Fisica, scrittrice, conduttrice, attrice e divulgatrice scientifica è stata definita dalla stampa “la rockstar della Fisica”, perché ha saputo trasformare i suoi scritti in monologhi e spettacoli teatrali viaggiando in tour nelle maggiori città italiane; ha inoltre ideato e condotto trasmissioni televisive, podcast e programmi radiofonici. È tutto questo Gabriella Greison, che in occasione de La Controra di Musicultura 2023 ha proposto “uno stralcio” del suo spettacolo teatrale Entangled – Ogni cosa è collegata, un monologo tratto dal suo ultimo libro che narra la storia di uno dei fisici più importanti del XX secolo, Wolfang Pauli. Nei minuti precedenti all’incontro, ha spiegato alla redazione di “Sciuscià” come sia riuscita a fondere le sue passioni per la scienza e l’arte, unendo fisica quantistica, musica, letteratura e teatro.
L’occasione che la porta a Macerata è La Controra 2023, un susseguirsi di incontri con personalità e professionalità differenti allo scopo di indagare la cultura in ogni suo ambito. Quale aspetto apprezza maggiormente in ambienti come questo, e come Musicultura?
Musicultura è un evento che mi piace tantissimo, mi piace l’organizzazione, mi piace la città di Macerata. Qualche anno fa, passando in zona per lavoro, ho assistito alla parte conclusiva del Festival e sono onorata dell’invito in questa edizione. Nei miei monologhi racconto la fisica, sì, ma mi piacciono anche le contaminazioni tra questa e la musica: sui social, per esempio, ho creato un format dal titolo Jubox della fisica, risposte scientifiche alle domande delle canzoni, in cui rispondo seriamente alle domande che i grandi cantanti pongono nei loro brani più celebri. È un approccio che piace soprattutto ai ragazzi, ed è divertente allo stesso modo vedere i cantanti condividere i miei contenuti. Mi piacerebbe in questo senso l’approvazione di Mogol, poi c’è tutto.
Nel suo blog GreisonAnatomy parla del “Metodo Greison”, cioè del suo modo per raccontare la fisica quantistica sotto forma di storie, libri e spettacoli teatrali. Com’è nata l’idea di portare la fisica a teatro?
Il mio metodo è stato definito per la prima volta “Metodo Greison” in un articolo de “La Repubblica”. Durante l’intervista l’hanno descritto proprio con queste parole: «Lei individua la storia da raccontare, si reca sul posto per raccogliere le informazioni necessarie, conosce le persone che l’hanno vissuta o sentita di prima mano e, solo dopo molte e attente ricerche, inizia il suo romanzo». Ecco, questo è esattamente il processo, poi dal romanzo traggo lo spettacolo teatrale. Tutto è nato perché mi è venuto in mente di unire le mie doti – sia di scrittura, sia di racconto – sul palco: ho creato un filone nuovo nella divulgazione scientifica italiana, sono l’unica a raccontare le scoperte della fisica attraverso le parole e le vite dei protagonisti. Per questo mi diverto e mi piaccio nella mia unicità.
Fisica ma anche scrittura. Per ricostruire la storia di Mileva Marić, prima donna ad aver studiato fisica al Politecnico di Zurigo e moglie di Albert Einstein, si è recata direttamente negli ambienti zurighesi della sua formazione. Com’è stato poter immergersi nei luoghi raccontati, e quanto è importante il legame emotivo che ne deriva per la buona riuscita comunicativa?
Questa è una bella domanda perché è una storia a cui tengo tantissimo. La vita dimenticata di Mileva Marić è un esempio che mi piace far conoscere e riportare quale simbolo di speranza, di rinascita, di cambiamento per la nuova generazione. Si tratta di una donna a cui è stato impedito di laurearsi in fisica, costretta dalla società del tempo a lasciare gli studi dopo aver avuto due figli da Albert Einstein, nella convinzione maschilista che i due aspetti della vita – privato e lavorativo – non potessero coesistere. Era un modo di pensare e fare tipico fino a tutto il XX secolo. Il messaggio che voglio trasmettere a tutte le generazioni di donne è che possono scegliere di avere figli o non averne, di creare una famiglia o non crearla, ma di proseguire nel loro percorso professionale indipendentemente dalle decisioni private, e realizzare il loro sogno. Per raccontare questa storia sono andata in una roccaforte del potere maschilista, la Svizzera appunto, e ho proposto il riconoscimento di laurea postuma per Mileva al Politecnico di Zurigo. La domanda è ancora aperta, avrò la possibilità di recarmi sul posto portando il mio monologo, è già una bella spia d’apertura.
La comunicazione social è ormai parte integrante della vita quotidiana, considerata sempre più anche per la divulgazione scientifica e letteraria attraverso pagine dedicate e profili di studiosi e studiose, come lei, che condividono il sapere con i giovani. Qual è stato il suo primo approccio con questo mondo digitale a livello lavorativo?
Mi sono da subito tuffata nei social, mi diverto tantissimo. Oltre a essere un gioco, è un modo di stare insieme ai ragazzi, scambiare informazioni, ricevere pareri. Mi piace leggere quello che commentano e mi scrivono, che sia su TikTok, Instagram o YouTube. Sono luoghi virtuali che però rappresentano le piazze, dove ritrovarsi indipendentemente dalla provenienza. I social network sono poi utilissimi per informazioni che spaziano dal sapere dove trascorrere una serata al leggere cose che il mainstream e la televisione non condividono.
“Pauli cercava l’amore” ha dichiarato in un suo monologo a DiMartedì su La7, “andava in analisi da Jung per questo, e per cercare il senso della vita”. Nel suo ultimo libro, Ogni cosa è collegata, racconta la storia di uno dei fisici più importanti del XX secolo, Wolfang Pauli, il cui scopo era quello di trovare il nesso tra fisica quantistica, realtà, mente e amore. Che cos’è l’amore per Gabriella Greison?
Pauli andava in analisi da Jung perché aveva l’esigenza di capire l’amore, non aveva mai amato una donna. Il fisico viennese, di notte, conduceva una seconda vita: andava per bordelli, beveva whiskey, partecipava a risse con la gente più malfamata nei quartieri più sporchi delle grandi città. Questa vita notturna comprometteva la sua reputazione all’interno della comunità scientifica, nonostante avesse vinto il premio Nobel. Ho dedicato proprio a questo personaggio particolare il libro Ogni cosa è collegata e lo spettacolo teatrale Entangled. Anche per raccontare la sua storia mi sono recata dov’è cresciuto e nei luoghi in cui ha vissuto, fino a riscoprire i suoi appunti sulla teoria che non riuscì mai a spiegare: doveva presentarla in una conferenza al Politecnico di Zurigo nel 1958, ma si sentì male all’inizio della lezione e morì dopo circa dieci giorni. Sono tornata sulle tracce da lui lasciate, ho studiato i suoi lavori e trovato la conclusione della sua ipotesi scientifica: tutto è collegato. Nel mio monologo racconto come è possibile che ogni cosa sia connessa, e lo faccio usando la fisica quantistica, la mente e anche l’amore, che Pauli voleva inglobare nella sua teoria unificatrice. Quindi, la risposta alla tua domanda: per me l’amore è qualcosa che fa parte di un grande sistema che ci consente di essere importanti al mondo. E questo ce lo spiega la scienza.