INTERVISTA: Gabriella Greison a La Controra 2023

Fisica, scrittrice, conduttrice, attrice e divulgatrice scientifica è stata definita dalla stampa “la rockstar della Fisica”, perché ha saputo trasformare i suoi scritti in monologhi e spettacoli teatrali viaggiando in tour nelle maggiori città italiane; ha inoltre ideato e condotto trasmissioni televisive, podcast e programmi radiofonici. È tutto questo Gabriella Greison, che in occasione de La Controra di Musicultura 2023 ha proposto “uno stralcio” del suo spettacolo teatrale Entangled – Ogni cosa è collegata, un monologo tratto dal suo ultimo libro che narra la storia di uno dei fisici più importanti del XX secolo, Wolfang Pauli. Nei minuti precedenti all’incontro, ha spiegato alla redazione di “Sciuscià” come sia riuscita a fondere le sue passioni per la scienza e l’arte, unendo fisica quantistica, musica, letteratura e teatro.

L’occasione che la porta a Macerata è La Controra 2023, un susseguirsi di incontri con personalità e professionalità differenti allo scopo di indagare la cultura in ogni suo ambito. Quale aspetto apprezza maggiormente in ambienti come questo, e come Musicultura?

Musicultura è un evento che mi piace tantissimo, mi piace l’organizzazione, mi piace la città di Macerata. Qualche anno fa, passando in zona per lavoro, ho assistito alla parte conclusiva del Festival e sono onorata dell’invito in questa edizione. Nei miei monologhi racconto la fisica, sì, ma mi piacciono anche le contaminazioni tra questa e la musica: sui social, per esempio, ho creato un format dal titolo Jubox della fisica, risposte scientifiche alle domande delle canzoni, in cui rispondo seriamente alle domande che i grandi cantanti pongono nei loro brani più celebri. È un approccio che piace soprattutto ai ragazzi, ed è divertente allo stesso modo vedere i cantanti condividere i miei contenuti. Mi piacerebbe in questo senso l’approvazione di Mogol, poi c’è tutto.

Nel suo blog GreisonAnatomy parla del “Metodo Greison”, cioè del suo modo per raccontare la fisica quantistica sotto forma di storie, libri e spettacoli teatrali. Com’è nata l’idea di portare la fisica a teatro?

Il mio metodo è stato definito per la prima volta “Metodo Greison” in un articolo de “La Repubblica”. Durante l’intervista l’hanno descritto proprio con queste parole: «Lei individua la storia da raccontare, si reca sul posto per raccogliere le informazioni necessarie, conosce le persone che l’hanno vissuta o sentita di prima mano e, solo dopo molte e attente ricerche, inizia il suo romanzo». Ecco, questo è esattamente il processo, poi dal romanzo traggo lo spettacolo teatrale. Tutto è nato perché mi è venuto in mente di unire le mie doti – sia di scrittura, sia di racconto – sul palco: ho creato un filone nuovo nella divulgazione scientifica italiana, sono l’unica a raccontare le scoperte della fisica attraverso le parole e le vite dei protagonisti. Per questo mi diverto e mi piaccio nella mia unicità.

Fisica ma anche scrittura. Per ricostruire la storia di Mileva Marić, prima donna ad aver studiato fisica al Politecnico di Zurigo e moglie di Albert Einstein, si è recata direttamente negli ambienti zurighesi della sua formazione. Com’è stato poter immergersi nei luoghi raccontati, e quanto è importante il legame emotivo che ne deriva per la buona riuscita comunicativa?

Questa è una bella domanda perché è una storia a cui tengo tantissimo. La vita dimenticata di Mileva Marić è un esempio che mi piace far conoscere e riportare quale simbolo di speranza, di rinascita, di cambiamento per la nuova generazione. Si tratta di una donna a cui è stato impedito di laurearsi in fisica, costretta dalla società del tempo a lasciare gli studi dopo aver avuto due figli da Albert Einstein, nella convinzione maschilista che i due aspetti della vita – privato e lavorativo – non potessero coesistere. Era un modo di pensare e fare tipico fino a tutto il XX secolo. Il messaggio che voglio trasmettere a tutte le generazioni di donne è che possono scegliere di avere figli o non averne, di creare una famiglia o non crearla, ma di proseguire nel loro percorso professionale indipendentemente dalle decisioni private, e realizzare il loro sogno. Per raccontare questa storia sono andata in una roccaforte del potere maschilista, la Svizzera appunto, e ho proposto il riconoscimento di laurea postuma per Mileva al Politecnico di Zurigo. La domanda è ancora aperta, avrò la possibilità di recarmi sul posto portando il mio monologo, è già una bella spia d’apertura.

La comunicazione social è ormai parte integrante della vita quotidiana, considerata sempre più anche per la divulgazione scientifica e letteraria attraverso pagine dedicate e profili di studiosi e studiose, come lei, che condividono il sapere con i giovani. Qual è stato il suo primo approccio con questo mondo digitale a livello lavorativo?  

Mi sono da subito tuffata nei social, mi diverto tantissimo. Oltre a essere un gioco, è un modo di stare insieme ai ragazzi, scambiare informazioni, ricevere pareri. Mi piace leggere quello che commentano e mi scrivono, che sia su TikTok, Instagram o YouTube. Sono luoghi virtuali che però rappresentano le piazze, dove ritrovarsi indipendentemente dalla provenienza. I social network sono poi utilissimi per informazioni che spaziano dal sapere dove trascorrere una serata al leggere cose che il mainstream e la televisione non condividono.

“Pauli cercava l’amore” ha dichiarato in un suo monologo a DiMartedì su La7, “andava in analisi da Jung per questo, e per cercare il senso della vita”. Nel suo ultimo libro, Ogni cosa è collegata, racconta la storia di uno dei fisici più importanti del XX secolo, Wolfang Pauli, il cui scopo era quello di trovare il nesso tra fisica quantistica, realtà, mente e amore. Che cos’è l’amore per Gabriella Greison?

Pauli andava in analisi da Jung perché aveva l’esigenza di capire l’amore, non aveva mai amato una donna.  Il fisico viennese, di notte, conduceva una seconda vita: andava per bordelli, beveva whiskey, partecipava a risse con la gente più malfamata nei quartieri più sporchi delle grandi città. Questa vita notturna comprometteva la sua reputazione all’interno della comunità scientifica, nonostante avesse vinto il premio Nobel. Ho dedicato proprio a questo personaggio particolare il libro Ogni cosa è collegata e lo spettacolo teatrale Entangled. Anche per raccontare la sua storia mi sono recata dov’è cresciuto e nei luoghi in cui ha vissuto, fino a riscoprire i suoi appunti sulla teoria che non riuscì mai a spiegare: doveva presentarla in una conferenza al Politecnico di Zurigo nel 1958, ma si sentì male all’inizio della lezione e morì dopo circa dieci giorni. Sono tornata sulle tracce da lui lasciate, ho studiato i suoi lavori e trovato la conclusione della sua ipotesi scientifica: tutto è collegato. Nel mio monologo racconto come è possibile che ogni cosa sia connessa, e lo faccio usando la fisica quantistica, la mente e anche l’amore, che Pauli voleva inglobare nella sua teoria unificatrice. Quindi, la risposta alla tua domanda: per me l’amore è qualcosa che fa parte di un grande sistema che ci consente di essere importanti al mondo. E questo ce lo spiega la scienza.


 

Banca Macerata Main Partner di Musicultura

Venerdì 23 e sabato 24 giugno, dopo aver riascoltato per l’ultima volta le esibizioni degli 8 vincitori di Musicultura XXXIV, scopriremo chi sarà il vincitore assoluto del Festival; scopriremo, quindi, chi riceverà l’assegno da 20 000 euro del Premio Banca Macerata.  Molti i valori condivisi da quest’ultima e Musicultura: l’attenzione nei confronti dei giovani, innanzitutto. E poi l’interesse per il talento e la qualità, unitamente alla volontà di valorizzare e arricchire il territorio. È tutto ciò a rendere la collaborazione tra il Festival e l’istituto bancario proficua e stimolante.

A parlarci di questo binomio è il Presidente onorario della banca, Loris Tartuferi.

Musicultura e Banca Macerata agiscono in sinergia, ormai, da 3 anni. Quali sono i valori alla base di questo legame?

Ad accomunare Banca Macerata e Musicultura c’è la condivisone di principi che ispirano entrambe le realtà. Musicultura opera a favore dei giovani e del territorio, contribuendo alla ricchezza di quest’ultimo grazie alle sue attività e ampliandone, dunque,  valutazione e considerazione a livello nazionale. Questi sono valori propri anche di Banca Macerata: il nostro istituto ha nel DNA il territorio. Basti guardare, per esempio, al nostro logo che – sia nelle linee che nei colori – richiama il cielo, le colline maceratesi. Lo dimostra anche la sede sociale, inaugurata circa due mesi fa, pronta ad accogliere tutti coloro- dipendenti, azionisti, clienti- che abbiano intenzione di collaborare e fare qualcosa insieme a Banca Macerata.

Soffermiamoci su questa edizione del Festival: come è andata?

Penso sia andata molto bene: sia Musicultura che i suoi sostenitori – il Comune, la Regione, il Ministero della Cultura, le Università coinvolte- rappresentano quel legame strettissimo di cui Banca Macerata ha bisogno, anche per tentare di avviare una crescita veloce in grado di soddisfare, molto di più e molto meglio, le attese del territorio che -per diversi anni- è rimasto privo di una banca che fosse veramente sua. Il Festival contribuisce, inoltre, a far conoscere il nome di Banca Macerata in tutta Italia. Dunque sì, questa edizione ha dato i suoi frutti e spero che il nostro legame possa continuare a lungo.

Allo Sferisterio scopriremo chi, tra gli 8 artisti in concorso, sarà il vincitore assoluto e si aggiudicherà il Premio Banca Macerata del valore di 20 000 euro. Quale augurio vuole rivolgere a questi giovani in vista della finalissima e, in generale, per il loro futuro?

L’augurio che voglio rivolger loro è questo: fatevi forza, combattete con ogni arma a vostra disposizione, cercate di superare voi stessi e, insomma, che vinca il migliore. Spero che questi giovani, attraverso Musicultura, possano aprirsi un varco per il loro futuro. Partecipare a questo Festival non significa soltanto presentarsi con il proprio lavoro musicale; significa fare esperienza, acquisire conoscenza, stringere rapporti: tutti elementi che saranno sicuramente utili per il domani, indipendentemente dalla stessa musica.

Conferenza Stampa Musicultura 2023 – vincitori

 

INTERVISTA: a tu per tu con Gianmarco Carroccia

Un concerto, mille Emozioni. Questo quello che ha regalato Gianmarco Carroccia alla città di Macerata per La Controra di Musicultura. Restituendo proprio quelle emozioni lasciate in eredità dal grande Lucio Battisti, Carroccia ha eseguito alcuni tra i brani più celebri del cantautore. Un vero e proprio viaggio nel tempo: dalle prime canzoni, scritte negli anni ‘60 in duo con Mogol, fino a quelle degli anni ’80.

Un sentito “canto libero” ha coinvolto il pubblico presente in Piazza della Libertà, che si è lasciato trasportare dall’esibizione con entusiasmo e partecipazione. Un tuffo nel passato, insomma, accolto a “braccia tese” dagli spettatori; ma anche un tuffo nel mondo di Carroccia, che con questa intervista abbiamo cercato di conoscere meglio.

Da diversi anni collabora con Mogol nell’ambito del progetto Emozioni. Com’è nata l’idea di interpretare il repertorio del grande Lucio Battisti?

Avevo iniziato già un po’ di anni prima di avviare la collaborazione con il maestro Mogol. Assieme a lui, poi, è nata l’idea di mettere su una sorta di concerto-racconto in cui ripercorrere sul palco il sodalizio di questi due grandi artisti della musica italiana. Il progetto prende piede proprio dalla volontà di raccontare il reale significato di ognuna di queste canzoni, di spiegare come sono nate e narrare gli aneddoti legati a esse.

Lei è molto giovane ma, nonostante ciò, ha alle spalle una lunga carriera. Cosa vede guardandosi indietro e, poi, avanti?

Voltandomi indietro vedo che è stata già percorsa molta strada. C’è stato tanto lavoro alle spalle svolto con totale libertà e assoluto piacere. È un percorso ancora lungo da fare; come dico sempre, è soltanto l’inizio. Noi che ci occupiamo di arte siamo degli eterni allievi e abbiamo continuamente da imparare.

Musicultura è un’occasione per gli artisti emergenti di farsi conoscere al grande pubblico. Pensa che la scena musicale odierna sia promettente o crede che la grande musica del passato sia ormai ineguagliabile?

Credo che ci siano tanti artisti e cantautori bravissimi. Il problema è che purtroppo oggi le radio trasmettono solo e soltanto un unico genere musicale, rivolto ai giovanissimi. Mentre la musica del passato, quella cantautorale degli anni ‘70, era rivolta a una fascia d’età molto più ampia. Ne è una dimostrazione il fatto che, dopo cinquant’anni, è ancora nel cuore di tutti. C’è da chiedersi invece cosa rimarrà in futuro di quello che c’è oggi nelle radio.

Oltre al repertorio battistiano, si è cimentato in sue pubblicazioni personali. L’ultima in particolare – Non mi spaventa tanto amare – è scritta e composta proprio da lei. Possiamo considerarlo l’inizio di un percorso del tutto nuovo?

È un percorso sicuramente molto allettante e stimolante che porterò avanti parallelamente al progetto Emozioni. Quest’ultimo continua a darmi tanto: mi ha permesso di conoscere molte persone straordinarie, sia del mio stesso ambiente che tra il pubblico, ed è grazie a loro che sono qui oggi. Allo stesso tempo, porterò avanti la produzione delle mie canzoni che spero raggiungano un pubblico sempre più ampio.

Salutiamoci tornando a Battisti per un’ultima domanda: se oggi avesse potuto incontrarlo, cosa gli avrebbe chiesto?

Forse non gli chiederei nulla: semplicemente gli direi grazie. Sì, gli farei un caldo ringraziamento per l’immenso patrimonio di emozioni che ci ha lasciato. E non è affatto poco.


 

L’arte della condivisione: Ron a La Controra 2023

La Controra 2023 inizia con uno dei maggiori interpreti della canzone italiana. Accolto dall’affetto di un pubblico intergenerazionale, Ron ripercorre i suoi straordinari 53 anni di carriera rispondendo alle domande della redazione universitaria Sciuscià. Teatro, cinema, conduzione, composizione, canzone, cantautorato: nella sua vita Rosalino Cellammare si è dedicato a tante, se non a tutte, le arti dello spettacolo, senza mai rinnegare il suo istinto, rimanendo fedele a se stesso con autenticità, nella convinzione che semplicità e umanità siano la chiave per vivere l’arte.

La prima domanda posta dagli studenti non può che affrontare il tema della formazione, non solo come percorso di apprendimento lineare ma anche come sperimentazione, perché, precisa Ron, non c’è talento senza formazione. «Il talento puro è una fiamma che non si estingue mai, è capace di sviluppare un’energia fortissima. Chi ha questo dono meraviglioso può fare tutto, anche i talent show. In questi contesti l’importante non è arrivare, ma buttar fuori una personalità, anche solo con un gesto. Sono queste le cose che segnano davvero la vita di un artista».

Per fare in modo che ciò accada, servono delle proposte concrete. Una città per cantare non è solo una canzone, è anche la scuola di musica che Ron ha avviato nel 2010 per quei giovani talenti che vogliono conoscere, imparare e sperimentare la propria musica e i propri pezzi, in un contesto di collaborazione. La dimensione corale è, senza dubbio, il punto di forza di questo progetto e del suo ideatore, il cui lavoro, negli anni, si è contraddistinto per la capacità di mettere insieme anime diverse. «Ho sempre pensato – afferma ai microfoni di Sciuscià – che per la musica sia essenziale la magia che si crea quando le persone cantano insieme. Questa sensazione, per capirla, bisogna provarla. Non mi sono mai emozionato così tanto come quando, di fronte a una platea ammutolita, con Fiorella Mannoia, Francesco De Gregori e Pino Daniele ci siamo sentiti ‘spogli’. La nostra voce lavorava per noi: eravamo riusciti a mostrare la nostra anima».

Dalle parole sincere di sua madre – «Fallo, ma fallo bene» – alla realizzazione di un sogno, tanti sono i ricordi che riaffiorano, che hanno il sapore di quella vita intensa, ma lontana, vissuta da una generazione di artisti che ormai sfugge alla maggior parte dei giovani. «Ora è difficile ascoltare cose grandi come montagne, come quelle che scrivevano Dalla, De André e Battisti. Io credo che tutti abbiamo bisogno di farci travolgere dalla forza spaventosa dei grandi autori del passato, di imparare chi sono stati e come sono stati. I nostri giovani non conoscono quello che è stato prima di loro, gli manca una vera e propria cultura musicale, la capacità di riuscire a trovare se stessi nelle parole di questi grandi».

Dietro ogni parola e ogni nota, prosegue, c’è sempre una storia. La formula per una buona canzone è partire da se stessi, da chi siamo e da ciò che sentiamo: «La buona canzone è quella che ti assomiglia», che affonda nelle tue radici e rispecchia ciò che hai dentro, la tua terra e la tua famiglia. «Una volta c’erano dei bellissimi pezzi che avevano il potere della semplicità», proprio ciò che negli ultimi anni, aggiunge, ha perso la musica italiana. Nonostante questo, ammette di avere grande fiducia nelle nuove generazioni. Seppure i giovani, spiega, sempre più spesso subiscano le conseguenze «di una visione sbagliata del nostro lavoro. Manca qualcuno che li ascolti e li guidi, che gli dica che sono sulla strada giusta, senza una telecamera puntata in faccia».

Ron, premiazione agli alti meriti artistici – Musicultura 2023

Dagli anni Settanta a oggi spesso quelle telecamere hanno inquadrato Ron, il personaggio, lasciando un po’ nell’ombra la persona, quel Rosalino che da qualche tempo è rinato. «Io credo che nel suo essere schifoso e devastante, il Covid, nel mio caso, sia servito. Come tutti mi sono ritrovato chiuso in casa, solo. In quel silenzio, in quell’ampolla in cui vivevamo, sono riuscito a tirare fuori qualcosa», il disco Sono un figlio.

È stato un silenzio pieno e creativo, lo stesso che – dice al termine dell’incontro – ha ritrovato a Macerata. «Sono rimasto strabiliato da questa città. Qui, per la prima volta dopo tanto tempo, ho ritrovato il silenzio». Un silenzio particolare: il silenzio di chi ascolta. E una città che ascolta, in fondo, è proprio “una città per cantare”.


 

I vincitori di Musicultura 2023

Presentata oggi in RAI a Roma, nella Sala degli Arazzi di Viale Mazzini, la 34° edizione di Musicultura, in programma a Macerata dal 19 al 24 giugno, con le serate conclusive di spettacolo il 23 e il 24 giugno allo Sferisterio.

Main Media Partner del Festival della Canzone Popolare e d’Autore è la Rai, con Rai Radio1, Rai 2, TGR, Rainews24, Rai Canone, Rai Italia e RaiPlay Sound impegnate a raccontare l’evento a tutto tondo.

La conduzione è affidata alla sensibilità e alla bravura di Flavio Insinna. Ad  affiancarlo sul palco, con la competenza musicale che le è propria, Carolina Di Domenico: per entrambi è la prima volta a Musicultura.

Ecco i vincitori di Musicultura 2023,  tutti autori delle canzoni che interpretano:

AMarti, Pietra (Ferrara); Ilaria Argiolas, Vorrei guaritte io (Roma); cecilia, Lacrime di piombo da tenere con le mani (Pisa); Lamante, L’ultimo piano (Schio, VI); Simone Matteuzzi, Ipersensibile (Milano); Santamarea, Santamarea (Palermo); Cristiana Verardo, Ho finito le canzoni (Lecce); Zic, Futuro stupendo (Firenze).

I protagonisti del concorso si ritroveranno poi a Macerata, dove spetterà ai 2.400 spettatori presenti allo Sferisterio esprimersi e decretare con il voto il Vincitore Assoluto 2023.

Il 23 e il 24 giugno sono confermate sul palco dello Sferisterio le partecipazioni di Ermal Meta, Paola Turci, Santi Francesi (già vincitori assoluti di Musicultura nel 2021 come The Jab) Rachele Andrioli e Coro a Coro, Dardust, Chiara Francini, Fabio Concato, Mogol. Come sempre, le due serate di spettacolo saranno impreziosite da sorprese dell’ultimo minuto.

 

La musica come “occasione costante di analisi, creazione e rielaborazione di tutti gli stimoli della vita”. L’intervista a Simone Matteuzzi, finalista di Musicultura.

Simone Matteuzzi, ventiduenne cantautore milanese, racconta alla Redazione del Festival come nascono le sue canzoni, navigando attraverso un’eterogeneità di stili alla ricerca del più adatto a esprimere la sua complessa soggettività. Il brano Ipersensibile, che gli ha aperto la strada tra i finalisti di Musicultura, esprime le difficoltà emotive nel cercare di vivere l’amore e relazionarsi con gli altri in un mondo che sottopone le persone a crescenti pressione e competitività.

Leggo nella tua biografia che hai già vinto nel 2018 il premio per cantautori della Fondazione Estro Musicale di Milano e nel 2022 il Premio “Ricerca e Contaminazione” della Pino Daniele Trust Onlus. Come stai vivendo l’esperienza di Musicultura e cosa rappresenta la partecipazione a questo festival nel tuo
percorso?
La partecipazione a Musicultura rappresenta una tappa importante nel mio percorso umano e artistico. Era da anni che sbirciavo timidamente le attività di Musicultura con grande stima e interesse, ma – forse come subendo una sorta di timore reverenziale – non avevo mai osato avvicinarmici, mettermi in gioco. Ora che ne ho avuto il coraggio si sta dimostrando un’esperienza fondamentale per la mia crescita. Mi emoziona molto far parte di un Festival in cui è posta così tanta attenzione alla canzone, e più in generale alla musica, come fatto culturale imprescindibile. Guardando “dall’alto” il mio percorso, mi sembra che l’opportunità di Musicultura si ponga in perfetta consequenzialità con le esperienze fatte finora; è un altro grande passo in avanti verso la costruzione di ciò che è per me la canzone: un’occasione costante di analisi, creazione e rielaborazione di tutti gli stimoli della vita, di ricerca concreta di se stessi e degli altri.

Sempre nella tua biografia hai dichiarato di esserti innamorato della black music, dei Pink Floyd, di Miles Davis e di Franco Battiato. In che modo questi artisti hanno influenzato il tuo percorso musicale?
Penso che la diversità in tutto ciò che ho ascoltato e assorbito negli anni sia alla base della mia “formazione” musicale. Vedo nell’accostamento di elementi differenti e nella loro pacifica convivenza la mia cifra artistica. Per descrivere la complessa architettura di una soggettività umana non penso sia sufficiente un solo stile musicale; per questo, nella mia musica confluisce naturalmente tutto ciò di cui mi sono innamorato e quello che rappresenta per me. Sono debitore alla black music, all’art-rock e al jazz: studiando la varietà di queste musiche negli anni ho imparato che con i suoni si può giocare, che il “sound” può parlare. Di conseguenza, l’accostamento di più sound, anche quasi ossimorici, in un solo brano può dipingere uno stato d’animo più articolato, complesso. Al contempo, mi sento emotivamente legatissimo al cantautorato italiano, particolarmente al lavoro di Dalla e Battiato, un esempio vivo di cultura nel senso più ampio del termine, che abbraccia la vita sotto ogni suo aspetto, saltellando con leggerezza dalla visione
spirituale a quella comica, giocosa.

Ipersensibile è il brano selezionato dalla Giuria di Musicultura. Sul sito della tua etichetta Zebra Sound leggiamo che “nasce in una fredda notte di sconforto provinciale e racconta la difficoltà emotiva del relazionarsi con persone e ambienti di una società sempre più performante”. Quali sono le difficoltà che un ventenne deve affrontare nella società di oggi?
Ipersensibile è arrivata come un vomito nevrotico dopo una lunga e sofferta nausea. Racconta appunto il disagio e la pressione che si avvertono quando ci si rende conto di essere inadatti. Nella mia esperienza di vita di giovane artista sento spesso questa pressione, anche nell’universo dell’arte, che talvolta sembra
ingiustamente fagocitato dalla forma mentis turbocapitalista che governa il mondo. L’ansia di dover arrivare o dover dimostrare di essere “meglio di” permea l’ambito creativo tanto quanto quello relazionale, sembra di dover avere sempre qualcosa da dire, di non poter accogliere il silenzio, la lentezza, che io reputo sacri. Talvolta questo turbinìo, avvertito in particolare modo in una città come Milano, sembra farcelo dimenticare riducendoci a degli esseri cinici e impauriti, per l’appunto ipersensibili ma coperti da una corazza di agitata indifferenza. Penso che l’intreccio di parole, suoni, velocità e impressioni che costituisce Ipersensibile descriva al meglio, almeno per quello che è il mio sentire, queste difficoltà emotive e cerchi in
qualche modo anche di esorcizzarle.

Durante le Audizioni Live di Musicultura hai presentato anche Zanzare, un pezzo, molto diverso da Ipersensibile, che racconta un sentimento più intimo e timido. In che modo vivi quello che hai definito come “dissidio interiore”?
Penso che ogni canzone tratti l’amore a modo suo. Se Ipersensibile racconta un “amore” davanti al quale si frappone uno scudo di negazione, cinismo e resistenza passiva, Zanzare accoglie l’amore e le difficoltà che si possono avere con esso. Non la definirei comunque una canzone “positiva”, persiste appunto un forte dissidio interiore, ma in questo caso viene espresso con più dolcezza, come infatti suggerisce la musica.
Ipersensibile non accoglie la situazione di sofferenza, la accetta con tragicità, dannazione; Zanzare, invece, apre uno spiraglio alla comprensione, alla tenerezza che può trasparire anche dalle situazioni più drammatiche. Come a dire: io sono così, la realtà che ci circonda è così, possiamo mettere nero su bianco i nostri dissidi e guardarli in faccia stando assieme anziché dannarci di una nevrotica solitudine. Proprio per questo il ritornello finale assume un aspetto corale, quasi liturgico, comunitario, e penso che questa sia la risposta migliore con cui accogliere ogni avvenimento: farlo insieme.

Rimaniamo in tema di Audizioni Live: in quell’occasione hai accompagnato la tua voce con la chitarra acustica, ma sui tuoi account social ti vediamo alle prese con diversi strumenti musicali. In che modo scegli quelli con cui accompagnare i tuoi brani?
Se potessi mi accompagnerei sempre con ogni strumento! Quello che ho avuto modo di studiare più approfonditamente negli anni è il pianoforte, ma per passione ed esigenza imbraccio spesso anche chitarra e basso. Proprio per questo motivo, non c’è una vera e propria scelta dello strumento da utilizzare per accompagnarmi dal vivo: penso ognuno di essi sia un mezzo per esprimere la propria umanità come lo è la musica in senso più ampio. Ho sempre amato sin da bambino giocare coi suoni e con le parole; più mezzi si hanno per fare questo gioco più sarà divertente. Ogni suono è un’opportunità e la tecnologia, il processing e la sintesi digitale dei suoni allargano queste opportunità pressoché all’infinito. Suono diversi strumenti
proprio per questo, per tuffarmi in questo sconfinato mare di opportunità con cui posso esprimere quello che sono e che scoprirò di essere.

“La musica mi aiuta a mettere in ordine i pensieri”: Cristiana Verardo a Musicultura 2023

Cristiana Verardo approda a Musicultura dopo una serie di progetti che la vedono partecipare a diversi festival musicali e tour internazionali. In questa intervista, la cantautrice e chitarrista salentina racconta alla Redazione di “Sciuscià” in che modo vive il suo rapporto con la musica, strumento di introspezione e di analisi delle sue esperienze ed emozioni.

Sappiamo che questa non è la prima volta che partecipi a un festival musicale. Nel 2019, per esempio, hai vinto il Premio Bianca D’Aponte. Cosa ti aspetti, ora, da un festival come Musicultura?
Non mi fa bene avere molte aspettative, preferisco vivermela e metterci tutto l’impegno possibile. Fino a ora Musicultura è stata un’esperienza bellissima e sono molto contenta che non sia finita al Teatro Lauro Rossi di Macerata, con le Audizioni Live: sono sicura che il meglio debba ancora venire e sono molto felice
mi sia stata data questa preziosa opportunità con la mia selezione tra i sedici finalisti del concorso.

La tua produzione musicale è molto sensibile alle tematiche sociali, in particolare a quella della disparità di genere. Guardando al mondo della musica, pensi che le donne abbiano ancora molta strada da fare?
Facendo riferimento alla disparità di genere in un’accezione più ampia pare sia arrivato il momento di potere avere la possibilità di percorrerla questa strada (anche se non in tutte le parti del mondo purtroppo), di poterla avere sotto i piedi. Eravamo in attesa ai “blocchi di partenza” da millenni! Per quanto riguarda la musica in Italia, i dati dicono che le cose stanno cambiando ed effettivamente me ne accorgo anch’io dalla presenza più consistente di artiste donne nei cartelloni di festival e rassegne, così come nelle classifiche, sempre in minoranza, ma almeno presenti!

Durante le Audizioni Live hai dichiarato che Ho finito le canzoni rappresenta “un segnalibro sulla prima pagina di un capitolo difficile della mia vita”. Il testo è infatti intriso di sentimenti contrastanti, dalla voglia di riscatto alla nostalgia contenuta nel verso “l’amore ci passa di fianco, non guarda nemmeno”. In che modo la musica ti è stata di supporto in questo periodo difficile?
La musica, soprattutto se la scrivo, mi aiuta a mettere in ordine i pensieri: di solito quello che scrivo è la verità più profonda delle cose che vivo. Scrivere mi mette a nudo e quindi mi aiuta a guardarmi veramente dentro.

 

3000 anni, che abbiamo ascoltato sempre durante le Audizioni Live del Festival, racconta invece una storia d’amore tra due alberi d’ulivo. Quanto sono importanti per te le radici salentine e quanto le troviamo nella tua musica?
Io sento di avere sotto i piedi delle radici elastiche che mi permettono di muovermi in libertà ma che alla fine mi fanno ritornare sempre da dove sono partita. Ho un attaccamento viscerale alla mia terra e mi piace raccontarla nella mia musica, a volte attraverso le sonorità, altre volte con le storie, come in 3000 anni.

Come ti prepari prima di salire sul palco? C’è un rituale, un gesto scaramantico, un portafortuna a cui ti affidi? Come cerchi la concentrazione prima di una performance?
Di solito ho bisogno di stare 10 minuti da sola per farmi un ripasso veloce di quello che dovrà accadere sul palco- Lo faccio per resettare, mi aiuta molto. E poi un gin tonic o un bicchiere di vino, anche quello mi aiuta molto.

“La musica può educare alla bellezza e alle intuizioni”: a tu per tu con Rosewood

Una vita dedicata allo studio e alla formazione in ambito musicale. Introspezione e sperimentazione.
Dall’amore per la sua regione ai progetti per il futuro. Giordano Conti, in arte Rosewood, conquista un posto tra i sedici finalisti della XXXIV edizione di Musicultura e si racconta così alla redazione di “Sciuscià”.

Sigarette, il singolo che hai presentato sul palco delle Audizioni Live di Musicultura, rappresenta un importante passaggio dalla tua carriera di chitarrista a quella di cantautore. Cosa ti ha spinto a prendere questa importante decisione?
Il passaggio dall’essere chitarrista all’essere cantautore è stato spontaneo e naturale. È semplicemente arrivato in seguito allo sviluppo di un forte interesse verso ambiti musicali a me prima quasi sconosciuti come quello della produzione, del canto e della scrittura. Tutto questo accade durante la quarantena, periodo nel quale ho avuto tempo di dedicarmi alla sperimentazione e in cui ho inconsapevolmente avuto uno stimolo che mi ha portato a conoscere parti più profonde di me. Penso che il cambiamento nello stile musicale sia conseguenza di questa introspezione.

Il tuo primo album, “Impersonale”, contiene solo tracce strumentali ed è un insieme di ambient e post rock. Hai realizzato poi diversi singoli dalla svolta pop con contaminazioni punk-rock, emo, trap e heavy-metal. In che modo coesistono tutte queste dimensioni sonore nel tuo progetto musicale?
Queste dimensioni sonore coesistono in quanto parte del mio percorso di studi e ascolti. Cerco sempre di inserire nella mia produzione artistica le influenze musicali dei diversi stili che ascolto e suono, in maniera più o meno evidente. Inoltre, parlando di “Impersonale” e dei singoli pubblicati successivamente, penso che ci sia uno stile chitarristico coerente e riconoscibile. Da Sigarette in poi cerco di fare in modo che queste sonorità, anche molto contrastanti, coesistano tramite l’espressione della mia personalità, del mio modo di scrittura e del mio stile
canoro. Detto in parole povere, Giordano (o “Rosewood”) è l’aspetto che accomuna tutta la mia produzione.

Hai partecipato all’edizione 2022 de “L’Umbria che spacca”, uno dei festival più conosciuti a livello nazionale che mette in luce i talenti emergenti della nuova scena musicale del territorio umbro. Cherapporto hai con la tua regione in generale e con la tua città (Terni) in particolare?
Adoro l’Umbria. La trovo stupenda da un punto di vista storico, naturalistico e artistico. È la terra nella quale sono cresciuto e nella quale ho stretto i legami con le persone che tutt’ora sono al mio fianco. La mia regione in generale mi ha dato bellissime opportunità per esibirmi, come appunto “L’Umbria Che Spacca” e un’altra importante situazione nella quale in futuro mi esibirò. Verso Terni ho invece un rapporto di amore – odio.  Terni è una città piena di personalità artistiche originali, variegate e di livello, ma ci sono pochi posti attrezzati a dovere che permettano agli artisti di esibirsi in maniera consistente. Fino a ora, ho sentito come se la città non tenesse abbastanza in considerazione e non apprezzasse i talenti musicali del territorio con la serietà che meritano. A ogni modo sembra che la situazione stia migliorando.

Hai dedicato tutta la tua vita alla formazione in ambito musicale. Come pensi evolverà il tuo percorso e quali progetti hai per il futuro?
La carriera artistica è sempre stata e rimarrà il mio focus principale. Ho deciso di affrontare un percorso di studi incentrato sulla musica per poter stimolare il più possibile la mia creatività e per conoscere approfonditamente la materia di cui ho deciso di occuparmi. Per il futuro ho in programma di scrivere tanti brani che siano sempre veri, suonare live il più possibile e fare del mio progetto artistico un lavoro a tempo pieno. Il percorso di studi che ho affrontato mi ha anche dato gli strumenti per essere un didatta. In futuro, contemplo la possibilità di avvicinarmi all’insegnamento, come già accaduto in passato. Trasmettere alle giovani menti la passione, la curiosità per la musica e gli strumenti critici per amarla e comprenderla sarebbe una grande soddisfazione personale; un buon insegnante può cambiare in meglio la vita dei suoi studenti e fare la differenza. Nell’ambitodella formazione personale, ho intenzione di frequentare nuovamente il conservatorio per dedicarmi allo studio del contrabbasso.

Manifestare la propria anima e tutto quello che di più profondo c’è in noi stessi a volte sembra impossibile o comunque estremamente difficile. Tu ci riesci attraverso la musica. Affermi che “la forma frivola non esclude un contenuto profondo, una dose di forte ansia e agitazione”. Credi che la musica abbia un potere curativo?
Credo che la musica sia un mezzo comunicativo molto potente. Oltre ad avere potere curativo, la musica e le parole sono in grado di plasmare le menti. Per questo motivo credo che alcuni argomenti vadano affrontati con più profondità da parte degli artisti e che, in generale, tutti dovrebbero fare molta attenzione al contenuto dei propri testi, cercando sempre di mandare messaggi che stimolino una riflessione o una soluzione pur non escludendo l’esternazione del problema. Come spesso accade nella musica pop gli ascoltatori sono giovani menti in processo di formazione, molto recettive per tutto quello che viene esternato dai mass media e spesso sprovviste di strumenti critici che permettano loro di comprendere il senso e la serietà di quello che ascoltano e vedono. Gli artisti sono fonte di ispirazione e possono diventare modelli costruttivi ma anche distruttivi. L’azione propedeutica della musica può aprire la strada a parti più profonde dell’essere umano e può educare la mente alla bellezza e alle intuizioni, pur non condizionando il pensiero e la libertà di agire di ogni singolo individuo. Per certi versi anche questa è una forma di guarigione.

Mira a Musicultura 2023: “In ogni azione c’è musica, basta solo saper ascoltare”

Originaria di Casapulla (Caserta), Mira, all’anagrafe Miriana D’Albore, prende lezioni di canto sin dall’età di 9 anni, per poi proseguire gli studi al Saint Louis College of Music di Roma e perfezionarsi in canto pop. La profonda curiosità musicale e la sperimentazione di generi e sonorità differenti la portano
a vivere esperienze quali Area Sanremo e X-Factor 15, fino al concerto del Primo Maggio a Roma nel 2022.
Oggi il suo nome appare tra quello dei 16 finalisti della XXXIV edizione di Musicultura e, per l’occasione, racconta alla Redazione di “Sciuscià” il suo legame indissolubile con la musica.

Da Caserta a Macerata. Come sei approdata a Musicultura e in cosa pensi si differenzi rispetto ad altri contesti musicali da te già sperimentati?
Conosco da tempo Musicultura, credo che sia una bella opportunità per chi come me è ancora agli inizi della propria carriera, basti pensare agli artisti che hanno fatto la storia di questo concorso. La cosa che più mi ha attratto è stata l’attenzione che i giudici riservano ai concorrenti, cercando di comprenderne i tratti distintivi, le peculiarità del progetto e le sfumature della personalità artistica.

Il brano Morire con te presentato alle Audizioni descrive la figura di una donna completamente padrona del suo corpo e protagonista delle sue azioni. Nella vita quotidiana quanto ti senti vicina, o ancora distante, a questo tipo di libertà femminile?
Ogni giorno cerco di avvicinarmi sempre più alla figura di donna ideale e forte descritta nel testo, ma sicuramente non è facile. Penso che ogni donna, anche al giorno d’oggi, debba continuamente scontrarsi con pregiudizi e tabù, che però allo stesso tempo la rendono più decisa e determinata. In Morire con te è la donna a prendersi gioco impavidamente di chi si permette di essere “molesto” e, più in
generale, delle varie forme di stereotipi di genere. Mi auguro che possa essere d’ispirazione per tutte quelle ragazze che ancora non si rispecchiano in una condizione di piena libertà femminile.

Da cosa nasce la curiosità per l’elettro-pop e la sperimentazione continua che ne deriva?
L’attrazione per l’elettro pop nasce innanzitutto dal genere di musica che ascolto – Björk, The Chemical Brothers, Labrinth – anche se non mi limito solo a un genere, cercando sempre di spaziare alla scoperta di nuove sonorità. Sicuramente è stato determinante anche l’incontro con il mio producer che, lavorando su questo tipo di musica, mi ha permesso di sperimentare e intensificare la mia passione.

Parliamo del potere curativo dell’arte. In interviste precedenti hai accennato al rapporto viscerale costruito con la musica, psicologa capace di ascoltare e accarezzare i pensieri. Ti va di descriverci meglio questo legame terapeutico?
La musica è la mia psicologa personale perché quando la vita mi presenta delle sfide da affrontare o una scelta difficile da prendere, mi rivolgo a lei convinta che sappia mostrarmi sempre la strada corretta da seguire. Non mi separo mai dalle mie cuffiette, sono a contatto con la musica in ogni momento della giornata e sfrutto ogni occasione per prendere nota di qualche pensiero o di qualche melodia che sviluppo poi al pianoforte. Il legame che ho con la musica è molto forte, sicuramente terapeutico, cerco di esser sempre in ascolto. In ogni cosa che facciamo, in ogni singola azione, anche se non ce ne accorgiamo, c’è sempre musica, basta solo saper ascoltare. Non riesco a immaginare una vita senza
musica.

Lo spazio musicale per eccellenza è senz’altro il palco, ma ogni luogo può trasformarsi in vetrina artistica se si ha di fronte almeno un paio d’occhi volenteroso di ascoltare. Quale spazio, che non sia un palco vero e proprio, ricordi di aver riempito con maggiore soddisfazione attraverso la tua musica?
È vero, cantare su un palco, di per sé, dà una grande soddisfazione, ma sono altrettanto convinta che ogni momento possa diventare una vetrina artistica: anche quando, magari, degli amici o dei parenti mi chiedono di cantare per loro, in contesti quindi molto diversi da un palcoscenico. Ogni volta sono ben felice di farlo, anche quelle sono occasioni che mi danno un’enorme gratificazione, con la speranza di aver donato con la mia musica belle sensazioni e buoni sentimenti.

“Quando scrivo, cerco di farmi attraversare dall’arte”: a tu per tu con AMarti.

Rock-blues, musica folk, poesia e arte di strada. Quello di AMarti è un continuo viaggio alla ricerca di se stessa e della propria felicità motivato da un forte bisogno di esprimersi con emozione, purezza e onestà. Il suo progetto artistico, nato nella provincia ferrarese e fiorito in Scozia, conquista un posto tra i sedici finalisti di Musicultura.

Hai vissuto per alcuni anni in Scozia. In che modo questa esperienza ha contribuito alla tua formazione musicale e cantautorale?

Quando sono andata in Scozia cercavo una via d’uscita dalla persona che ero diventata in Italia. Amavo cantare ma credevo di non avere il coraggio di farlo. Glasgow aveva tutte le opportunità per lanciarsi nel mondo della musica: jam session rock, blues, musica folk e arte di strada. Ricordo bene la mia prima volta a un open mic. In quel momento sentii una forte sensazione di completezza. Trovai finalmente una risposta alla domanda che ricorreva insistentemente in quegli anni: “Cosa vuoi diventare?”. Da lì è iniziato tutto. Prima cover rock-blues e soul, poi ho seguito un corso di music performance in un college di Glasgow e successivamente ho iniziato a scrivere testi inediti e melodie vocali per alcuni gruppi. Ogni tanto in quel periodo abbracciavo timidamente la chitarra per creare canzoni completamente mie, sperimentando uno strumento che conoscevo pochissimo.

Sei una busker. Dici che “la strada è un posto dove le persone possono fermarsi o non fermarsi, apprezzare o non apprezzare quello che si fa. Per me è un continuo esperimento, un buonissimo allenamento”. Come questo aspetto del tuo essere artista ti aiuta ad affrontare contesti musicali come quello di Musicultura?

In fondo il bisogno è lo stesso: esprimere me stessa completamente con emozione, purezza e onestà, sperando di attraversare gli altri, in piazza o in teatro.

Sul palco delle Audizioni Live hai presentato il singolo Pietra, un richiamo alla forza della natura in contrapposizione alla fragilità dell’essere umano. La tua è una musica che fluisce e batte a ritmo del cuore di chi la esegue. Quanto credi sia importante per un artista che fa musica raccontare la propria verità e le proprie fragilità nelle canzoni?

Credo che un’artista ne abbia un’intrinseca necessità, fa parte del suo essere. Questa ricerca è dolorosa perché ci fa scoprire parti fragili della nostra personalità e sofferenze che ci impediscono di essere pienamente felici, noi stessi e quindi verità. Vivere queste emozioni significa accoglierle con pazienza. Pietra ha significato questo. Affidandomi all’amore, rappresentato dalla forza della natura, ho scoperto in me una grande fragilità che poi ho saputo trasformare in forza.

Sei un’artista a tutto tondo. Oltre alla musica ti dedichi anche alla pittura e alla poesia. Come concili questi lati diversi della tua creatività e in che modo si contaminano tra di loro?

Cerco di usare la pittura ogni volta che rendo pubblica una canzone. A ogni brano abbino un quadro che si anima tramite una applicazione del cellulare. La pittura ha avuto anche una sua vita indipendente così come la poesia, nata qualche anno fa e sbocciata quando mi sono innamorata per la seconda volta del mare di casa, Porto
Garibaldi. Di recente le poesie che compongo spesso diventano i testi delle mie canzoni, come nel caso di Pietra.

Ti definisci una “cantautrice dream folk”. Quanto il folklore è presente nella tua musica e in che modo si declina nella composizione e nella stesura dei brani?

Quel termine me lo sono inventato. Sento in me un richiamo popolare antico unito a una sensazione sognante. Quando scrivo, cerco di farmi attraversare dall’arte. Nel farlo forse c’è sempre qualche antenna settata sulla musica araba, medievale, balcanica, bulgara, italiana del sud, celtica.