E Musicultura se la ride con Alessandro Bianchi

In scena è Lesc Dubrov, altrove Alessandro Bianchi: diplomato alla Scuola del Teatro Stabile di Genova, dal 1995 alterna radio, cinema e televisione, passando dalle imitazioni per Quelli che il Calcio a ruoli da conduttore di talk show. Da sempre inventa personaggi originali e surreali e ha portato sul palco di teatri di mezza Italia spettacoli comici da one man show. Prima della sua esibizione allo Sferisterio, si è raccontato così alla redazione di Sciuscià.

Cosa l’ha spinta a creare il personaggio di Lesc Dubrov e come ha sviluppato la sua personalità e il suo background di diplomatico lituano?

Lesc Dubrov rappresenta il mio stile di massima resa con minimo sforzo: parto da un testo che interpreto con il corpo anziché impararlo a memoria. Questa idea è nata a Genova mentre osservavo un comico canadese che leggeva parole in italiano senza comprenderle. Dopo aver avuto l’idea, dovevo creare il personaggio: inizialmente avevo pensato a un mendicante, ma non avrebbe funzionato perché avrebbe suscitato compassione anziché risate. È stato a Parma che mi è venuta l’intuizione del politico europeo lituano. Interpretare questo ruolo mi ha permesso di capire quali sono i miei punti di forza e quali no.

Lesc Dubrov, ancora lui, sfrutta la sua posizione per viaggiare e divertirsi. In che modo questo aspetto del personaggio si riflette o contrasta con le sue esperienze personali o con le sue osservazioni sulla politica contemporanea?

Fondamentalmente, credo che il libero arbitrio non esista. Ritengo che l’uomo sia “difettoso”: se può soddisfare un desiderio o un vizio, lo fa. Oggi, non riesco a comprendere tutti i privilegi di cui i nostri politici si avvalgono per adempiere ai loro compiti. Questo è uno dei molteplici motivi per cui penso che ci sia una mancanza di morale e di etica nella società contemporanea.

Tra i suoi spettacoli one-man show come Basilicanova Power, Faccia di Cane e altre bestie e Alessandro Bianchi Live, quale le è rimasto più a cuore e perché? Può condividere un aneddoto memorabile legato a uno di questi spettacoli?

Basilicanova Power è stato il mio primo spettacolo solista. Con Faccia di Cane e altre bestie abbiamo migliorato il precedente show aggiungendo gli elementi che avevamo capito piacere al pubblico. Alessandro Bianchi Live rappresenta il meglio del meglio, raccolto nel corso di anni di spettacoli e teatro. Dal mio punto di vista, la chiave è interfacciarsi con il pubblico e coinvolgerlo. L’esperienza più bella che porterò sempre con me è il privilegio di aver viaggiato per tutta l’Italia, da comune a comune, scoprendo nuove realtà, dialetti e tradizioni.

Durante la sua carriera ha lavorato in vari ambiti come radio, cinema e televisione. Quali sono le principali sfide che ha affrontato nel passare da un medium all’altro, e come queste esperienze hanno influenzato il suo lavoro teatrale?

Ogni mezzo ha il suo approccio. Il segreto è prepararsi e studiare per gestire i diversi contrattempi. Live, cinema, teatro, televisione: ogni canale ha le sue problematiche specifiche. Una volta mi è persino capitato di fare una diretta radiofonica di due ore senza accendere il microfono. Ma sbagliando si impara, e ho capito che l’importante è documentarsi al meglio prima di affrontare nuove sfide mediatiche.

Oltre al suo variegato percorso artistico, ci piacerebbe conoscere meglio il suo rapporto con la musica: gioca un ruolo particolare nella sua vita quotidiana o nella sua preparazione artistica? Se sì, come la utilizza per ispirarsi o concentrarsi sui suoi lavori?

L’amore per la musica nasce dalle mie radici, dalla mia città, Parma, che ha dato i natali al grandioso Giuseppe Verdi. Però è un amore non corrisposto; io la amo, ma lei non ama me: mi dilettavo a suonare, ma non sono mai riuscito a crescere tecnicamente e a perfezionare le mie doti. In qualche modo però mi ispira: mentre ascolto i testi, mi piace soprattutto osservare l’espressione facciale dei musicisti così da trarre ispirazione per i miei pezzi.


 

Lo Sferisterio si scatena al ritmo della musica di Enzo Avitabile

Per descrivere Enzo Avitabile e la sua incredibile carriera servirebbero molte, molte parole. Ma noi scegliamo le tre che ci sembrano più rappresentative: dialetto, sassofono e ritmo. Ospite della serata finale di Musicultura 2024, l’artista napoletano ha coinvolto il pubblico con una performance ricca di un’energia che, come sempre accade con lui, sa trasformarsi da carezza che rasserena a onda che travolge.

Maronna Nera, Don Salvato’, Tutt’egual song’ ’e criature, Thalassa cardia, Aizamm na’mana e Salvamm o munno, questi i brani che ha eseguito sul palco dello Sferisterio. E in qualche maniera Avitabile il mondo lo ha salvato davvero, con la speranza di cui la sua musica si è sempre fatta veicolo. Anche per questo, Musicultura ha deciso di omaggiarlo con un riconoscimento: la Targa agli alti Meriti artistici a – questa la motivazione del premio – un “cantore dell’anima, poeta generoso, che ha forgiato uno stile dove sacro e profano, storia e quotidianità si fondono in una visione”. Visione che ha sempre puntato, lo afferma sul palco Avitabile stesso, a “conoscere quante più possibili culture musicali”. Anche quelle dei cantautori più giovani, perché ormai da anni è membro del Comitato artistico di Garanzia di Musicultura.

Prima della sua esibizione, ha rilasciato alla redazione di Sciuscià quest’intervista, che parte inevitabilmente da lì, le origini. Dalla città di Partenope, il luogo da cui tutto parte e a cui tutto torna.

Una costante nella sua carriera, e nella sua vita, è Napoli, del cui dialetto sono intrisi i testi delle sue canzoni, che fa da sfondo anche a molti film e documentari per cui ha composto le colonne sonore, tra cui Passione, del regista americano John Turturro. Quali sono i valori che più la legano a questa città? Che immagine ne vuole far trasparire attraverso la sua musica?

Napoli è la casa madre, è il luogo da cui si parte e a cui si torna. E non ha bisogno di me per trasferire la sua immagine, perché la sua storia e la sua identità sono chiare: è profondamente autentica, ed è questo il valore che più voglio rappresentare. Quanto al film di John Turturro, l’idea nasce traendo spunto da un altro regista, Jonathan Demme, che realizzò una pellicola sulla mia vita e la mia musica, Enzo Avitabile Music Life. Di lì l’interesse di Turturro, con il quale poi sono finito a collaborare per il documentario musicale Passione. Mi piace lavorare con i registi; per esempio, anche in Parthenope, di Paolo Sorrentino, ho collaborato a due brani strumentali: comporre per il cinema è una sfida che accetto sempre.

Tra le varie canzoni del suo album Easy, pubblicato nel 1994, è presente A livella, trasposizione in musica della poesia di Totò. Secondo lei, cos’hanno in comune poesia e musica? Come mai ha scelto questo titolo in particolare?

Più che usare i termini “poesia” e “musica”, sceglierei “parole” e “suoni”, proprio perché la parola diventa suono. Insieme, questi due elementi creano quell’effetto emozionante che riesce ad andare da cuore a cuore e a superare la retorica. Per quanto riguarda A livella, invece, l’ho scelta per il messaggio che il grande Totò ha voluto lasciarci, che deve essere riconosciuto e ricordato da tutti, nel tempo e nello spazio: la morte rende tutti uguali.

Nel corso della sua carriera ha avuto modo di collaborare non solo con diversi artisti italiani, tra cui Edoardo Bennato e Pino Daniele, ma anche con grandi artisti internazionali come Richie Havens, James Brown, Tina Turner e molti altri, sperimentando così diversi generi. Quanto è importante la dimensione della condivisione e della collettività nel fare musica?

Ho suonato con tutti i più importanti artisti della world music, della soul music e poi, in un processo di “disamericanizzazione” del linguaggio, ho collaborato con grandi cantautori della musica italiana. Penso che la condivisione e la collettività nella musica siano molto importanti, perché ogni artista ha uno stile e un genere che lo contraddistinguono dagli altri, e quando vari generi e stili riescono a unirsi tra loro può venir fuori qualcosa di davvero bello e innovativo.

Enzo Avitabile – Sferisterio

Nel 2009 ha pubblicato il suo libro didattico Scale rare e ritmi del mondo per far conoscere la musica di diversi popoli. Quanto è importante per lei scoprire culture musicali tanto distanti dalla sua?

Non è importante: è vitale! Sono una persona estremamente curiosa in ambito musicale e quindi non voglio mai privarmi di nulla, per questo ho voluto fare un trattato sulle scale rare, ovvero le scale del mondo che non venivano praticate nel sistema temperato; quelle che ho approfondito nel testo vanno a studiare la trasposizione semi-tonale, che serve per utilizzare tutti gli strumenti. Credo che sia fondamentale non perdere questa conoscenza.

Sacro Sud è un progetto musicale che prende il nome dall’omonimo album pubblicato nel 2006. Si tratta di un insieme di concerti inediti e di incontri particolari, caratterizzati dal connubio tra musiche sacre e canti laici, in cornici particolari come, per esempio, la Basilica di San Giacomo degli Spagnoli. Perché ha scelto proprio questi luoghi? Le va di raccontarci come e perché nasce questo progetto?

Sì, Sacro Sud è un progetto di musica sacra e popolare, di sound devozionali scritti da me, il cui scopo è far avvicinare le persone a questi generi diversi e particolari, che non tutti conoscono, che secondo me sono da scoprire. Al progetto è legato un festival, che organizzo con il mio produttore Andrea Rosa: portiamo il pubblico in posti nascosti, chiese importanti del centro storico e delle periferie. Luoghi che voglio valorizzare, soprattutto perché li ritengo perfetti per l’evento.


 

Forme di comunicazione e generazioni a confronto: Diego “Zoro” Bianchi ospite a Musicultura

La Controra 2024 si chiude con un incontro tra gli studenti dell’Università di Macerata e dell’Università di Camerino e Diego Bianchi, in arte Zoro. Conduttore televisivo, blogger, youtuber, autore e regista, la sua è una figura capace di mantenersi solida e riconoscibile, in ogni medium e in ogni ruolo; il suo è un lavoro composito, che parte dalla passione per la politica, per la musica, per la vita sociale e civile e arriva a fare di questi temi qualcosa di popolare e condivisibile. Durante l’evento, moderato dal conduttore radiofonico John Vignola, si è raccontato rispondendo alle domande preparate per lui proprio da noi studenti, a partire dal percorso universitario, fino ad arrivare a Propaganda Live, con la sua inconfondibile ironia.

Zoro e gli studenti dell’Università di Macerata e dell’Università di Camerino

«Innanzitutto, grazie: è molto bello ritornare qui. Le Marche, per motivi familiari, sono la mia seconda casa e sono davvero molto affezionato alla vostra Regione››: saluta così il pubblico che, numeroso, ha deciso di assistere all’evento. Poi, via all’intervista, che parte facendo un piccolo passo indietro, a quando Diego Bianchi non era ancora Zoro. Per lui non è la prima volta a Musicultura: è già stato ospite in più occasioni, fa parte del Comitato Artistico di Garanzia del Festival e, forse lo sanno in pochi, nel 1996 è stato concorrente dell’allora Premio Recanati con gli Original Slummer Band. «Dobbiamo davvero ricordarlo?» scherza, e poi racconta come è andata: «È vero, ho avuto un tentativo di vita parallela da musicista con questa band. Abbiamo prodotto anche quattro o cinque dischi, ma all’epoca non esistevano i social e le possibilità di emergere erano sicuramente minori di adesso. Noi stavamo quasi per farcela, abbiamo calcato i palchi di alcuni importanti concorsi nazionali, come Musicultura. Poi, però, non abbiamo sfondato definitivamente e abbiamo fatto tutti altro nella vita».

Parla anche, con l’ironia che lo contraddistingue, del ruolo che lo vede impegnato a selezionare i vincitori del Festival: «Ora faccio parte del Comitato artistico di Garanzia di Musicultura e, ovviamente, ne prendo parte con la giusta componente di sadismo di chi non è riuscito a fare il musicista nella vita. Scherzo: quando mi capita, in generale, che qualche artista emergente mi consegni il suo disco per farmelo ascoltare, mi si stringe il cuore, perché l’ho fatto anch’io e conosco il valore di quel gesto».

Lasciato nel cassetto il sogno musicale, il percorso di Zoro, agli albori, non segue traiettorie precise; nessun piano studiato dal principio, ma tanta voglia di fare e di parlare delle sue passioni: «Mi sono diplomato al liceo classico e laureato in Scienze Politiche. Sapete, chi vuole fare il medico studia medicina; chi vuole fare l’avvocato, giurisprudenza. Io non avevo nessuna di queste folgorazioni, ma in compenso avevo tantissimi interessi. Non ho mai programmato nulla e non ho seguito un piano preciso: anzi, non lo avevo proprio. Ho fatto molti stage e, a un certo punto, ho avuto la prontezza di mandare il mio curriculum nel posto giusto al momento giusto, iniziando così a lavorare in uno dei portali online più famosi del mondo».

Inevitabile, allora, la domanda successiva, soprattutto se consideriamo che a condurre quest’intervista sono due universitari: quanto è stato utile quel percorso di studi? «La mia formazione umanistica – risponde – si è rivelata fondamentale in quel contesto: tutti quei portali online erano pieni di ingegneri che programmavano, non c’era nessuno che scrivesse qualcosa e c’era bisogno di testi. Ho cominciato come responsabile del canale viaggi, poi mi sono allargato alla musica, alla politica, al calcio e a tante altre cose; le stesse di cui poi ho iniziato a parlare nel mio blog».

Ecco il primo tassello di una carriera nutrita di esperienze, La Z di Zoro, il suo blog, appunto, a cui fanno seguito un canale YouTube, rubriche su quotidiani e settimanali e, nel 2013, la conduzione di un primo programma, Gazebo. Ma l’esordio televisivo avviene qualche anno prima, quando i video di Tolleranza Zoro trovano spazio in Parla con me, programma di Serena Dandini in onda su Rai 3: si tratta del primo caso in cui un prodotto nato sul web viene trasferito in televisione mantenendo inalterato il format iniziale. Nonostante il salto dalla sfera più intima del blog al piccolo schermo, Diego Bianchi mantiene intatto il suo personale modo di esprimersi e di comunicare.

«Quando mi chiesero di portare la mia rubrica in televisione, non sapevo – racconta – cosa aspettarmi e quanto sarebbe durata. Mi ricordo, però, che la prima cosa che chiesi fu di poter lavorare esattamente con gli strumenti che utilizzavo a casa, per non alterare e snaturare il mio linguaggio: volevo semplicemente continuare a fare le mie cose e vedere se funzionavano anche a un livello di risonanza maggiore, ed è andata bene». Dunque, originalità ed efficacia alla cui base c’è la volontà di andare dritto al cuore dei contenuti, con concretezza ed essenzialità: «A prescindere da tutte le teorie sui rapporti tra mezzi e contenuti, questi ultimi erano ciò che più mi interessava: mi premeva metterli al centro. Ho sempre fatto le cose “co ‘na scarpa e ‘na ciavatta”, cioè con i pochi mezzi che avevo e con le mie sole capacità, che però cercavo di sfruttare al massimo».

Dal 2017 inizia l’esperienza di Propaganda Live, programma entrato in pianta stabile nel palinsesto di La7, in cui sono ancora presenti i suoi reportage, che sembrano conservare quello stile di inizi anni 2000 e una componente che noi abbiamo definito “artigianale”; quando glielo diciamo, risponde scherzando: «Praticamente mi state chiedendo perché sono così scarso e continuo a fare le cose così male?». Poi spiega: «Per i miei reportage registro moltissimo, mi capita di tornare a casa magari con cinque o sei ore di riprese; poi, riguardo tutto e mi occupo del montaggio in autonomia. Sembra facile ma non lo è; si tratta di servizi dallo stile semplice ma elaborato, c’è moltissimo lavoro dietro».

Per concludere l’intervista, una curiosità: se Diego Bianchi non fosse diventato Zoro, l’avremmo incontrato in giacca e cravatta seduto dietro qualche scrivania oppure avrebbe trovato il modo di essere Zoro anche senza le telecamere accese? Lui risponde così, salutando i ragazzi e il pubblico maceratese con un augurio rivolto proprio agli studenti: «Durante tutta “la mia vita precedente”, ero sempre in giacca e cravatta; forse per questo adesso mi vedete solo in maglietta. Non so cos’altro avrei fatto; mitomania per mitomania, forse il musicista o il calciatore. Scherzi a parte, aldilà dell’essere Zoro o meno, ho seguito le mie passioni e avuto la fortuna di fare un lavoro che mi piace: è questo quello che auguro a voi giovani».


 

La finalissima: secondo atto

Ultimo atto. Seconda serata. È tutto pronto, sul palco dello Sferisterio di Macerata, per la finalissima di Musicultura 2024.

Le due conduttrici, Paola Turci e Carolina Di Domenico, annunciano la performance della prima vincitrice: Anna Castiglia con Ghali, “un pezzo – spiega l’autrice – che parla di vittimismo eclettico: chiama in causa chiunque scarichi le colpe sugli altri pur di non assumersi le proprie responsabilità”.

Anna Castiglia – Musicultura 2024

Il secondo a esibirsi è Nyco Ferrari sulle note di Sono fatto così. “Con questo brano ho deciso di farmi conoscere, così che il pubblico si fidasse di me”: racconta il giovane cantautore, che poi aggiunge: Mi esibisco sempre scalzo perché voglio sentire meglio le vibrazioni del palco e creare una connessione con chi mi ascolta”.

Nyco Ferrari – Musicultura 2024

È ora la volta di Bianca Frau, che presenta il brano Va tutto bene. A proposito: “Quand’èle chiedono le due presentatriciche va davvero tutto bene?”. “Va davvero tutto bene – risponde senza esitare – solo quando canto”.

Bianca Frau – Musicultura 2024

Il cielo è invece il brano di Eugenio Sournia, che dopo l’esibizione al piano, spiega al pubblico dell’Arena: Questa canzone parla della nostalgia che si nasconde dietro alla bellezza e ai bei ricordi.

Eugenio Sournia – Musicultura 2024

Spazio anche alla comicità a Musicultura. A calcare il palco è il primo ospite della serata, Alessandro Bianchi, che veste i panni del suo alter ego Lesc Dubrov, un diplomatico europeo originario della Lituania. “Tutto nasce in un teatro osservando un comico canadese che leggeva parole in italiano senza conoscerlo”, racconta l’artista riguardo alla genesi del suo personaggio.

La serata prosegue con il quinto vincitore del Festival, De.Stradis, che si esibisce sulle note di Quadri d’autore e spiega come il suo pezzo sia nato da un momento di distacco e di allontanamento”. E prosegue: Quando scrivo penso al mio quotidiano, facendomi suggestionare dai colori, dall’arte e dai suoni”.

De.Stradis – Musicultura 2024

Spazio a Helle con la sua Lisou. “Questa canzone – confida la cantautrice bolognese dopo l’esibizione – parla di una persona in particolare. Non so se lei lo sappia, ma forse meglio così”.

Helle – Musicultura 2024

Carlotta Proietti è la seconda ospite della serata. Sì, si tratta proprio della figlia del grande Gigi, che racconta così del suo rapporto col papà: “Mio padre mi ha contagiato con la sua passione per la musica”. E musica sia, allora. Dopo il suo omaggio a Gabriella Ferri con Il valzer della toppa, Paola Turci raggiunge l’attrice sul palco; insieme regalano al pubblico uno dei più grandi successi della tradizione romana, Tanto pe’ cantà.

Si torna poi al concorso e Nico Arezzo si esibisce sulle delicate note di Nicareddu, spiegando: “Questa è la storia di un bambino che cresce in Sicilia ma che purtroppo deve lasciare la sua terra natale. È un pezzo che parla di me: ogni tanto ho bisogno di ritornare a casa e di ascoltare il mare”.

Nico Arezzo – Musicultura 2024

L’ultimo progetto artistico vincitore a salire sul palco è quello del duo The Snookers, a Musicultura con Guai. “Ci siamo conosciuti a scuolaspiegano Anita Maffezzini e Federico Fabani abbiamo iniziato a suonare per gioco e da lì non abbiamo più smesso. Essere un duo ci permette un maggior confronto e una visione più ampia della nostra arte”.

The Snookers – Musicultura 2024

La serata prosegue con un momento speciale e sul palco sale Giancarlo Giulianelli, il Garante per i Diritti della Persona Regione Marche, che racconta al pubblico dello Sferisterio de “La casa in riva al mare”. Si tratta del progetto grazie al quale alcuni detenuti della casa di reclusione Barcaglione hanno avuto modo dapprima di partecipare a laboratori musicali organizzati da Musicultura, poi di eleggere il loro vincitore preferito. La Targa La Casa in riva al mare viene quindi consegnata alla cantautrice Helle, raggiunta subito dopo dagli altri vincitori e da Paola Turci per regalare al pubblico l’esecuzione del brano di Lucio Dalla dal quale il progetto prende il titolo.

Le emozioni non terminano qui: è tempo di un’altra ospite. A calcare il palco dello Sferisterio è un’artista dalla voce inconfondibile, Nada, che si esibisce in Senza un perché, Stasera non piove e In mezzo al mare.

A chi va il Premio della Critica? A ricevere il maggior apprezzamento da parte dei giornalisti della sala stampa del Festival è il cantautore livornese Eugenio Sournia, che si aggiudica così la Targa Piero Cesanelli.

Le esibizioni della serata si concludono con le vibrazioni di un altro mostro sacro della musica italiana, Enzo Avitabile: accompagnato da I Bottari di Portico, il cantautore partenopeo omaggia il pubblico dell’Arena Sferisterio con i brani Maronna Nera, Don Salvato, Tutt’ egual song ’e criature, Thalassa cardia, Salvamm’ o monn. “Voglio approcciarmi a tutte le forme di musica – spiega il compositore – per dare vita a nuove idee musicali”.

Spazio poi a un’onorificenza volta a celebrare l’incredibile percorso artistico di Enzo Avitabile. L’Università di Macerata e l’Università di Camerino premiano Enzo Avitabile per la qualità e la coerenza della sua arte con la Targa agli Alti Meriti Artistici.

E a proposito di novità musicali: chi vince questa XXXV edizione di Musicultura? Il pubblico della Finalissima all’Arena Sferisterio di Macerata premia il progetto artistico della cantautrice siciliana in concorso.

Anna Castiglia, con la sua Ghali, è la vincitrice assoluta della XXXV edizione di Musicultura: si aggiudica il Premio Banca Macerata da 20.000 euro.


 

Musicultura 2024: Anna Castiglia vince la XXXV edizione del Festival

Con il brano Ghali, Anna Castiglia è la vincitrice assoluta della XXXV edizione di Musicultura. A lei, la Targa Banca Macerata da 20.000 euro.

A Eugenio Sournia vanno sia il Premio PMI – Miglior Progetto Discografico che il Premio della Critica dedicato a “Piero Cesanelli”, ideatore e co-fondatore del Festival.

Ad Anna Castiglia spetta anche il Premio per il Miglior Testo assegnato dalla giuria universitaria composta dagli studenti degli atenei di Macerata e Camerino, per “la qualità stilistica, la capacità di far dialogare ironia e critica in un’analisi lucida del nostro tempo, per aver fatto convivere la leggerezza dei cantastorie e la chiarezza di una voce che non teme di cantare ciò che nella società non funziona”.

Quest’anno è stato istituito un nuovo riconoscimento, il Premio La Casa in riva al mare, assegnato dai detenuti della Casa di reclusione di Barcaglione.  “Per la poesia di una canzone, di un testo di una voce che parlano di amore in modo diretto, originale, profondo” hanno deciso di premiare Helle con la sua Lisou.

Spazio poi a un’onorificenza volta a celebrare un incredibile percorso artistico. L’Università di Macerata e l’Università di Camerino premiano Enzo Avitabile, per la qualità e la coerenza della sua arte.

“Ha collaborato e scambiato esperienze con i più grandi artisti italiani e internazionali, componendo canzoni, colonne sonore, brani per orchestra, realizzando progetti discografici che costituiscono punti di riferimento imprescindibili per la nostra musica. La sua voce, le sue parole, i suoi strumenti, hanno disegnato un percorso espressivo unico nel suo genere, rispettato in tutto il mondo. Cantore dell’anima, poeta generoso, ha forgiato uno stile dove sacro e profano, storia e quotidianità si fondono in una visione.”


 

Marcin non suona la chitarra, la infiamma: il “chitarrista del diavolo” ospite di Musicultura

Una chitarra. “Solo” una chitarra. Può un solo strumento incendiare gli animi? Sì, se a suonarlo è un musicista dal talento incredibile; sì, se a suonarlo è Marcin. Il giovane artista polacco, noto in tutto il mondo come “il chitarrista del diavolo” per la sua tecnica percussiva e per il suo fingerstyle, è stato ospite, ieri, di Musicultura 2024. In serata si è esibito sul palco dello Sferisterio; prima, nel pomeriggio, intervistato dai conduttori radiofonici Marcella Sullo e Duccio Pasqua, ha raccontato della sua vita e della sua carriera al pubblico de La Controra e ha risposto a qualche domanda della redazione di Sciuscià.

Marcin – Musicultura 2024

Il tuo modo di suonare la chitarra si può definire unico: è una commistione di tecniche classiche, di flamenco e percussive. Puoi spiegarci come hai sviluppato questo stile e chi o cosa ha funto da ispirazione?

Il mio background è la chitarra classica: molte delle mie tecniche sono nate da essa; però mi sono stancato velocemente di suonare sempre le stesse cose, così ho iniziato a spaziare verso il flamenco, e più avanti ho sperimentato con la chitarra acustica. Non ho avuto nessun idolo nello specifico, ma ho cercato semplicemente di scoprire vari generi – come il rock, l’elettronica, il pop e il rap – cercando di capire cosa potevo creare di diverso. Se dovessi nominare un mio punto di riferimento, sceglierei Paco De Lucía, un chitarrista spagnolo di flamenco, che ha introdotto questo genere nel mainstream. Cerco così di fare conoscere questa tecnica alla gente, non solo ai fanatici di musica. Voglio suonare per tutti, presentare un nuovo stile al pubblico: questa è la mia aspirazione.

Habanera – Marcin a Musicultura 2024

Non è la prima volta che sali su un palco italiano: qual è il tuo rapporto con il nostro paese?

Beh, in realtà è alquanto speciale. La maggior parte delle persone non sa che, dopo il crollo del comunismo in Polonia, i miei genitori sono andati alla ricerca di fortuna e si sono trasferiti a Roma. Mia madre parla italiano fluentemente; spesso preparava dei piatti come la pasta all’arrabbiata o le pennette al pesto; così ho sempre amato la vostra cucina e la vostra cultura. Poi nel 2018 mi hanno invitato a Tu si que vales; non mi aspettavo nulla, pensavo che fosse solo un’avventura, e invece sorprendentemente ho vinto. Poco dopo ci ha colpiti la pandemia e quindi non sono potuto ritornare, ma ora eccomi di nuovo qui, a Macerata, e chissà se potrò fare l’anno prossimo un tour.

Ancora TV. Un altro snodo importante per la tua carriera è stata la partecipazione ad America’s Got Talent, programma grazie al quale il tuo talento, appunto, è stato apprezzato da un pubblico mondiale. Com’è stato per te suonare su un palco con una risonanza mediatica così grande?

È stato un momento importante per me: ha cambiato un sacco di cose. Soprattutto, è stato fondamentale per il mio successo online: il video della mia esibizione ha raggiunto più di 50 milioni di visualizzazioni su YouTube e questo ha portato su di me molta attenzione. Il mio impegno, poi, è stato quello di trasformare tutta questa visibilità in un vero e proprio seguito. Ho lavorato duro e ora in America ho il mio pubblico più affezionato, cosa che mi fa molto piacere. Insomma, quel programma mi ha veramente aperto infinite porte.

Marcin sul palco dello Sferisterio

Ti hanno soprannominato il “chitarrista del diavolo” per le tue performance elettrizzanti e un controllo apparentemente soprannaturale sulla chitarra. Cosa pensi di questo appellativo? Ti calza a pennello o andrebbe modificato?

È un soprannome che ha scelto il pubblico e io lo rispetto. E devo dire che mi lusinga, visto che Niccolò Paganini veniva chiamato il “violinista del diavolo”: è un onore per me avere una connessione con questo grande genio. In generale, amo quando il pubblico crea sui miei canali soprannomi, meme o commenti come “Ha comprato l’intera chitarra, userà l’intera chitarra”, che è diventato un meme ed è parte della cultura di Internet. Ormai lo sento mio.

Salutiamoci parlando del tuo prossimo, primo album, Dragon in Harmony, da cui è già stato estratto un singolo, Classical Dragon: cosa dobbiamo aspettarci? E cosa ti aspetti tu da questo lavoro?

Finora mi sono limitato a pubblicare piccoli frammenti di musica, su Instagram o su TikTok, oppure singoli da tre o quattro minuti, nulla di più. Questa è la primissima volta in cui mi prendo tempo per creare un vero e proprio album, di quasi 50 minuti, che espande le mie composizioni originali tra influenze classiche e pop rock. Mi piace immaginarlo come il mio primo prodotto veritiero, il futuro della tecnica percussiva. Classical Dragon è frutto della mia collaborazione con Tim Henson. Ha raggiunto molte persone in poche settimane, cosa che mi ha stravolto in senso positivo. Spero che la gente inizi a vedermi più come un artista da album che come una personalità social – non che ci sia nulla di male, ma io non sono solo quello. Ecco, spero che questo nuovo album sia un punto di svolta della mia carriera.


 

Musicultura 2024: buona la prima

Musicultura 2024, atto conclusivo, in due parti. In scena ieri, la prima delle due serate finali della XXXV edizione del Festival. A fare da padrone di casa un duo al femminile: Carolina Di Domenico, che già lo scorso anno aveva calcato il palco dello Sferisterio in queste vesti, e Paola Turci, alla sua prima esperienza come presentatrice.

Che Vita Meravigliosa: deve aver pensato questo il pubblico presente in arena quando Diodato, primo ospite a esibirsi, ha intonato questo suo brano. «Grande responsabilità – ha affermato il cantante salentino – aprire una serata come questa. La musica è un’opportunità per crescere umanamente e per creare ponti con chi ci ascolta».

Lo sanno bene gli 8 vincitori di Musicultura 2024, i veri protagonisti della serata, che si sono esibiti subito dopo. A rompere il ghiaccio è stata Anna Castiglia con la sua Ghali. «L’ho chiamata così – ha spiegato – perché è un’allegoria della società contemporanea: usando come esempio i cantautori, che a volte se la prendono per i propri insuccessi con chi fa un genere musicale diverso dal loro, come il rap o la trap, volevo ricordare quanto ormai sia più semplice gettare la colpa sugli altri piuttosto che assumersi le proprie responsabilità».

Sono fatto così: a cantare il suo modo di essere, e a sprigionare tutta la sua energia, è stato poi il milanese Nyco Ferrari, che ha dichiarato: «Ho avuto la necessità di raccontare chi sono nel modo più sincero possibile. Un cantautore dovrebbe essere in grado di farsi conoscere in maniera pura e semplice».

Va tutto bene è invece il brano di una giovane cantautrice sarda che ha scelto Bruxelles come casa: Bianca Frau. «È sempre più facile – ha svelato dopo la sua performance – dire che va tutto bene piuttosto che dover spiegare cosa sta veramente accadendo nella nostra vita».

Il viaggio alla scoperta delle nuove tendenze della musica popolare è d’autore ha toccato anche la Toscana, più precisamente Il cielo del livornese Eugenio Sournia, che ha sottolineato come il tema della sofferenza sia centrale nella sua poetica: «Il cielo per me è nostalgia e dolore, ma è anche bellezza da ritrovare».

E a proposito di bellezza: quanta possono contenerne le note di una chitarra? Davvero tanta. Soprattutto se a suonarle è un musicista noto al pubblico mondiale per la sua incredibile tecnica e per il suo finger style, che gli hanno fatto guadagnare l’appellativo di “chitarrista del diavolo”: Marcin. L’artista polacco, secondo ospite della serata, ha presentato in anteprima il suo nuovo album Dragon in Harmony e dichiarato: «Non vedo l’ora di tornare in Italia il prossimo anno per raccontarvi la mia storia, che è molto legata al vostro Paese».

Riflettori di nuovo puntati sui vincitori. Il pugliese De.Stradis ha descritto al pubblico dello Sferisterio i suoi Quadri d’autore: «Nel mio brano – ha spiegato – parlo di una rottura, del dolore che si prova, ma anche della parte di noi che rimane cristallizzata nell’altro e che resta una “firma”».

Con Lisou, la sesta vincitrice a esibirsi è stata Helle. L’artista bolognese ha parlato della sua canzone come una dedica a una persona con la quale era in contatto in un periodo particolare per tutti: la pandemia. «Allora – ha ricordato – scriversi era l’unico modo per sentirsi. E malgrado io non sia molto romantica, il mio brano è un racconto molto intimo».

Racconti intimi, appunto. Che se condivisi possono diventare anche importanti messaggi di emancipazione. Come successo con la storia della terza ospite, Alessandra Campedelli. L’allenatrice della nazionale di volley femminile dell’Iran e del Pakistan ha regalato allo Sferisterio la testimonianza di un’esperienza di grande intensità: «Credo nello sport – ha affermato – perché come la musica è in grado di creare ponti; credo nello sport come agente di coesione sociale e di aiuto verso gli altri, perché per me è importante sapere di potere aiutare. Per questo, laddove le donne vengono messe in condizione di non poter far sentire la propria voce, malgrado abbia temuto per la mia incolumità, ho cercato di prestar loro la mia».

Spazio, di nuovo, ai vincitori del Festival. Con Nicareddu, Nico Arezzo ha mosso verso sud, verso la sua terra d’origine: la Sicilia. Il cantante ha anche raccontato della genesi del suo brano: «Nella mia isola ci sono tante leggende e io, un po’ per gioco, volevo scriverne una. È un onore e un onere poter portare la mia lingua su un palco del genere».

Da un capo all’altro dell’Italia: i The Snookers sono il duo lombardo composto da Anita Maffezzini e Federico Fabani, approdati a Macerata con i loro Guai – questo il titolo del loro pezzo – e un bagaglio pieno di bei ricordi. Come l’opening del concerto dei Marlene Kuntz, del quale hanno detto: «È stata un’esperienza bellissima, soprattutto perché abbiamo suonato nel nostro paese, aprendo il concerto di una band italiana di alto livello».

Poi un omaggio a uno dei mostri sacri della musica italiana. Imbracciata la chitarra, Paola Turci si è esibita ne L’avvelenata di Francesco Guccini, precedendo così il ritorno sul palco dello Sferisterio di Diodato, che ha incantato l’Arena con La mia terra e Fai Rumore.

E di rumore, applaudendo fortissimo, il pubblico dello Sferisterio ne ha fatto davvero molto, sia per questa che per la performance successiva, quella di Serena Brancale, che subito ha dichiarato: «Musicultura è un evento importantissimo non solo per coloro che sono all’interno del mondo della musica, ma per tutti coloro che credono nella sua potenza».

Potenza che si è palesata immediatamente quando si è esibita dapprima in Andamento lento di Tullio De Piscopo e Passo o tiempo di Pino Daniele, poi in Stu Caffè, ultimo suo singolo, e Baccalà, brano che ha spopolato su ogni piattaforma social.

L’ultimo ospite della serata è stato Filippo Graziani, che al pubblico ha proposto alcuni dei brani più celebri della produzione artistica del padre Ivan – Lugano addio, Il chitarrista, Pigro – e un pezzo – La Canzone del marinaio – contenuto nell’ultimo album di inediti uscito postumo. «È un piacere essere qui, in un posto così importante per il cantautorato e per la libera espressione», ha affermato.

Non sono mancati i riconoscimenti, ovviamente. A Eugenio Sournia è andato il Premio PMI – Produttori Musicali Indipendenti per il miglior progetto discografico.

Eugenio Sournia – Premio PMI

Anna Castiglia, invece, si è aggiudicata la Targa per il Miglior Testo, assegnata dalle studentesse e dagli studenti dell’Università di Macerata e dell’Università di Camerino.

Anna Castiglia – Premio Miglior Testo

 

«La musica è una sola»: Serena Brancale ospite a Musicultura

Musica, talento e sperimentazione; queste le tre parole che descrivono meglio Serena Brancale, artista pugliese con il Sudamerica e il jazz nel cuore divenuta un fenomeno social con i brani Baccalà e La Zia.

La giornata di ieri l’ha vista protagonista sia de La Controra che della prima delle due serate conclusive allo Sferisterio, dove la cantante si è raccontata in musica, spaziando da Pino Daniele e Tullio De Piscopo al suo nuovo singolo uscito da poche ore, Stu Cafè. «La musica è una sola. I generi si contaminano e creano un unico flusso» ha affermato ieri dopo la sua esibizione sul palco di Musicultura. Ecco cosa ha raccontato alla redazione di Sciuscià.

La tua produzione artistica è un viaggio tra vari stili, un punto di incontro tra la musica italiana e i generi musicali d’oltreoceano. Quali sono i tuoi punti di riferimento e le tue influenze, e cosa ti guida nella creazione di una melodia?

Nella creazione di un brano mi baso molto sul ritmo che voglio ottenere, e solo dopo su cosa voglio scrivere; penso che questo approccio derivi dalle mie radici sudamericane. Mia madre è di origine venezuelana e quindi quel tipo di musica e di sound, come la Salsa e il BaileFunk, mi hanno sempre accompagnato fin da piccola, e ora sono la base delle mie produzioni. Parto quindi dal ritmo e dalla melodia per arrivare a costruire qualcosa che mi piace. Poi, ho studiato anche violino, e quindi musica classica, prima di avvicinarmi al canto.

Con Baccalà e La Zia sei diventata virale sui social, grazie all’unione del tuo background musicale al dialetto, che usi anche in alcune canzoni dell’ultimo disco, Je so accussí. Cosa ti ha portato a questa scelta?

Il mio successo in termini social deriva dall’esplosione virale dei brani Baccalà e La Zia, ma in realtà utilizzo il dialetto nelle mie produzioni già da dieci anni. Il primo pezzo che ho scritto in dialetto è Sto Uagnedd, che parla di una ragazza e la sua passione per la musica e la batteria. Mi piace utilizzare la sonorità della parlata della mia terra per come si incastra nella melodia e la accompagna. Ogni dialetto ha poi caratteristiche diverse; il leccese è più vocale, mentre il barese, che uso in Baccalà, è ritmico e quindi perfetto per quel tipo di sonorità. Per me il dialetto è ricchezza, in termini di suono e di espressione. E poi in dialetto le parolacce sono belle.

Guardando indietro, cosa porti con te, oggi, della tua esperienza a Sanremo Giovani nel 2015? Cosa ti ha insegnato quel palco?

Vorrei tornare a Sanremo in realtà. Sono passati quasi dieci anni da quella esperienza che mi ha fatto crescere e maturare; ora sono una persona diversa e più consapevole. Quell’anno partecipavo con un brano Jazz italiano, Galleggiare. Ora tornerei con tutto il mio bagaglio di esperienza.

Nel 2023 hai pubblicato un libro, In bocca al Loop, una guida per l’utilizzo del looper, che amplia le possibilità live di un musicista. Qual è il rapporto tra lo studio della musica e l’utilizzo di strumenti che permettono di arrivare a un buon sound con pochissimo?

La musica elettronica è un’altra mia passione: mi piace utilizzare il looper e la drum machine. Stare sul palco senza la band e con questi strumenti, mi permette di avere sicuramente maggiore autonomia, ma allo stesso tempo maggiore responsabilità, perché durante il live la base, e quindi tutta l’esibizione, partono e dipendono da te. Pensi ai cori, al basso e alle percussioni e poi canti sopra ai campionamenti fatti; è una maniera molto moderna di suonare. Con il libro ho voluto trasmettere tutto quello che so sull’utilizzo del looper, perché è una maniera diretta e fresca per esprimersi, e mi piacerebbe che fosse più conosciuto.

Salutiamoci parlando di Musicultura. Secondo te, quanto – e in che maniera – possono essere importanti eventi del genere nella carriera di un artista emergente?

Mi circondo di artisti emergenti come le coriste e i musicisti che mi hanno accompagnato allo Sferisterio. I giovani artisti hanno un’energia positiva che mi fa bene, la stessa che ho sentito nei vincitori di Musicultura. Quello che mi sento di consigliargli è di pensare alla loro musica come un modo per trasmettere ciò che sentono e non come qualcosa per sfondare sui social o per accaparrare il maggior numero di stream. Prima di arrivare al grande pubblico con Baccalà, ho studiato, ho fatto esperienze in diversi contesti, che mi hanno portato a una nuova consapevolezza. Musicultura è un evento importante per chi crede nella musica.


 

La versione di Cochi: il comico milanese a La Controra 2024

“Il tipo di televisione che facevamo era così innovativo che è rimasto inciso nel cuore delle persone”: in effetti, Aurelio Ponzoni, in arte Cochi, è una figura emblematica dello spettacolo italiano, celebre per il suo lavoro come attore, sceneggiatore e comico. In coppia con Renato Pozzetto nel duo “Cochi e Renato”, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della comicità italiana. Ospite di Musicultura 2024, intervistato dal giornalista e conduttore radiofonico John Vignola nell’ambito dell’incontro dedicato al suo libro La versione di Cochi, pubblicato lo scorso autunno, ha raccontato al pubblico de La Controra la sua vita, la sua carriera artistica, il suo modo di fare spettacolo. E lo ha fatto anche con noi della redazione di Sciuscià in questa intervista.

Lei ha avuto una carriera molto diversificata, che include teatro, cinema, televisione e musica. C’è un progetto a cui è particolarmente legato e che considera il più rappresentativo del suo percorso artistico?

Quello che mi ha dato la notorietà è stato il cabaret. Il mio debutto professionale è stato nel ’64, quando ho iniziato a fare il primo cabaret con Bruno Lauzi, il mio amico Renato Pozzetto, Felice Andreasi e Lino Toffolo; da lì abbiamo cominciato a vivere di questo lavoro. Quel periodo, fino al ’74, è stato quello che più mi ha formato dal punto di vista professionale, però la mia vera passione è sempre stata il teatro di prosa, che purtroppo ho abbandonato, chiaramente per “ragioni cabarettistiche”, chiamiamole così.

Il suo libro La versione di Cochi non è solo una raccolta di ricordi, ma anche una riflessione sul mondo dello spettacolo. Come vede il cambiamento della comicità italiana dagli inizi della sua carriera a oggi?

Il linguaggio della comicità, del sarcasmo, è sempre legato alla società del momento. Quando facevo cabaret c’era una realtà sociale, politica, anche economica, di un certo livello. C’era un grande fermento culturale in quegli anni, soprattutto al finire della Seconda Guerra Mondiale, quando noi eravamo ancora ragazzi: era un momento particolarmente significativo per tutto quello che riguardava la nostra crescita, determinata soprattutto da incontri importanti che abbiamo avuto con altri artisti, come Iannacci e Dario Fo, ma anche con intellettuali dell’epoca, tra cui Dino Buzzati e Umberto Eco, insomma personaggi che hanno cominciato a considerarci dei possibili professionisti e ci hanno dato anche il coraggio di continuare a fare questo mestiere.

Nel libro parla anche del suo ruolo in film come Cuore di cane e I telefoni bianchi. Come ha affrontato la transizione dalla televisione al cinema e quali sono state le principali sfide che ha incontrato?

 Rifacendo le cose che facevamo dal vivo, in un ambiente asettico tipico della televisione, per noi era molto più facile che fare cabaret. Non c’è stato un trauma, anzi, era una passeggiata. Il cinema riguarda, invece, un altro tipo di lavoro che richiede una concentrazione importantissima. Devi ricordare tre cose: quello che devi dire, le battute che devi fare e dove sei a fuoco. Devi, inoltre, ricordarti anche il tipo di espressività che usi, perché se c’è un primo piano devi stare attento a non esagerare con le espressioni facciali.

Televisione, ancora. Parliamo del programma Il poeta e il contadino. Qual è il ricordo più bello che ha di quell’esperienza e come ha influenzato il suo percorso artistico?

L’esperienza è stata molto divertente e interessante perché era un programma che abbiamo inventato io e Renato, dall’inizio alla fine, con l’aiuto di Enzo Iannacci, che curava la parte musicale. È stato per noi un modo di esprimerci liberamente, usando il nostro linguaggio peculiare, mantenendo le caratteristiche originali del nostro lavoro.

Il suo rapporto con Renato Pozzetto, appunto, è stato fondamentale. Come descriverebbe l’evoluzione della vostra collaborazione artistica nel corso degli anni?

Io e Renato siamo cresciuti insieme da bambini e avevamo sempre questa voglia di giocare con le parole e con la musica; infatti, da piccoli avevamo due chitarre e cantavamo canzoni anarchiche, politiche o popolari. Abbiamo cominciato così, esibendoci nelle osterie di Milano del dopoguerra. Quella che poi aprimmo insieme si chiamava L’Oca d’Oro; ci giravano personaggi e intellettuali del momento che ci hanno preso sotto la loro ala protettiva e ci hanno infuso fiducia per continuare questa professione.

Proprio insieme a Pozzetto ha presentato al grande pubblico alcuni brani – pensiamo a Canzone intelligente, per citarne una sola – che fanno parte ancora oggi, e a pieno titolo, dell’antologia della musica italiana. Ma sotto il palco, lontano delle scene, qual è il suo rapporto con la musica? Cosa ascolta Cochi tra le mura domestiche?

Io? Che tipo di musica? Beh, ascolto musica classica, mi piace moltissimo la musica brasiliana e fin da ragazzino ho sempre avuto una grande passione per il jazz. Attualmente mi esibisco in degli spettacoli con un quintetto di jazzisti, dove racconto la vita di Charlie Parker mentre i miei amici musicisti eseguono i suoi brani. Ebbene sì, quindi: il mio rapporto con la musica è molto stretto.


 

Calciar-Cantando a La Controra con Banca Macerata

Basti pensare a come inizia ogni partita: con un inno, un seguirsi di note che esprimono in coro il segno di appartenenza a dei colori, a una squadra. La musica ci circonda e ci accompagna in ogni momento della nostra vita; e così anche nello sport, dai cori dei tifosi alle playlist ascoltate dai giocatori durante le trasferte, nello spogliatoio o nel corso del riscaldamento, la musica riesce a essere motivazione, conforto e chiave di concentrazione. Ma non solo: per questa settimana hanno in comune anche il fatto di riempire i vicoli e le piazze del centro storico di Macerata grazie agli eventi de La Controra e le partite degli Europei.

Dopo una giornata ricca di incontri al cui centro sono stati suoni, note e parole, aspettando la partita Italia-Spagna degli Europei, il sodalizio tra musica e calcio incontra quello tra Musicultura e Banca Macerata, main sponsor del Festival, con Calciar-Cantando. Messi da parte per qualche istante microfoni e chitarre, in Piazza della Libertà una porta, un pallone, un arbitro e un fischietto; e tanti giocatori, grandi e piccini. Tra abbracci e risate, si formano squadre, si sceglie di tirare di piatto o di collo, ci si sfida per vincere i premi messi in palio proprio da Banca Macerata.

Così, tra un calcio di rigore e l’altro, con un quiz si ripercorre la storia della musica italiana in una chiave particolare: quella calcistica. Tra È goal! di Bennato, La leva calcistica della classe ’68 di De Gregori, il “gran Real” citato da Max Pezzali, “la nazionale del 2006” da Tommaso Paradiso e Cuccurucucù di Battiato, si ricordano insieme i grandi successi musicali e le memorabili notti magiche del nostro paese.
E la parola d’ordine è “squadra”, come quella creata nel 2021 da Musicultura e Banca Macerata, da subito vincente. In questa occasione, abbiamo chiesto a Ferdinando Cavallini, Presidente dell’istituto di credito, di spiegarci quali sono i valori alla base di una partnership così riuscita: «Condividiamo con Musicultura la valorizzazione della qualità, dei giovani, di tutto ciò che crea cultura e socialità e che è capace di far crescere una generazione sana. Musicultura punta ai giovani, incentiva la loro creatività, e lo stesso fa Banca Macerata, investendo non solo in musica e cultura, ma anche in tutte le altre attività che andiamo a sostenere, tra cui senza dubbio anche quella sportiva».