Maceratese di nascita e romano di adozione, Ferretti muove i primi passi artistici grazie agli studi in ambito teatrale, per poi approdare alla composizione musicale nel 2019 e sviluppando da qui i suoi progetti inediti. Nell’aprile 2021 l’incontro col produttore Andrea Mei dà vita a un sodalizio fondamentale per l’espressione della sua anima rap-rock, embrione dell’ultimo EP ora in cantiere e atteso per l’estate.
È proprio questa sua ricerca di «istintività e sensitività» che gli apre le porte della seconda fase del Festival, portando il suo nome tra i 16 finalisti di Musicultura 2023.
Alla Redazione di “Sciuscià” Ferretti si racconta così.
Ripartiamo dalla prima tappa live del Festival, quella delle Audizioni: com’è stato calcare il palco del Teatro Lauro Rossi di Macerata?
Le Audizioni Live sono state una bellissima esperienza, non mi aspettavo un clima così affiatato: i ragazzi che lavorano al festival sono fantastici e pieni energia, mi sono sentito coccolato dalle mille attenzioni riservate a noi artisti, quasi in imbarazzo, francamente non credo di meritarle.
Inoltre suonare in teatro è sempre magico, specie al Lauro Rossi, dato che Macerata è la città dove sono cresciuto: è stato un onore, per quello che rappresenta Musicultura.
Nel brano Sorgono canti «presentami queste tue storie […] parlo di gente»: in che misura l’ascolto di esperienze altrui arricchisce la stesura dei tuoi testi e in che modo ti rapporti a queste quando ti vengono raccontate?
Diciamo che l’ascolto mi arricchisce in generale, indipendentemente da ciò che poi riesce a generare. Credo che sia fondamentale essere aperti, reattivi e ricettivi, curiosi nei confronti del mondo e del prossimo, per poterne cogliere i dettagli: non sempre questo porta direttamente a un testo o a una canzone, ma sicuramente aiuta a stimolare la creatività.
Per come “funziono” io è essenziale fare esperienza diretta delle cose, dove possibile, anche solo per avere un’intuizione su cui poter lavorare.
Come hai spiegato in più occasioni, il tuo prossimo EP rappresenterà l’unione tra rap e rock, con focus particolare sul recupero di istintività e sensitività. Per definizione la sensitività è capacità di sentire, percepire gli stimoli attraverso i sensi: quale tra i cinque sensi riconosci come essenziale per entrare in contatto col tuo istinto, con la natura, e poi con la scrittura?
Quando parlo di istinto mi riferisco a una peculiarità animale, che non è propria del genere umano, o forse è solo sopita. Ciò che mi affascina è la capacità di poter sentire indipendentemente da dove sia rivolto il nostro focus, per esempio: se camminassimo alle spalle di un gatto, anche facendo attenzione a non fare rumore, quasi sicuramente lui si accorgerebbe di noi prima che riuscissimo a raggiungerlo.
Spesso quando ci sentiamo osservati, lo siamo davvero: se qualcuno ci fissa bastano pochi secondi e senza neanche accorgercene, naturalmente, alziamo lo sguardo e lo rivolgiamo verso il soggetto in questione. Ecco, io vorrei poter perfezionare questo tipo di sensibilità, con la consapevolezza che non
sarà mai pienamente controllabile. I sensi più utili in questi termini sono quelli che ci permettono di agire al di là del nostro spazio, della nostra chinesfera: quindi olfatto, vista e udito.
Il regista britannico Peter Brook ha descritto i tre elementi necessari all’esistenza del teatro: uno spazio vuoto da riempire, un attore in movimento e uno spettatore che gli rivolga l’attenzione. Il legame è tra persone capaci di condividere lo stesso tempo e spazio e di generare arte. Come percepisci la presenza del pubblico, sia teatralmente che musicalmente?
Tutto accade sempre e solo grazie a un legame tra persone, ancora meglio se capaci di condividere: nello spettacolo dal vivo questa è una caratteristica fondamentale in quanto genera momenti irripetibili.
La percezione che si ha del pubblico dipende dall’energia messa in campo prima dall’artista a cui viene o meno restituita: è qualcosa che si sente e non si spiega, si sente se c’è e forse ancora di più quando manca, perché l’assenza per certi versi è più potente della presenza. L’unica certezza è che quando delle anime manifestano la propria volontà di incontrarsi, come nel caso di artista e pubblico, qualche cosa
succede sempre.
“La grazia o il tedio a morte del vivere in provincia”: così cantava Guccini. Ecco: com’è per Ferretti, invece, il vivere in provincia?
Per essere chiaro, mi cito da solo: “Come una pentola di fango che ribolle dove corpi senza volto ci trascinano sul fondo”. Per me vivere in provincia è allo stesso tempo la cosa migliore e peggiore che mi sia capitata. Il rapporto che ho con il posto in cui sono nato e cresciuto alterna momenti di amore e odio, entrambi vissuti visceralmente. Ciò che amo è sotto gli occhi di tutti, ciò che odio solo sotto quelli di chi ci vive: parlo di un vento di rassegnazione costante, non delle persone, ma di un fenomeno sociale.