RACCONTO: il mercoledì maceratese de La Controra

Dopo due giornate trascorse all’insegna di fortissime emozioni, entusiasmo e partecipazione da parte del pubblico accorso da ogni angolo della regione Marche per assistere agli eventi proposti, la terza giornata de La Controra non delude le aspettative.

Il primo capitolo della giornata si apre con “Scrivere per ricostruire. Voci e storie del dopo terremoto”, progetto ideato e promosso dall’Istituto Storico di Macerata e la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Il progetto nasce con l’intento di ri-costruire le memorie delle comunità delle aree interne della provincia maceratese in seguito ai terremoti che hanno colpito l’Appennino dove, tra ritardi e polemiche, la ricostruzione ha tardato a iniziare. Presso la Sala Castiglioni della Biblioteca Comunale di Macerata sono presentate storie di vite attraversate dalla fragilità, dal coraggio e dalla speranza. Sono storie di donne, uomini, bambini, anziani. Molti sono i temi che vengono trattati tra cui il passato, la riorganizzazione della propria vita e la voglia di ricostruire con la convinzione che è proprio la forza del racconto e della scrittura ad aiutare a risanare le ferite e a rimettere insieme quanto dentro e fuori di sé sta andando in pezzi.

La giornata prosegue presso il Cortile di Palazzo Buonaccorsi, dove bambini, genitori e lettori curiosi accolgono l’editrice e autrice Elisabetta Dami, teneramente conosciuta come la “mamma” di Geronimo Stilton. Dami, insignita da poco del titolo di Commendatore della Repubblica Italiana, ripercorre la storia della sua vita attraverso una serie di aneddoti e racconti inediti e racconta al pubblico presente come da una esperienza personale, l’adozione presso la tribù di nativi americani Cherokee, l’autrice abbia tratto lo spunto per il suo ultimo romanzo. Così parlò Lupo Blu è un viaggio avventuroso nella natura selvaggia alla scoperta del vero senso della vita e dei valori fondamentali quali la cooperazione, la tolleranza e il rispetto per noi stessi, per gli altri e per la Natura. Un romanzo che parla a tutti, grandi e piccini, e ci ricorda la bellezza della diversità e il potere straordinario delle storie come queste, toccanti, dolci. Lupo Blu ci insegna che noi, attraverso le scelte che compiamo ogni giorno, siamo i responsabili e gli artefici del nostro destino e che il futuro è nelle mani di chi ha la forza e il coraggio di continuare a sognare e a ricercare la felicità.

Le vie di Macerata si riempiono poi di gioia e colori grazie all’ Hoopelaï Hula Hoop Show di Andreanne Thiboutot, artista canadese che nella sua importante carriera vanta meravigliose collaborazioni con il prestigioso Cirque du Soleil. In Hoopelaï, Thiboutot, veste i panni di Madame Jocelyn, una donna elegante e sofisticata, che si stordisce a far girare i suoi hula hoop.  Grande è il coinvolgimento del pubblico, giovane e meno giovane che con grande stupore e meraviglia si lascia affascinare ed emozionare da tanta bellezza e tanta arte.

La sera si accendono i riflettori su Piazza della Libertà Il sindaco di Macerata, Sandro Parcaroli e la direttrice commerciale di Banca Macerata, Debora Falcetta, sottolineano l’importanza di un festival come Musicultura per la comunità maceratese. Spazio poi a John Vignola per l’inizio della serata musicale in compagnia degli otto vincitori di Musicultura 2022.

La prima a esibirsi è Isotta, artista senese che porta sul palco le sue Palla avvelenata e Psicofarmaci, a detta della cantautrice una metafora di tutti quei “castelli di sabbia che la nostra mente crea per cercare di stare meglio con se stessi e nel rapporto con gli altri”. Spazio poi all’anima dolce ed elettronica di Martina Vinci, cantautrice e musicista genovese che ha incantato la platea con Il cielo di Londra e Parole di troppo, canzone che parla dei mille modi possibili di vivere l’amore, invita ad accettarsi e ad accettare gli altri e a fare delle proprie insicurezze dei punti di forza. La serata continua poi con THEMORBELLI, autore e interprete de Il giardino dei Finzi-Contini e THERINASCIMENTO, una canzone d’amore non convenzionale che lascia trasparire una rabbia velata la quale sottende una gioia e un amore infinito per la vita. Il quarto ad esibirsi è Emit. Il cantautore sottolinea l’importanza che le parole hanno all’interno della sua produzione artistica e suggerisce delle bellissime immagini con i suoi due brani Vino e Mare.

Altra presenza femminile è quella di Cassandra Raffaele. La musica rappresenta per lei un rifugio, una luce, un fuoco che le brucia l’anima e che la porta a intonare le note de La mia anarchia ama te e Sarà successo. Seguono gli Yosh Whale, che con le loro Inutile e Stanca portano sul palco la loro musica frutto di un ricercato lavoro di sperimentazione e contaminazione. È il turno poi di Valeria Sturba, artista polistrumentista che grida forte il suo Antiamore e racconta i mille mondi interiori che convivono in ognuno di noi con Le cose strane. Ultimi a esibirsi sono i Malvax che, con una straordinaria capacità di coinvolgere il pubblico presente, eseguono le loro canzoni Esci col cane e Sneakers.

Intervista: con Elisabetta Dami, l’arte della curiosità a La Controra 2022

Chi, come noi della redazione di “Sciuscià”, ha la possibilità di incontrare di persona Elisabetta Dami, capisce subito che di fronte non ha solo l’autrice di Geronimo Stilton. Classe 1958, da sempre dedica la sua vita alla scrittura e ai viaggi. Tra un libro e l’altro ha corso tre volte la maratona di New York e una volta la durissima 100 km del Sahara; ha preso il brevetto da pilota d’aereo e fatto paracadutismo. Per il suo ruolo di storyteller è stata adottata ufficialmente da due tribù di nativi americani: il Popolo degli Hopi e quello dei Cherokee. Avventura, rispetto e curiosità sono i suoi principi guida nel lavoro e nella vita. Anche se la sua missione principale consiste nell’educazione di bambini e ragazzi, una cosa è certa: Elisabetta Dami è un esempio per tutti, grandi e piccini.

Nella tua biografia dici che in ogni libro c’è un po’ di te, soprattutto la tua passione per l’avventura. Come riesci a prendere le distanze dal tuo vissuto personale e a trasformarlo in una storia?

In realtà tutte le esperienze che faccio, da sempre, mi sono servite. Sono la materia prima da cui parto per elaborare le emozioni che ho provato e trasmetterle ai lettori che magari non hanno ancora l’età, o le capacità di organizzarsi – magari le avranno in futuro – per scalare il Kilimangiaro, completare una maratona di centoventi chilometri nel deserto del Sahara o un trekking in Nepal. Sono tutte cose che mi hanno insegnato moltissimo su me stessa e di cui sono grata alla vita. Quindi parto dall’emozione che ho provato in queste avventure e cerco di trasmetterle a chi legge, in modo che il libro sia come una finestra sul mondo, capace di immedesimare il lettore nella realtà vera di quello che ho sentito io. Per esempio, una volta mi chiesero – più di vent’anni fa – di scrivere un libro di Geronimo sulle cascate del Niagara e c’era pochissimo tempo perché il lavoro era urgente. Dissi che ci dovevo andare, e tutti a ripetermi che ero la solita esagerata, che avrei potuto solo studiare un po’. Volevo – e voglio ancora – l’emozione. Quando arrivai là capii che avevo ragione. La cosa curiosa che scoprii alle cascate è che tu senti un rumore fortissimo prima ancora di vederle. E proprio questo ti dà l’emozione: comprendere che quella è una cosa assolutamente fuori dal normale. Lo stesso mi accadde quando per la prima volta mi trovai vicino a degli elefanti nella riserva naturale di Dzanga-Sangha in Centrafrica: prima di vederli, senti il terreno che trema e senti l’odore, questo odore di selvatico che non è sgradevole e sa di foglie bagnate, di fango, di terra, di piante, di esotico, di Africa. E la guida ti dice: “Arrivano!”.

I valori e gli ideali che cerchi di trasmettere nei tuoi libri sono approdati in tutto il mondo: Geronimo Stilton è stato tradotto in ben 49 lingue, dall’inglese al cinese, fino  all’arabo. Come si arriva al cuore dei bambini quando hanno una cultura di base tanto diversa dalla nostra?

I bambini in tutto il mondo, almeno fino ai dieci anni, sono molto simili perché sono istintivi e danno una grande importanza al cuore. Vedo che rispondono alle stesse leve psicologiche ed emotive, proprio per questa loro capacità così autentica di essere sinceri. I valori di Geronimo sono onestà, lealtà, sincerità, amicizia, soprattutto rispetto. Rispetto per la natura significa ecologia, rispetto per gli altri significa valorizzazione delle diversità, inclusione e pace. Rispetto per se stessi significa non fare mai nulla che possa farti del male, per esempio non avvicinarsi alle droghe o all’alcol. Ci sono anche il rispetto per la famiglia, per la scuola, per le istituzioni, per la legalità. Tutti questi valori aiutano i bambini a inserirsi in modo pacifico e civile nella società, ma il punto più importante è la speranza. Geronimo è nato proprio così, in un ospedale, per dare speranza ai ragazzi. Poi le sue storie sono anche avventure, colpi di scena in ogni pagina e umorismo, che è fondamentale.

Il tuo ultimo libro, Così parlò Lupo Blu, si discosta in parte dalla produzione precedente, soprattutto per quanto riguarda i possibili destinatari del testo: non solo piccoli uomini e donne, ma anche ragazzi e adulti. Come è emersa l’esigenza di parlare a una platea più ampia?

Per oltre vent’anni ho parlato con la voce di un topo, poi ho pensato di fare un libro per i più piccoli: sono nati Billo e Billa nella Valle della Felicità. In ogni libro spiego un valore e cerco di aiutare i genitori ad affrontare certi temi difficili. Il lupo, invece, è un animale che parla al cuore di tutti noi e desideravo scrivere un’avventura senza tempo, alla scoperta del senso della vita. Attraverso la voce di questo personaggio speciale volevo raccontare la mia esperienza. Vedo che i giovani hanno bisogno di sentirsi confortare da qualcuno che dica loro: “Io ti racconto ciò che ho imparato, secondo me ti sarà utile”.

Suoni il pianoforte e da anni sei ambasciatore dello Zecchino d’Oro e dell’Antoniano Onlus. La tua presenza a Musicultura evidenzia l’aspirazione di questo Festival a essere un’officina dell’arte in tutte le sue forme, una scuola per chiunque abbia voglia di imparare. A te cosa ha insegnato la musica?

La musica è forse l’unico linguaggio universale perché – di nuovo – parla al cuore di tutti. Quando ci si riunisce in nome della musica non si può sbagliare e a quel punto si può parlare anche di cultura, di libri. Qui al Festival ho trovato un clima di amicizia che mi piace tantissimo. Infatti ho chiesto a Ezio (Nannipieri, il direttore artistico di Musicultura, ndr) di invitarmi anche l’anno prossimo. Magari troverò qualcos’altro di intelligente da dire!

Dopo quarant’anni di carriera come si conserva e protegge quella curiosità di bambina che, come dici, ispira ancora il tuo lavoro?

Guarda, li ho contati l’altro giorno: sono 45. Io ho 63 anni e sono orgogliosa di dirlo perché nel cuore me ne sento meno e, quando scrivo, ritorno ai miei 7 anni. Però sono anche contenta di essere “maturata”, come direbbe Geronimo per il formaggio. L’età mi ha insegnato un sacco di cose. Sono migliorata con gli anni: per esempio, ho imparato la pazienza – una virtù che da giovane non avevo – e ho capito l’importanza della gentilezza. Sono felice che la mia esperienza possa passare a qualcuno.

Hai già fatto il giro del mondo e visitato alcuni dei luoghi più singolari del pianeta. Dove ti porterà il prossimo viaggio?

Tocchi un punto sensibilissimo. Iniziai a lavorare a 18 anni con mio papà e a 25 gli dissi: “Senti, qui ho capito che per far le cose come dico io devo lavorare tanto, sarà impegnativo e mi ci voglio buttare bene. Adesso mi prendo sei mesi sabbatici e vado a fare il giro del mondo”. Partii con i soldi che avevo guadagnato e messo da parte religiosamente, in classe economica e da sola perché volevo fare esperienza. Ho visto di tutto, ma non è stato facile. A metà ci ho messo anche un corso di sopravvivenza nel Maine. Però è stato favoloso e da qualche tempo a questa parte mi sono detta: ho lasciato passare quarant’anni, adesso lo devo rifare!

Intervista: Roberto Piumini ospite a La Controra 2022

Roberto Piumini ha sempre giocato con i suoni, le parole, i racconti. È stato, all’inizio della sua carriera, insegnante di lettere e attore teatrale. La scrittura è arrivata quasi naturalmente, nel 1978: da allora ha pubblicato moltissimi libri di fiabe, filastrocche e testi teatrali, diventando uno dei nomi più importanti della letteratura per l’infanzia. E non solo: perché dagli anni ’90 ha anche scritto romanzi, racconti e poemi per i più grandi.

Ieri ha messo un po’ di quelle storie in valigia e le ha portate a Macerata, per la Controra di Musicultura. Nella Sala Castiglioni della Biblioteca Mozzi Borgetti, assieme a Nadio Marenco che lo ha accompagnato con la sua fisarmonica, ha letto ad alta voce le avventure de “Il Piegatore di lenzuoli”. Noi della redazione di Sciuscià l’abbiamo intervistato, per conoscere meglio il suo percorso artistico, le sue idee sul mestiere di scrivere, le sue ispirazioni. Ecco cosa ci ha raccontato:

Partiamo così, a bruciapelo: come nasce una filastrocca?

La filastrocca nasce dal gioco: il gioco delle parole e del senso, e il gioco dei suoni. È qualcosa che origina nella parte ludica e fonosimbolica della nostra mente, dalla voglia di creare e poi di condividere con gli altri. “Altri” che in questo caso sono i bambini. In un primo momento la filastrocca appartiene solo a chi la scrive, ma fa presto a diventare divertimento, coralità, danza e movimento, voglia di partecipare insieme. È un materiale verbale dinamico.

Ha tradotto poemi di Browning, i Sonetti e il Macbeth di Shakespeare. Come si integra il suo lavoro di traduttore con quello di scrittore per l’infanzia?

Il mio lavoro di traduttore è una sorta di “prolungamento ludico” della mia attività di poeta. Ma senza la responsabilità di narrare e di inventare. Con la traduzione ho la possibilità di far dilatare al massimo l’intervento del mio linguaggio e della mia capacità di costruire e di creare. Di mestiere non faccio il traduttore, però quando traduco mi informo sul campo semantico usato dall’autore, faccio una sorta di “perizia investigativa” sulla metrica, studio la lingua, le metafore. Però non mi dimentico mai di essere anche un poeta, quindi cerco di creare delle versioni che siano comunque fedeli, ma più godibili e con più canto.

Ha lavorato al fianco di diversi musicisti per la realizzazione di libri su autori, strumenti e stili musicali. Com’è nata l’idea di queste collaborazioni?

Diversi decenni fa Bruno Lauzi, cantautore della gloriosa epoca del cantautorato italiano, mi fece iscrivere alla SIAE. Aveva visto e apprezzato alcuni dei miei testi, e voleva a tutti i costi che io diventassi autore musicale per potermi coinvolgere in un progetto. La cosa alla fine non avvenne, il progetto non fu mai realizzato, ma io rimasi comunque formalmente un autore. Quando cominciai a girare per le scuole e per le biblioteche per fare spettacoli sui miei testi accompagnato da musicisti scoprii che non avevo nessuna difficoltà a scrivere canzoni. È un’attività che mi diverte tantissimo, proprio come mi diverte fare traduzioni. Credo che in entrambi i casi, infatti, ci sia una parte poetica preesistente; quindi posso rivolgermi con più attenzione al mio campo specifico: quello delle parole. Le considero entrambe attività “defaticanti”. Il che può sembrare strano, perché una traduzione come quella del “Paradiso Perduto” mi ha occupato circa un anno e mezzo. Ma è un gioco: un gioco che si fa con qualcosa detto già da altri o che sta per essere detto da altri, e io cerco di giocare nel miglior modo possibile.

Che valore attribuisce alla poesia quando afferma che “partecipa al colloquio del mondo, anche quando è un canto solitario”?

Attribuisco alla poesia un valore antropologico. È senz’altro l’atto espressivo più profondo e più legato alla memoria, al desiderio, all’esperienza, all’identità. È quello che più di ogni altra cosa richiama una risposta nell’altro.

Da oltre trent’anni Musicultura accoglie moltissimi giovani cantautori. Parliamo di musica d’autore in cui ognuno esprime una parte di sé, del proprio animo. Quali sono le sue impressioni a proposito?

Posso parlare dei miei gusti personali, perché non sono un ascoltatore per così dire “qualificato”. Mi piacciono i cantautori che non scrivono con un eccesso di letteratura, ma che lavorano sull’espressività. Preferisco i cantautori che non vogliono essere troppo letterati, insomma. Quelli che trovano il giusto equilibrio, senza esagerare nel profetarsi poeti.

Musicultura e Banca Macerata

Venerdì 24 e sabato 25 giugno, l’Arena Sferisterio farà da scenario alle esibizioni degli 8 vincitori della XXXIII edizione di Musicultura. Alla fine delle due serate verrà assegnato il premio Banca Macerata, del valore di 20.000 euro, al vincitore assoluto di questa XXXIII edizione. Ecco, proprio valorizzare l’eccellenza e i giovani talenti musicali è uno degli obiettivi che la partnership tra Musicultura e Banca Macerata intende perseguire. In un momento storico come questo, in cui ricominciare è la parola d’ordine, il Presidente dell’istituto di credito, Ferdinando Cavallini, ci ricorda proprio di puntare sempre sui giovani e sul futuro della musica italiana.

Sta per giungere al termine il secondo anno di collaborazione con il Festival della Musica Popolare e d’Autore. Com’è nata l’idea di questa partnership?

L’idea nasce da una semplice costatazione: Musicultura è un’eccellenza del territorio che si è affermata – e sempre più si va affermando – nel tempo, portando la città di Macerata ad avere risonanza a livello nazionale. Banca Macerata è una banca giovane, un po’ più giovane di Musicultura, e vuole quindi valorizzare i giovani e i loro talenti. Non c’era un partner migliore per noi, perché rispondeva perfettamente alla nostra esigenza di portare avanti un’idea: quella di essere sempre presenti e sempre attivi sul territorio.

Facciamo un piccolo bilancio, seppur ancora parziale, di questa prima edizione del festival post-pandemia…

È stata un’edizione di grande successo, di grande soddisfazione, di grandi impegno e capacità organizzativa. Il Festival ancora una volta è riuscito a coinvolgere tutti in termini mediatici. C’è stata tanta presenza, insomma. Tanto tutto. Tanto bello.

Le serate finali che si terranno allo Sferisterio si avvicinano. Qual è il suo augurio agli otto vincitori che a breve si esibiranno per aggiudicarsi il titolo di vincitore assoluto?

Che vinca il migliore. Che vinca il finalista più apprezzato dal pubblico. A tutti gli artisti auguro una splendida carriera, perché si sono impegnati tanto, hanno superato molte selezioni e sono arrivati fino a questo traguardo. Credo che sarà una grande soddisfazione per tutti loro essere già arrivati fin qui. In bocca a lupo a tutti, vi auguriamo tutto il bene possibile.

Chiudiamo così: se dovesse dedicare una canzone a Musicultura, quale canzone sceglierebbe?

Sei bellissima, di Loredana Bertè.

Intervista: Michele D’Andrea torna a La Controra di Musicultura

La seconda giornata de La Controra è inaugurata dalla presenza dello storico, araldista, scrittore romano Michele D’Andrea e dalla sua spiccata volontà di narrare particolari storici poco noti al pubblico. Tante le attività e le passioni che contraddistinguono la sua figura, tra cui la passione per la musica risorgimentale italiana.
Classe ’59, Michele D’Andrea ha ricoperto cariche prestigiose come quella di Consigliere della Presidenza della Repubblica e membro del Cerimoniale. Si è occupato, inoltre, di messaggistica presidenziale e uffici stampa. Insomma, la sua è stata, per sua stessa ammissione, “una bella palestra di crescita professionale”. Conosciamo altre sfaccettature della sua persona attraverso quest’intervista rilasciata alla redazione di “Sciuscià”.

Si è occupato di messagistica e comunicazione istituzionale, cerimoniale, storia, teatro e musica. Come ci si giostra tra attività apparentemente così diverse?

Con tanta passione. La passione è qualcosa che ti fa vivere. È ossigeno. È il cervello che si apre. Sono le occasioni che prendi al volo. Sono le intuizioni. È anche la mancanza di fatica quando sei stanco. E c’è una cosa che dico a voi ragazzi: fate tutte le vostre cose, scuola e fuoriscuola, con passione, perché la passione muove le montagne.

In qualità di araldista ha curato lo stendardo presidenziale e gli stemmi dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Marina Militare e dell’Esercito Italiano. Qual è l’importanza di questa forma di comunicazione nel 2022?

L’araldica fu una sorta di miracolo. In cinquant’anni appena, tra la fine del 1100 e l’inizio del 1200, l’Europa riusciva a parlare lo stesso linguaggio figurato attraverso l’araldica, che è un po’ una carta di identità senza parole e, per tantissimi secoli, è stato uno strumento per raccontare la storia, le persone, le comunità. Oggi l’araldica ha ancora un senso, perché in tutti i comuni se alzi lo sguardo all’entrata della città puoi vedere il suo stemma ed essere in grado di riconoscerlo tra mille. Ecco perché l’araldica è ancora importante: dà un messaggio immediato, visivo, che si può cogliere subito.

Spesso si è interessato di temi quali il galateo della comunicazione, l’educazione e il rispetto nella società contemporanea. Che valore ha sensibilizzare i giovani di oggi su queste tematiche?

Non vorrei essere preso per un vecchio, però ci sono dei comportamenti che possono dare fastidio, trent’anni fa come oggi. Io dico sempre che c’è una libertà personale che dev’essere poi mediata con la libertà degli altri. Il nostro comportamento individuale deve essere sempre legato al luogo in cui si sta, a chi si ha intorno, all’occasione, all’età delle altre persone.
È importante perché voi ragazzi affronterete il mondo del lavoro, e in quel mondo ci sono delle regole non scritte molto più rigide. È necessario, quindi, abituarsi adesso ad avere un certo tipo di atteggiamento con gli altri, un atteggiamento tendenzialmente rispettoso che ha in sé la cifra di un’educazione. Ad esempio, io a una persona più grande darei comunque del “lei”. Quando sarete nel mondo del lavoro, questo vi aiuterà a capire meglio quali sono i meccanismi che regolano gli ambienti in cui spenderete la vostra professionalità. Se uno tende a essere un pochino anarcoide, prima o poi si scontrerà frontalmente contro un treno e con una realtà che è molto diversa.

Nella scorsa edizione del Festival ha presentato al pubblico dello Sferisterio Il Canto degli italiani. Cosa rappresenta per lei l’Inno di Novaro-Mameli?

Hai detto bene, “l’inno di Novaro-Mameli”, perché tutti dicono “l’inno di Mameli” ma, effettivamente, ciò che l’ha portato a essere simbolo dell’Italia è la musica di Novaro. L’inno è stata la colonna sonora non solo del nostro Risorgimento, ma anche degli anni a venire. Si pensi, per esempio, che in tema della Resistenza nel 1943, Radio Bari, che era una radio che trasmetteva ai partigiani del Nord, chiudeva le sue trasmissioni con l’inno di Mameli. Se l’anno scorso, proprio qui a Musicultura, l’ho presentato e quest’anno ne riparlo è proprio perché il nostro inno merita di essere raccontato, svelato, e deve essere presentato come in realtà è e non come, purtroppo, viene spesso massacrato da esecuzioni che non sono corrette.

Nei suoi seminari e convegni utilizza spesso l’ironia. L’ha sempre usata o ha deciso solo di recente di adottarla come strategia comunicativa?

Più che parlare di “strategia comunicativa”, che fa pensare a qualcosa di costruito, direi che in realtà ho sempre cercato di approntare il mio lavoro e i miei interessi non tanto sull’ironia quanto sull’autoironia, prendendo in giro anzitutto me stesso, ovvero non prendendomi troppo sul serio. La storia si può raccontare in tanti modi, ma sono certo che anche raccontandola attraverso l’aneddotica, i retroscena, le curiosità, anche scherzandoci un pochino sopra, alla fine il messaggio arrivi ugualmente, ma in una maniera forse più piacevole che magari invoglia ad andare in libreria e comprare un libro per aggiornarsi. Ecco, un altro consiglio che mi permetto di dare, da persona anziana, a voi giovani, è proprio questo: abbiate tanta autoironia.

Ron positivo al Covid: salta il suo concerto. Arriva Enrico Ruggeri

Siamo spiacenti di riferire che poche ore fa, ci è stata comunicata l’impossibilità di Ron a partecipare al concerto previsto per questa sera martedì 21 giugno a Macerata, in Piazza della Libertà, per la Controra della XXXIII edizione di Musicultura.

Sono molto dispiaciuto di non poter suonare questa sera a Macerata per Musicultura a cui sono legato da anni di collaborazione, facendo anche parte del Comitato Artistico di Garanzia. – Ha detto Ron  Purtroppo sono risultato positivo al Covid. Spero di poter recuperare questo concerto al più presto.

Musicultura formula a Ron il più caldo e affettuoso augurio di pronta guarigione. Dopo il bellissimo concerto di Filippo Graziani che ha aperto ieri sera La Controra, con l’omaggio alle canzoni del padre Ivan, in una Piazza della Libertà stracolma di pubblico, c’era in città una grande attesa per lo spettacolo che avrebbe visto stasera protagonista Ron accompagnato dall’Ensemble Symphony Orchestra.

Il dispiacere per l’impossibilità del grande cantautore di essere presente a Musicultura non ha appannato la reattività dell’organizzazione del festival.

In una emergenza dell’ultimo minuto come questa,  non ci siamo arresi e abbiamo fatto di tutto per  assicurare comunque al pubblico stasera un grande spettacolo in piazza – ha dichiarato il direttore artistico Ezio Nannipieri – Ci siamo rivolti a un amico e gli abbiamo chiesto se fosse disponibile a venirci in soccorso, l’amico è Enrico Ruggeri. Generosamente e in tempo reale Enrico si è reso disponibile e stasera  sarà lui a suonare  in piazza della LIbertà con la sua band.

Enrico Ruggeri che il 24 e il 25 giugno condurrà insieme  a Veronica Maya le serate conclusive  della XXXIII edizione di Musicultura allo Sferisterio di Macerata, ha così commentato. Non è semplice organizzare un concerto con poche ore a disposizione prima della partenza del nostro tour. Ma ci sono valori perfino più importanti dell’organizzazione: gli amici di Macerata non meritavano di rinunciare a un concerto. Un abbraccio a Ron, con i nostri auguri di pronta guarigione. Macerata, arriviamo di corsa.

Intervista: Pupi Avati a La Controra di Musicultura

L’incontro di ieri in occasione di Musicultura 2022 ne ha dato conferma: il Maestro Pupi Avati, oltre ad avere una spiccata predisposizione per l’arte, dopo aver fatto del cinema la sua vita è riuscito a maturare una visione profonda del mondo, che risalta magnificamente in questa intervista. Mentre parla, mostra con naturalezza disarmante il suo carattere introspettivo e la saggezza accumulata nel corso degli anni, che sente di dover condividere: “Alla mia età ho il dovere di dirvi cos’è la vita,” spiega durante la sua partecipazione a La Controra, alla quale fa da sfondo il cortile di Palazzo Buonaccorsi, nel centro di Macerata. Prima del suo arrivo, il pubblico è già fuori ad attenderlo; in molti cercano di acciuffare un posto per assistere all’evento; i giornalisti, pazientemente, aspettano il loro turno per porre qualche domanda. E anche noi lo facciamo: poniamo domande. E le risposte ricevute ci accarezzano.

Prima di affermarsi come regista ha avuto una carriera nel mondo della musica come clarinettista nella Doctor Dixie Jazz Band; a distanza di tutti questi anni le è rimasta questa passione e suona ancora il suo clarinetto oppure la fiamma si è spenta col tempo?

La passione è rimasta perché è stato il primo sogno della mia vita. E dal primo sogno della vita è difficile svegliarsi. Purtroppo non si è realizzato: essendomi confrontato con musicisti di grande talento (io non credo di averne), e sentendomi ancora in tempo per cambiare progetto, ho abbandonato quel sogno. Ma dentro di me il desiderio di poter fare il musicista è rimasto vivido e ho ancora vicino alla scrivania il mio clarinetto montato; ogni tanto provo a fare qualche nota ma la musica richiede esercizio e studio, quindi non la pratico più. Però, se mi chiedessero se avessi preferito essere un musicista o un regista, avrei scelto la musica.

Oltre a diverse fortunate collaborazioni, condivideva con il compianto compositore pesarese Riz Ortolani un’amicizia di vecchia data; conserva di lui qualche ricordo in particolare che le piacerebbe condividere?

Avrò fatto con Riz all’incirca 30 film, sono il regista con il quale ha lavorato di più nella sua vita. Ha contribuito a fornire un’anima ai miei film, carica di sentimenti e di un’emotività che prima non avevano. Montavo la sua musica sulle riprese e levitavano, raggiungevano l’emozione; per questo io a Riz debbo tantissimo. Il nostro era un rapporto tra musicisti – nonostante abbia smesso di suonare sono un cultore della musica – così gli suggerivo quali suoni o atmosfere ricreare, quali artisti ascoltare tra Béla Bartóko Miles Davis, e lui immaginava un mondo musicale solo per quel film. Riz era straordinario nell’arrangiamento degli archi, aveva questo grande dono.

A settembre uscirà il suo ultimo film, Dante, che narra della vita del sommo poeta in uno scenario post mortem attraverso gli occhi di un giovane Boccaccio; come ha trovato l’ispirazione per affrontare in maniera così “inedita” e singolare un personaggio tanto conosciuto?

Tanto conosciuto e così poco indagato, perché nonostante le biografie dantesche siano infinite il Dante “umano” è raccontato pochissimo, quando in realtà non era così difficile desumerne il carattere. I gesuiti dicevano: “Dammi un bambino i primi cinque anni della sua vita e sarà nostro per sempre”; Dante ha vissuto la sua infanzia nel dolore per aver perso la madre a 5 anni e gli furono imposti una matrigna e un fratellastro; poi incontrò questa Beatrice, della quale si innamorò, e lei si sposò con un altro; non era difficile intuire che la sua grande sensibilità poetica derivasse da tutto il dolore patito. Perché il dolore è un percorso attraverso il quale ci si forma. Non è da augurare a nessuno, certo, però le persone più profonde sono tutte transitate attraverso il dolore. Ho quindi voluto raccontare un Dante giovane e autentico in cui ci si possa riconoscere. Corrado Augias, alla fine della prima proiezione a Roma, mi disse: “Dopo 80 anni, finalmente Dante non mi è più antipatico.”

Da quale scuola o movimento cinematografico è maggiormente affascinato?

Ho cercato di liberarmi dalla fortissima influenza che ho avuto e dalla fascinazione che ancora ho nei riguardi di Federico Fellini: se faccio cinema è perché ho visto 8; non avrei mai immaginato che il cinema fosse una cosa del genere. Per i primi anni della mia attività venivo definito “il giovane regista felliniano”, poi via via oltre all’aggettivo “giovane” anche “felliniano” è scomparso, perché ho trovato un mio tono di voce, una mia calligrafia, ma non è stato facile: i maestri sono importanti, ma è importante anche liberarsene. Non si può rimanere allievi tutta la vita.

Tra musica e cinematografia c’è un sodalizio che in qualche maniera oggi va avanti anche attraverso la produzione di video musicali. C’è un brano nel panorama nazionale di cui le piacerebbe dirigere la componente visiva?

Più di uno. Ci sono molti brani ne L’alta Fantasia, la biografia che ho scritto; ogni capitolo è accompagnato da un suggerimento musicale, c’è una sorta di playlist composta da pezzi che ascolto mentre scrivo, e già da lì si desume la grandezza della mia passione; non c’è un brano unico, ci sono brani che variano a seconda delle mie emozioni, di cosa sto scrivendo e di cosa provo, anche se è evidente che i miei riferimenti musicali sono tutti nella musica classica e nel jazz. La musica popolare non mi incuriosisce, non produce in me le stesse emozioni.

Intervista: Filippo Graziani ospite a La Controra 2022

A inaugurare la settimana di concerti de La Controra di Musicultura è Filippo Graziani, cantante, musicista e figlio di Ivan.
Nato a Rimini, cresce tra chitarre e serate dal vivo nei locali, fa parte di un gruppo stoner rock e si trasferisce per qualche tempo a New York per poi tornare in Italia e omaggiare a più riprese la produzione musicale di un gigante: suo padre. Col suo tour “Ivan 25” propone i brani del repertorio del papà proprio a 25 anni dalla sua scomparsa, in un viaggio musicale attraverso ironia, riflessioni sulla realtà e canzoni che hanno fatto la storia del cantautorato italiano.
Questa l’intervista rilasciata alla redazione di “Sciuscià”.

Iniziamo subito col parlare dell’occasione che ti porta a Macerata durante la Controra 2022, il tuo tour “Ivan 25”, esattamente a 25 anni dalla scomparsa di tuo padre: qual è la particolarità di questo tour rispetto ad altre date passate dedicate a lui?

Sono 25 canzoni tratte da tutta la discografia di papà. In passato abbiamo fatto scalette lievemente più corte e ovviamente non andavamo a pescare da tutto il repertorio; operavamo delle scelte rivolte ai pezzi più conosciuti e poi ne aggiungevamo qualche altro. Qui l’idea è proprio quella di presentare un live che abbracci dal primo all’ultimo disco.

Parlando proprio de la Controra e di Musicultura, quale pensi sia l’importanza di contesti simili e quali i benefici apportati alla musica e al suo legame coi giovani?

Musicultura è importantissima perché manifestazioni così sono l’àncora di salvezza per il mondo del cantautorato italiano, che sta passando un periodo abbastanza complesso; questi luoghi sicuri, queste isole dove ognuno si può esprimere, sono estremamente importanti per chi decide di fare questo lavoro.

Molti figli d’arte tendono a distaccarsi dalla carriera dei padri per cercare una propria indipendenza musicale, cosa che hai fatto anche tu con esperienze all’estero, ma tieni sempre a sottolineare di essere il figlio di Ivan Graziani. Cosa ti spinge a presentarlo come figura di riferimento da un punto di vista musicale?

Tanto non è che si scappi da quella cosa. Avevo – ti parlo di decenni fa – una band con cui facevo musica stoner in inglese; suonavamo nei dei locali, nei centri sociali, e c’era sempre qualcuno che mi chiedeva Monna Lisa. Questo significa che se non puoi scappare da una cosa devi abbracciarla; poi non ho nessun motivo e nessuna voglia di scappare, anzi, l’ho accolta a braccia aperte e me la sto godendo insieme a tutti gli altri. Ci stiamo godendo questo repertorio meraviglioso.

Hai calcato palchi importanti con nomi celebri del panorama musicale italiano – giusto per citarne qualcuno: Elio e le Storie Tese, Renato Zero, Negramaro, Nicolò Fabi, Max Gazzè – . In tutte queste esperienze ricordi un momento particolare in cui hai provato la sensazione di star facendo quello che era giusto per te, e che ti rendeva felice?

Sì, accade spesso. Sanremo è stato uno di quelli, Tenco è stato uno di quelli, Elio è stato uno di quelli e a oggi rimane la cosa più divertente che abbia mai fatto. In quel caso ero sul palco con altri musicisti con i quali non avevo una confidenza particolare, li conoscevo in maniera abbastanza superficiale. Però la musica è un linguaggio talmente preciso che ci ha uniti: abbiamo legato lì quindi è stato molto bello poter condividere quell’esperienza con artisti incredibili.

Un sogno nel cassetto che si deve ancora realizzare?

Scrivere la colonna sonora per una serie mi piacerebbe tanto. Se potessi, farei quello per una serie figa tipo Stranger Things. Ancora non è successo, speriamo che in futuro qualcuno mi prenda in considerazione.

Musicultura 2022 su Stereonotte

Aspettando di vedere i vincitori della XXXIII edizione del Festival sul palco dell’Arena Sferisterio di Macerata, Duccio Pasqua Stereonotte ci fa riascoltare i loro brani tornano su Rai Radio 1, la radio ufficiale di Musicultura.

La programmazione:

Notte tra giovedì 16 e venerdì 17
Y0 – TRAPsodia POPolare
Malvax – Esci col cane
Cassandra Raffaele – La mia anarchia ama te
Emit – Vino
Martina Vinci – cielo di Londra

Notte tra venerdì 17 e sabato 18
Yosh Whale – Inutile
Valeria Sturba – Antiamore
THEMORBELLI – Il giardino dei Finzi Contini
Isotta – Palla avvelenata

Aggiornamento sulla rosa dei vincitori – Nota ufficiale

Per sopravvenuti motivi personali, l’artista Y0, già designato tra gli otto vincitori della XXXIII edizione di Musicultura, sarà impossibilitato a esibirsi durante la fase conclusiva della manifestazione a Macerata. Musicultura ritiene comunque opportuno, e funzionale al concorso, rispettare la formula delle serate finali, che vede otto artisti vincitori chiamati ad esibirsi sul palco dello Sferisterio e pertanto, stante l’imprevisto occorso a Y0, chiamerà a partecipare a tale fase conclusiva, quale nono vincitore, la prima proposta artistica rimasta esclusa dalla rosa degli otto vincitori ad oggi selezionati, che in questo caso è quella dei Malvax.
Ai fini del concorso, pertanto – anche a parziale integrazione del Regolamento – i vincitori della XXXIII edizione di Musicultura saranno nove, e Y0 potrà regolarmente concorrere con gli altri otto vincitori all’assegnazione dei riconoscimenti previsti dal Regolamento non vincolati all’esibizione dal vivo durante le serate finali.