Il commento di Musicultura
Rigore stilistico, inventiva, sensibilità espressiva sono le frecce all’arco di una canzone che evoca il fascino del fado senza farne un esercizio e che aggiunge un piccolo suggestivo capitolo al libro di racconti-metafora dei naviganti.
Il testo
Ho gettato i miei stivali Capitano
perché il mare non è asfalto, non c’è terra da pestare
perché l’acqua lava in fretta la sozzura e le parole
non c’è sabbia, non c’è fango per sporcarsi
ma noi siamo pesci strani Capitano
nati liberi e veloci ma incapaci di scappare
qual è il prossimo comando Capitano
qual è il posto dove andare?
Ho capito solo adesso Capitano
che la barca è il tuo lavoro
e obbedire è il mio mestiere
che ci hai preso come i pesci Capitano
insegnandoci a pescare
che ci hai fatto abituare
ed hai stretto agli stivali Capitano
il ricordo della terra, l’illusione di salpare
qual è il prossimo comando Capitano
qual è il posto dove andare?
Libera la barca scivola
su di noi il tempo precipita
libertà la rotta ci indica
ma non si fermerà
Se la barca avesse gli occhi Capitano
non avrebbe che guardare, sola, il cielo che si specchia
e se l’onda fosse un monte ci sarebbe da salire
lo farei se fosse un monte
scalerei per non morire
se ci fosse una ragione, Capitano
non saremmo così stanchi, non avremmo facce uguali
se il tuo mare avesse strade, Capitano
avrei ancora i miei stivali
Libera la barca scivola
su di noi il tempo precipita
libertà la rotta ci indica
ma non si fermerà