindi come un ritorno anche ai concerti. Che emozioni si provano a sapere di potersi esibire di fronte a un pubblico e, di contro, quali sono le emozioni che volete trasmettere proprio a quel pubblico?

Dario: Non so ancora che emozioni proverò, questa sera a Musicultura per noi è la data -1, prima della data 0 che faremo ad Arezzo. Sono a braccia aperte, pronto e curioso di capire come sarà effettivamente l’impatto con il pubblico. C’è anche un po’ di timore, perché è come se dovessimo di nuovo andare in rodaggio rispetto ad un sistema che, nonostante tutto, non si è mai fermato. Ad esempio, oggi, per arrivare qua abbiamo impiegato due ore in furgone e non ci siamo più abituati.

Veronica: Per quanto riguarda il pubblico, vorrei far passare un grandissimo senso di gioia. Abbiamo tutti la necessità di rinnovare questo sentimento, siamo stati per un anno e mezzo molto abituati alla paura, quindi credo serva assolutamente tornare a sorridere.

Musicultura è crocevia di storie e generi musicali diversi, che spesso si allontanano anche da quelli che potremmo definire “canoni discografici” delle canzoni mainstream. Quanto sono importanti palchi come questo per la musica?

Veronica: Palchi così sono fondamentali. Lo è anche la libertà di esprimersi, di non etichettarsi per forza. Musicultura permette di poter iniziare un percorso di crescita, di andare a mano a mano ad affinare la propria arte, non perché bisogna arrivare alla perfezione, ma per capire come rendere ancora più incisivo quello che si vuole dire e come ci si vuole presentare.

Dario: La cosa interessante è che, anche se non ci sono limiti al genere o alla proposta che puoi fare a Musicultura, ci sono delle guide che ti accompagnano durante tutto il viaggio. Questo è fondamentale per un artista.

INTERVISTA – “Un inno aggrega una collettività intorno a un traguardo, a un’idea”: Michele D’Andrea ospite di Musicultura

Storico, studioso di araldica e musica risorgimentale,  curatore della revisione degli stemmi della Marina Militare e dell’Esercito, Michele D’Andrea ha tenuto numerosissime conferenze e interventi sulle vicende storiche e musicali che ruotano attorno all’ inno nazionale italiano. Anche a Musicultura, sia a La Controra che durante la serata finale allo Sferisterio, ha affascinato il pubblico presente con il suo racconto su Il Canto degli Italiani, narrando i segreti e le curiosità che si celano dietro la storia del nostro inno.  Questa l’intervista rilasciata alla redazione di “Sciuscià”.

La canzone è da sempre considerata una forma di espressione che un artista produce con spontaneità.  Si può dire la stessa cosa degli inni, che inevitabilmente richiedono una certa solennità? C’è secondo lei una particolare attitudine emotiva e di scrittura che può tornale utile nell’uno o nell’altro caso? 

Molte volte gli inni nascono come moti dell’animo, proprio come le canzoni. Il fatto che gli inni possano essere solenni può far sembrare che ci sia stata una qualche investitura “dall’alto”, in realtà la legittimazione di un inno è del popolo, per cui ne esistono tantissimi che non hanno nulla di cerimoniale e che, al contrario, hanno conquistato il loro posto nella storia dei popoli proprio perché è stata la gente a farli suoi. In alcuni casi posso anche comporre una canzone d’occasione, o un inno d’occasione, ma la legittimazione dell’inno non è mai di chi la compone ma di chi la ascolta. Le storie degli inni sono talmente complicate, divertenti e aneddotiche proprio perché è la gente che li legittima e li fa propri.

E gli stemmi, invece? Mi corregga se sbaglio ma potremmo definirli come una particolare forma di linguaggio che, per tramite delle figure, cerca di veicolare determinati messaggi con una certa immediatezza. Insomma, gli stemmi somigliano un po’ alle canzoni?

Giustissimo. Si tratta di araldica, ossia un linguaggio figurato in una società analfabeta, ma  non solo: è stata anche una sorta di esperanto linguistico che ha unito con la stessa grammatica l’intera Europa per un periodo – che va dalla fine dell’undicesimo a metà del dodicesimo secolo – in cui si guardavano e utilizzavano le stesse figure; linguaggio figurato, quindi linguaggio per immagini. L’araldica, inoltre, non era riservata alla nobiltà ma a tutti gli strati sociali. È un po’ come un biglietto da visita: tutti possono averlo ma non tutti ne fanno uso.

A proposito di canzoni, all’estero l’Italia è spesso vista come il Paese della musica. Crede che la storia dello stivale abbia avuto un ruolo nel fargli guadagnare questo epiteto?

Abbiamo avuto una sorta di DNA privilegiato, per cui siamo riusciti a marcare con la nostra musica, in particolare con il Teatro dell’Opera, un secolo e mezzo di storia musicale europea. È un talento che abbiamo, e non sappiamo bene come sia possibile tutto ciò ma è certamente la verità, ci possiamo considerare gli artefici di una grande rivoluzione musicale.

Lei è un appassionato di musica risorgimentale. Quali sono le principali differenze tra la musica di oggi e quella del tempo? E, al contrario, le similitudini?

La cosiddetta “musica leggera”, quella che poi è declinata in tante sfumature, corrisponde perfettamente alla musica del passato perché entrambe sono autenticamente popolari. Tutta la musica del Risorgimento entra nel solco dell’unica forma di musica che è quella del Teatro dell’Opera di metà ottocento, su cui sono modulati tutti i canti, fortemente e autenticamente popolari.

INTERVISTA – “L’arte non ha bisogno di incasellamenti”: Marisa Laurito ospite di Musicultura 2021  

Per la penultima giornata del festival, e per la prima delle due serate finali, Marisa Laurito approda a La Controra prima, sul palco dello Sferisterio poi, e porta con sé l’allegria cha ha sempre contraddistinto il suo lungo e poliedrico percorso artistico. La sua espressività è stata protagonista in teatro, sul piccolo e sul grande schermo; la sua creatività si è tradotta anche in pittura, scultura e fotografia. E ora anche in scrittura, col suo romanzo autobiografico “Una vita scapricciata”.  Così si racconta alla redazione di Sciuscià.

Visto il contesto, partiamo dalla musica e parliamo del suo unico singolo, “Il babà è una cosa seria”, un pezzo ironico e vivace, presentato al festival di Sanremo nel 1989. Data la sua provenienza e la sua carriera, quanto c’è di autobiografico in questa canzone?

Non c’è molto di autobiografico. Certo, è stato “cucito” su di me però è un pezzo che per l’epoca è andato molto avanti nei tempi perché parlava di argomenti molto attuali, dalla crisi del pianeta alla noia delle casalinghe.

Una vita scapricciata”, il romanzo che presenta in occasione de La Controra di Musicultura, è un po’ una dichiarazione d’amore per la sua città natale, che fa da cornice a gran parte del racconto. Sembra quasi che sia Napoli stessa la sua vita scapricciata…

Il romanzo si intitola Una vita scapricciata perché nella mia vita mi sono tolta tanti capricci. Sono riuscita a fare quasi tutto quello che volevo e naturalmente Napoli c’entra moltissimo in tutto ciò: alla mia città devo i tempi comici che si imparano per strada e l’umanità delle persone. Napoli è meravigliosa, piena di molte cose belle che cerchiamo sempre di mettere in risalto rispetto a quelle brutte.

Il sorriso è il fil rouge della sua esistenza e della sua carriera, tanto da essere finito anche sulla copertina del suo libro. L’ironia, del resto, è un suo marchio di fabbrica. Quali sono gli altri ingredienti che rendono una vita scapricciata?

Credo che fondamentale, prima di tutto, sia il talento, unito a una grande determinazione, alla voglia di imparare e all’umiltà. Ecco, credo che questi siano gli “ingredienti” necessari per poter essere condotti a destinazione, a quello che uno vuole ottenere nella vita.

Tanti, tantissimi gli incontri avvenuti lungo il suo percorso artistico: quali sono i personaggi che più hanno segnato il cammino e a chi è rimasta particolarmente legata?

Sicuramente a Eduardo; aver cominciato con lui mi ha dato una grandissima impronta. Era molto severo e lavorare con lui è stato come aver fatto il servizio militare. Altri incontri meravigliosi sono stati quelli con Renzo Arbore e Luciano De Crescenzo, che sono poi diventati anche la mia famiglia, e successivamente quelli con Gigi Proietti e Adriano Celentano. Ho avuto la grande fortuna di incontrare persone straordinarie con cui poi ho stretto anche amicizia.

Il suo estro creativo non si ferma al cinema, al teatro o in tv, ma corre anche sui binari di pittura, fotografia e scultura. Cos’è che muove tanta poliedricità?

Credo che l’arte non abbia bisogno di incasellamenti: se si hanno dei talenti bisogna metterli in atto. Per un artista quella di provare e sperimentare è un’esigenza. Ad esempio, per me la pittura non è mai stata un capriccio ma una dedizione nata quando avevo sedici anni; fortunatamente c’era qualcuno che comprava i miei quadri e grazie a questo sono riuscita a pagarmi i corsi di recitazione. Col tempo ho continuato a dipingere; adoro i colori e andare alle mostre; mi piace sperimentare. A un certo punto, una critica d’arte che ha notato le mie opere mi ha convinto a fare una mostra e da lì si è aperto un altro “file”, come direbbero i giovani.

INTERVISTA – Venticinque anni di carriera sul palco dello Sferisterio: i Subsonica a Musicultura

Hanno accompagnato intere generazioni con le loro note, facendole scatenare al ritmo di grandi successi; hanno saputo creare un sound tutto loro, ritagliandosi un posto di diritto nella hall of fame della scena alternativa italiana; ora, in occasione del loro venticinquesimo anno di attività, il palco di Musicultura inaugura il tour dell’estate 2021. Sì, stiamo parlando proprio dei Subsonica. E sì, ovviamente li abbiamo intervistati. Così con Boosta abbiamo ripercorso quel quarto di secolo di carriera.

Venticinque anni di carriera alle spalle. Vi era mai capitato di stare lontani dal palco per così tanto tempo? Quanto siete carichi all’idea di poter finalmente tornare a esibirvi dal vivo dopo un anno come quello appena passato?

Sicuramente è la prima volta che rimaniamo così tanto fermi per un motivo così grave e per una finestra così drammatica che ha minato tante delle certezze che abbiamo sempre avuto. In realtà ogni volta che finisce un tour ci prendiamo del tempo per noi, quindi siamo abituati a stare l’uno lontano dall’altro. Certo è che il rientro sul palco insieme, dopo questo stop dovuto alla pandemia, il cui inizio tra l’altro è coinciso con la partenza del nostro tour, significa per noi ricucire il filo che si era spezzato un anno e mezzo fa.

Ad aprile dello scorso anno è uscito Mentale Strumentale, un album registrato nel 2004 ma pubblicato ben sedici anni dopo. All’epoca fu ritenuto troppo sperimentale e addirittura ancora oggi suona come un disco venuto dal futuro. Qual è il segreto dei Subsonica per anticipare i tempi?

Non c’è un segreto particolare. Credo che ci siano invece una serie di strumenti che sono fatti di urgenza, di amore e passione per quello che facciamo. Abbiamo sempre lavorato a tutto quello che abbiamo scritto con grande voglia di suonare ciò che ci piace. Finché rimane quell’assunto direi che va tutto bene. Non ci sono ricette particolari, anche perché la musica è davvero un’alchimia curiosa.

Il vostro essere all’avanguardia è testimoniato anche dal successo registrato da Microchip Temporale, la riedizione a 20 anni di distanza di quello che probabilmente è stato il disco più iconico dei Subsonica: Microchip Emozionale. Oltre a comprendere le collaborazioni con alcuni degli artisti più influenti dell’attuale panorama musicale italiano, il disco è stato completamente riarrangiato rispetto all’originale del 1999. Quanto è stato difficile riadattare le sonorità di allora alla contemporaneità e alle corde dei vari artisti con cui avete collaborato?

Ci ha lasciato una grande libertà perché buona parte del lavoro è stata fatta insieme agli altri artisti. L’elemento più affascinante è stato vedere come, per un disco scritto venti anni prima, sia stata molto consonante l’urgenza che avevamo all’epoca con l’urgenza dei musicisti contemporanei. Anche se sono passate generazioni di musicisti in mezzo, noi abbiamo scelto anche anagraficamente musicisti che avessero adesso la stessa età che noi avevamo allora. Vuol dire che una sorta di vibrazione c’è e rimane uguale nel tempo e passa orizzontale. Per risponderti dunque ti dico che non è stato complicato ma è stato bello. La musica ha questo grande privilegio di poter essere sempre plasmabile in base alla sensibilità dell’artista del momento.

Avete da sempre dimostrato grande attaccamento alla città che ha dato i natali ai Subsonica: Torino. Il capoluogo piemontese, definito anche “La Hollywood italiana”, ha sempre voluto porre l’accento sull’aspetto culturale del proprio territorio, dando ampio spazio non solo al cinema, ma anche ad alcuni degli eventi musicali più importanti d’Italia e d’Europa. Quanto è importante dunque il contesto di provenienza affinché un artista possa esprimere al meglio le proprie potenzialità?

Non posso dirti quanto sia importante per gli altri. Posso invece dirti quanto sia stato importante per noi rispondendoti che probabilmente i Subsonica non sarebbero stati i Subsonica senza la città di Torino. Ma non tanto la città in sé quanto la città nel momento storico in cui siamo nati e l’abbiamo vissuta. Anche lì c’è appunto stata una serie di ingredienti che si sono mescolati nel modo giusto.

Qual è il consiglio che i Subsonica si sentono di dare agli 8 artisti in concorso a Musicultura che si contendono il titolo di vincitore assoluto?

Ricordarsi sempre che la musica dovrebbe essere fatta quando hai urgenza e necessità di farla, perché è solo così che diventa indispensabile. Se poi è indispensabile per te inevitabilmente sarà indispensabile per qualcun altro.

INTERVISTA – “Non sono un corridore che scrive ma uno scrittore che corre”: Mauro Covacich ospite a La Controra di Musicultura

Nel pomeriggio della quarta giornata de La Controra, in collaborazione con Overtime Festival, Musicultura ospita lo scrittore Mauro Covacich. Collaboratore de Il Corriere della Sera e ideatore di documentari radiofonici, nel 2017 Covacich riceve il «Premio Selezione Campiello» e il «Premio Brancati» grazie al romanzo La città interiore. Numerose le sue opere di successo, tra cui ricordiamo A perdifiato, Prima di sparire,  A nome tuo e il recente Di chi è questo cuore. Dopo la presentazione al pubblico maceratese del suo ultimissimo romanzo Sulla corsa, pubblicato da La Nave di Teseo nel 2021, l’autore triestino si è raccontato così alla redazione di Sciuscià.

Musicultura è un salotto che ospita ogni anno decine di menti, personalità e storie. Attraverso la propria arte, ogni ospite del Festival ci racconta in qualche maniera un pezzetto della propria storia. Come approccia uno scrittore e giornalista, che è abituato a raccontare le storie altrui, a uno spazio del genere?

Sono un po’ abituato; in realtà non sono un giornalista, non lo sono mai stato non avendo la tessera giornalistica, ma collaboro con il Corriere. Oggigiorno, i festival sono una boccata d’ossigeno per chiunque scriva o faccia musica. È un modo per riprendere a parlare e a respirare, insomma, a incontrare i lettori. È una cosa che a me ha sempre fatto molto piacere, e ora dopo il Covid a maggior ragione.

Restiamo in tema di racconto. Anzi, parliamone proprio con un suo lavoro. La città interiore – libro col quale ha vinto il «Premio Selezione Campiello» e il «Premio Brancati» – è un romanzo in cui la memoria ha la meglio. In che modo raccontarsi, e raccontare al passato, può incidere sul futuro?

In termini di consapevolezza forse. In una certa fase della mia vita ho capito di dover scrivere quel libro perché era il giusto riconoscimento dei debiti che avevo non soltanto verso le persone, ma anche rispetto agli autori e ai luoghi. Quel romanzo è una specie di topografia della mia mente: la città interiore del libro non è Trieste, come tanti potrebbero pensare, ma è proprio la mia mente, nella quale ricostruisco i rapporti con le persone che ho amato di più e, allo stesso tempo, anche con i grandi autori come Joyce e Svevo. È un modo forse per essere consapevoli verso il futuro.

Torniamo al presente. Siamo ormai immersi nell’era digitale e i rapporti umani non sono necessariamente cementati da incontri fisici. La cosa sembra discostarsi molto dalla sua visione del mondo. Qual è il suo punto di vista a riguardo?

Indubbiamente, mi ritengo un “residuo novecentesco”. Internet e le piattaforme digitali evolvono, però ho una certa resistenza rispetto a queste forme di amicizia che, secondo me, sono palliative: non ho nulla contro chi riesce a creare un’amicizia su Facebook, ma io non ci riesco; ho bisogno ci sia un investimento di responsabilità personale. Quando decido di non essere amico di qualcuno, ho bisogno di incontrarmi con lui e poter dire “guarda non siamo più amici” e litigare. Su Facebook basta togliere l’amicizia. Questo è un esempio abbastanza sintomatico dei miei rapporti con la vita digitale. In questo anno e mezzo ovviamente ho fatto tante cose via Zoom: lezioni all’università, interviste e presentazioni. Non ho pregiudizi a riguardo, ma è il mio modo differente di comunicare; non poter parlare davanti a uno spritz ma solo attraverso le storie su Instagram non fa per me.

Parliamo di musica: che tipo di ascoltatore è Mauro Covacich? Lo incuriosiscono generi differenti o ce n’è uno a cui è particolarmente affezionato?

Ho avuto tante stagioni. C’è stato un periodo in cui pensavo di aver scoperto per primo i Radiohead, nei primi anni Novanta; ho sofferto molto quando sono diventati un gruppo planetario, sembrava mi avessero tradito. Ho ascoltato tanta musica, adesso forse più colta: mi piaccciono  Philip Glass e Steve Reich, musica di questo genere. Anche i Coma_Cose mi piacciono da impazzire per il loro lavoro sul linguaggio, per il modo in cui hanno saputo creare un dialogo di coppia, in cui sono entrambi autenticamente artisti e nessuno sottrae spazio all’altro. È figa lei, è figo lui: sono bravi insieme.

Proviamo a rispondere così, a bruciapelo, alla domanda che dà il titolo all’evento de La Controra di cui è protagonista oggi: lo sport è un sentimento?

Lo sport non è un sentimento, ma una pratica di cui ci si appassiona. Se non c’è l’innamoramento per uno sport, non me ne occupo. Proprio perchè è la mia esperienza autobiografica, nel libro Sulla corsa tratto della pratica sportiva a cui ci si dedica solo se si è pienamente innamorati; per questo si diventa anche un po’ fanatici, un po’ pazzi.

INTERVISTA – “Musicultura per aprire la mente ad altre voci, culture e alla creatività come ragione di vita”: Francesco Adornato a La Controra del Festival

Anche quest’anno Musicultura e l’Università di Macerata rinnovano la propria partnership dando la possibilità agli studenti di essere protagonisti del Festival, entrando a far parte della redazione giornalistica di “Sciuscià” o della giuria universitaria.  Ma quest’anno protagonista è stato anche Francesco Adornato, che per un pomeriggio, nell’ambito degli eventi de La Controra, ha svestito i panni di Rettore dell’ateneo per indossare quelli di grande appassionato di Bruno Lauzi. Così, proprio la redazione di “Sciuscià” ha approfittato per parlare un po’ con lui, tra le altre cose, del rapporto tra Università e Musicultura e del modo in cui il Festival può rappresentare una marcia in più nel percorso formativo degli studenti che vi partecipano.

Magnifico Rettore, a molti studenti capita spesso e volentieri di incontrarla per le vie del centro e scambiare con lei un saluto. Questo punto di contatto le è mancato durante il delicato periodo di lockdown?

Decisamente. Al centro dell’università e nel cuore del rettore sono installati gli studenti. L’università è fatta per loro, non per i professori. Questi ultimi sono al servizio dei primi, per formarli professionalmente ed educarli alla cittadinanza e ai valori culturali e ideali della democrazia.

La pandemia ha sicuramente causato molte difficoltà per gli atenei. Come ha reagito l’Università di Macerata alle sfide poste dalla didattica a distanza?

Abbiamo cercato di porre rimedio con una serie di iniziative che non riguardano solo la didattica a distanza. Ritengo che quest’ultima sia un qualcosa di arido, che prosciuga le relazioni e i contatti diretti fra studenti e professori. Adesso, infatti, l’obiettivo principale è riprendere stabilmente in presenza.

 

Musicultura dà la possibilità agli studenti delle Università di Macerata e Camerino di far parte della giuria universitaria e della redazione giornalistica del festival. In che modo queste esperienze possono a suo avviso risultare un punto di forza per il percorso formativo degli studenti che scelgono di intraprenderle?

Il percorso formativo degli studenti, soprattutto nella realtà odierna, così complessa e competitiva, è fatto non solo di contenuti curriculari, ma anche di quelli extracurriculari. Proprio questi ultimi hanno secondo me un significato molto profondo. Musicultura ad esempio avvicina i giovani e gli studenti a un mondo che sembra apparentemente distante. È un’esperienza che aiuta a essere più responsabili, a lavorare in gruppo e a sviluppare nuove idee.

Quanto e in che modo il confronto con grandi scrittori, cantanti e artisti che nei giorni de La Controra affollano i luoghi più caratteristici di Macerata aiuta l’ambiente universitario?

Aiuta intanto ad aprire la mente ad altre voci, culture, linguaggi, ad altri modi di essere e alla creatività come ragione di vita. Lo scrittore infatti costruisce dal nulla una storia e il risultato, per quanto essa sia stata inesistente ed inventata, viene reso verosimile, fino a emozionare e commuovere il lettore.

Partecipa a La Controra di Musicultura nell’ambito di un dibattito sulla storia e sui versi di Bruno Lauzi. Da dove nasce la sua passione per la poetica del grande cantautore e compositore italiano?

Sono cresciuto, da adolescente, nella stagione dei cosiddetti “anni felici”, gli anni ‘60. E quella stagione era caratterizzata da quell’insieme di cultura musicale in cui oltre a Bruno Lauzi figuravano anche grandi artisti come Sergio Endrigo, Umberto Bindi, Gino Paoli. Proprio quell’insieme ha accompagnato le mie emozioni e il mio immaginario sentimentale. Quando Ezio Nannipieri (il direttore artistico di Musicultura, ndr) mi ha invitato a parlarne qui a La Controra non ho esitato un istante. Ritornerai è stata la prima canzone che ha dato forma al mio disagio giovanile esistenziale e vi sono da sempre molto legato. Poi ho seguito Lauzi in tutta la sua carriera, in quanto personaggio eccezionale, poliedrico, anticonformista e uomo libero. Credo che per i più giovani questo tipo di testimonianze possano essere molto educative.

INTERVISTA – “Per fare giornalismo serve far innamorare i giovani dell’informazione di qualità”: Benedetta Rinaldi a La Controra di Musicultura

Giornalista, conduttrice radiofonica e televisiva, dopo la laurea in scienze politiche Benedetta Rinaldi ha debuttato a Radio Meridiano 12, prima di approdare a Radio Vaticana con il programma Stop! Precedenza a chi pensa. Grazie alla sua collaborazione con Rai Radio 2, inizia la sua carriera sul piccolo schermo con i programmi A sua Immagine, Uno Mattina e La Vita in Diretta Estate. Ospite a La Controra durante la settimana della finalissima di Musicultura, la giornalista romana, volto simbolo di Elisir su Rai3, si racconta così alla redazione Sciuscià.

Benedetta Rinaldi, giornalista, conduttrice televisiva e radiofonica, volto per diversi anni del programma Uno mattina e, dallo scorso anno, di Elisir. Quando si portano in televisione temi d’attualità c’è dietro un impegno professionale continuo e totalizzante, soprattutto se si considerano i tempi “veloci” del mezzo televisivo. Ecco, quanto il lavoro del giornalista, poi, si riversa nella sfera privata e personale della sua vita?

Nel caso di Uno Mattina non c’era proprio vita privata, nonostante avessi già un figlio e la famiglia sia sempre stata una delle mie priorità. L’informazione accade, a prescindere da tutti i nostri piani: Uno Mattina era un continuo di lavoro e di studio. Spesso gli ultimi copioni arrivavano a mezzanotte e difficilmente erano quelli definitivi. Per essere più precisi possibile è necessario rimanere sempre connessi.

Nelle interviste che ha rilasciato in passato ha parlato sempre di quanto conoscere l’italiano ed essere curiosi siano le colonne portanti del mestiere. Cos’altro è fondamentale per la formazione e la preparazione al mondo giornalistico?

Innanzitutto, dipende molto da che tipo di giornalismo intendiamo: sicuramente, l’italiano è la base, ma si dovrebbe conoscere anche l’inglese. Se l’estero è una delle opzioni, bisogna conoscere le lingue. Quando invece il giornalismo è d’inchiesta, è fondamentale non aver paura del sacrificio. Basta vedere Federica Angeli, che vive blindata con suo marito e i suoi bambini: hanno accettato il prezzo di non piegare la schiena. Altri invece, comePaolo Borrometi, non hanno intenzione per il momento di farsi una famiglia e danno priorità alla carriera. Per il giornalismo di divulgazione, vale a dire per il mio settore, ciò che conta è l’onestà intellettuale, la capacità di farsi e fare  le giuste domande. È un servizio: non conta l’autorefenzialità, nonostante il lavoro possa dare una discreta popolarità; serve la curiosità, anche quella più “spicciola”.

Chi si occupa di informazione ha anche la responsabilità di sensibilizzare l’opinione pubblica su determinate tematiche. Lei, ad esempio, ha raccontato la vita degli italiani emigrati all’estero cercando nuove opportunità di lavoro. Cosa, secondo lei, potrebbero e dovrebbero fare le istituzioni per sostenere i giovani che si affacciano al mondo del lavoro?

Sicuramente si dovrebbe investire nei gradi primari dell’istruzione: i più piccoli vanno avvicinati alla lettura e alla scrittura. Si dovrebbe lavorare di più per far innamorare i ragazzi della cultura. Camminando per Macerata ho visto delle librerie meravigliose per bambini: bisogna educare anche alla bellezza dell’informarsi, del farsi le giuste domande e del sapersi esprimere correttamente. Non basta accontentarsi di uno Stato che offre di che mangiare, dovremmo imparare a procurarcelo da soli. Come? Con un’educazione che sia corrispondente ai bisogni del mercato e del mondo del lavoro. In più, bisognerebbe anche rendere giustizia al lavoro degli insegnanti.

È mamma di due splendidi bambini. Quanto è difficile oggi per le donne conciliare carriera e figli? Si parla spesso di uguaglianza tra generi eppure le discrepanze sono ancora molte…

Bisogna vedere cosa si intende per uguaglianza: una donna non sarà mai uguale a un uomo, così come un uomo non sarà mai uguale a una donna. Ad esempio, nel fenomeno del multitasking, una donna con dei figli ha una capacità di concentrazione equa tra famiglia e lavoro. In genere, un uomo – perlomeno nei casi che conosco personalmente – affronta un problema alla volta. Quello che dovremmo ottenere è la parità di retribuzione. È una richiesta persino anacronistica: dovrebbe essere un assunto che se un uomo e una donna lavorano nello stesso settore e alla stessa scrivania non possono essere pagati diversamente. Mancano ancora dei sussidi anche dal punto di vista aziendale; quanto farebbero comodo scuole e asili nido in loco? Per non parlare dei colloqui di lavoro in cui domandano alle donne se hanno intenzione di fare figli per decidere se assumerle o meno – domanda, in teoria, perseguibile penalmente. Se una donna ha interesse ad avere una famiglia è naturale che accada. Con i miei due figli riesco a portare a casa la mia giornata lavorativa e il mio stipendio, credo di fare bene e spero che anche altre donne possano riuscirci, nonostante le diverse esigenze di ciascuna.

Qual è il suo rapporto con la musica? C’è un genere che preferisce o è un’ascoltatrice onnivora? Qual è il suo artista preferito?

Ho studiato pianoforte e chitarra, ma ho capito subito che quella non è la mia strada; a dirla tutta, non sono neppure dotata di una grande voce. Per questo mi piacciono tanto le cantanti con un’estensione vocale invidiabile, come Giorgia o Laura Pausini. In genere sono molto pop. Il mio rapporto con la musica è stupendo: seppure non necessariamente a parole, credo sia la forma d’arte più espressiva che io conosca. I brani che mi facevano piangere o sorridere a 15 anni mi fanno ancora emozionare.