Le Vibrazioni e Catalano attesi a Recanati in piazza Giacomo Leopardi

Dopo la raffinata eleganza di Graham Nash   che   ha offerto al pubblico un viaggio magico nella  storia della musica e dopo la toccante  serata di   Ron che ha cantato   l’eternità di Luco Dalla  ai 4000 presenti a Recanati in Piazza Giacomo Leopardi, attesissimi sul palcoscenico del Festival estivo di Musicultura per il terzo appuntamento con Lunaria giovedì 12 luglio: Le Vibrazioni e Guido Catalano.

(Guido Catalano)

Francesco Sarcina (voce e chitarra), Stefano Verderi (chitarra), Marco Castellani (basso) e Alessandro Deidda (batteria) tornano on the road con le canzoni di “V” e – immancabili – i loro più grandi successi. Da “Così sbagliato”, il pezzo presentato al Festival di Sanremo 2018 a “Dedicato a te”, “Giulia”, “Vieni da me”, passando per In Una Notte d’Estate e Raggio Di Sole fino al nuovo singolo Amore Zen (feat. Jake La Furia). Una scaletta da cardiopalma per tutti i fan de Le Vibrazioni e non solo. Tutta la loro grande musica in un unico imperdibile evento, tutto in una calda notte d’estate.
A Lunaria, con Le Vibrazioni  ci sarà Guido Catalano il poeta e scrittore che con la sua brillante intelligenza e con il suo umorismo ha conquistato il grande pubblico diventando una vera e propria  poetry star  “un po’ pop e anche un po’ rock ” come dice il Poeta. “Credo che il segreto sia parlare d’amore in maniera ironica facendo le cose sul serio senza prendersi troppo sul serio, – ha detto in un’ intervista Guido Catalano – cosa che nell’ambito della poesia non sempre succede.”
Un curioso ed  inedito incontro tra  grandi artisti della canzone e  un grande acrobata della parola, chiamati a condividere per una sera lo stesso palco e a confrontare i rispettivi codici espressivi, sull’onda dell’emozione, del divertimento, ma anche al cospetto della riflessione. Un’originale peculiarità del Festival che offre uno spazio più ampio ai grandi personaggi  per far conoscere meglio il loro lato artistico e personale e soprattutto la possibilità di far convivere sul medesimo palcoscenico in maniera ricercata ed intelligente la musica la letteratura la poesia e il pensiero; grandi eventi con momenti magici unici ed irripetibili che lasciano il segno.
Piazza Giacomo Leopardi verrà, appositamente allestita, come un vero e proprio salotto grazie alla presenza delle  numerose  poltroncine a disposizione dei presenti per godere appieno dell’atmosfera di una nuova e indimenticabile  serata di grande musica e di coinvolgenti  racconti, aperta al pubblico sotto le stelle di Recanati.
 Recanati, Piazza Leopardi (21.30)
Ingresso libero

Prossimi appuntamenti con Lunaria 2018
12 luglio LE VIBRAZIONI con GUIDO CATALANO
19 luglio LOREDANA BERTÈ
23 luglio LO STATO SOCIALE

Ron canta Lucio: ed è subito magia

“L’eternità di Lucio è in questa serata, dove ognuno può cantare una canzone insieme agli altri, il paradiso che Lucio ha sempre cercato non era poi così lontano, era nel cuore della gente che gli voleva bene”. Cosi Ron ha salutato i 4000 presenti a Lunaria in piazza Giacomo Leopardi, dove ha celebrato, in uno spettacolo teatrale scritto con Vincenzo Incenzo, l’amato amico Lucio Dalla.
“Quando ho conosciuto Lucio io avevo 16 anni, – ha ricordato Ron –  fui chiamato dalla mia casa discografica per sentire Occhi di Ragazza, Lucio arrivò con quattro ore di ritardo tutto ingessato aveva solamente gli occhialini tondi e un po’ di barba fuori.. e io ho cominciato a ridere…”.
A Recanati Ron ha offerto al pubblico un toccante omaggio dell’allievo al maestro, sull’onda artistica ed emotiva del lungo sodalizio che li ha legati. La sua voce, limpida e trasparente. si è alzata in volo sulla piazza, accarezzando il cuore dei presenti e regalando un ritratto musicale autentico del cantautore bolognese scomparso sei anni fa.
Accompagnato dai suoi musicisti e dal canto corale del pubblico ha fatto rivivere intensamente l’anima musicale di Lucio Dalla con un emozionante viaggio iniziato con Almeno Pensami, l’ultima opera inedita di Lucio con cui Ron si è aggiudicato il Premio della Critica alla scorsa edizione del Festival di Sanremo.
Lo spettacolo ha preso quota con un’immersione totale nel canzoniere dalliano. “I brani li ho scelti d’istinto” ha dichiarato Ron “sono le canzoni  sulle quali ho lavorato di più con Lucio, sono quelle a me più vicine”: 4/3/1943, FuturaPiazza Grande in una coinvolgente versione  partenopea (riarrangiata con le mandole napoletane e le chitarre battenti, “Era il mondo che Lucio amava di piu, – ha detto –  Napoli era come New York per Lucio, mi è piaciuto molto mettere questo “vestito nuovo ” a Piazza Grande”). E poi ancora Attenti al lupo seguita da Henna, Stella di mare, Quale Allegria, Canzone, La Casa in riva al mare, Anima, Chissà se lo sai, Anna e MarcoL’ultima Luna.
Tra le perle  della serata, la primissima versione del testo di Com’è profondo il mare, con la diffusione in Piazza della sola voce di Dalla, un’interpretazione inedita e bellissima del brano che forse più di ogni altro rappresentava l’immaginario poetico al grande cantautore bolognese.

Ron ha chiuso l’esibizione tra gli scroscianti e infiniti applausi emozionati dei presenti con ben tre bis Le Rondini, Se io fossi un angelo e Tutta la vita.

I prossimi appuntamenti con Lunaria 2018: 
12 luglio LE VIBRAZIONI
19 luglio LOREDANA BERTÈ
23 luglio LO STATO SOCIALE
Recanati, Piazza Leopardi (21.30)
Ingresso libero

Standing ovation per Graham Nash a Lunaria 2018

Graham Nash, il leggendario cantautore di origine inglese naturalizzato statunitense, ha incantato, commosso ed emozionato il grande pubblico presente nella magica serata di apertura di Lunaria, la rassegna estiva di Musicultura organizzata in collaborazione con il Comune di Recanati, nella suggestiva Piazza Giacomo Leopardi.
Una notte magica, indimenticabile in cui Nash, tra le note vibranti della sua chitarra, ha raccontato storie e aneddoti, ricordato amici e musicisti come i The Hollies, David Crosby,  Stephen Stills e Neil Young, e poi ancora la storia d’amore con Joni Mitchell, l’incontro con Bob Dylan fino ad arrivare all’esperienza di Woodstock.
Nash in grande forma, camicia di jeans, calzoni neri e folta chioma candida, si è alternato alle chitarre e alla tastiera con la sua voce calda e  ammaliante, la sua intonazione perfetta e il suo grande senso della melodia, accompagnato dai suoi bravissimi musicisti  Shane Fontayne alla chitarra e da Todd Caldwell alle tastiere.
Sul palco ha proposto la sua struggente I Used To Be a King dall’album del 1971 Songs of Beginners che parla dell’amore con Joni Mitchell, la celebre Simple Man “Sono un uomo semplice e canto una canzone semplice”.
“Mi sembra che il mondo stia impazzendo – ha detto Nash –  soprattutto negli Stati Uniti stanno accadendo cose terribili,  la verità è che  l’America è un grande paese e si merita qualcosa di meglio di Donald Trump” e ha  intonato Military Madness.
Ha proseguito con Bus Stop degli The Hollies e poi i tanti brani portati al successo con Crosby, Stills e Young come Wasted On The Way, Right Between the EyesMarrakesh Express, Wind on The WaterJust a Song Before I Go, Chicago e Cathedral.
Sulle note di  Immigration Man, ha raccontato come è nata questa canzone, quando non aveva ancora la doppia nazionalità a Vancouver in Canada ed è stato trattenuto da un funzionario degli Stati Uniti.
Non sono mancate le cover: un omaggio ai Beatles con A Day in the Life ed insieme ai suoi musicisti un’incantevole versione a tre voci di Everyday di Buddy Holly.
Ha chiuso l’esibizione con una dedica “Voglio dedicare questa canzone a Giacomo Leopardi un grande poeta che ha composto le sue opere con il  cuore e con la mente, la  parola è potente e può cambiare il mondo” intonando Teach Your Children nel tripudio del pubblico che lo ha accompagnato in piedi.

A Graham Nash è stato consegnato dal Sindaco di Recanati Francesco Fiordomo il “Quattrino” simbolo di Recanati e massima onorificenza con cui vengono insignite le più alte personalità ospiti della Città.

Prossimi appuntamenti con LUNARIA 2018
5 luglio RON canta Lucio
12 luglio LE VIBRAZIONI
19 luglio LOREDANA BERTÈ
23 luglio LO STATO SOCIALE

Recanati, Piazza Leopardi (21.30)
Ingresso libero

Il giorno di Graham Nash a Lunaria 2018

Il leggendario cantautore è l’ospite internazionale della rassegna estiva di Recanati

Grande attesa a Recanati per l’ apertura di Lunaria 2018 la rassegna estiva di Musicultura organizzata con il Comune di Recanati che inaugurerà  il suo suggestivo palcoscenico all’aperto in Piazza Giacomo Leopardi domenica 1° luglio con il mitico cantautore statunitense Graham Nash l’ex Hollies più noto della scena Folk-rock americana.
Era il 1969 quando uscì il primo lavoro di Graham Nash insieme allo storico super gruppo composto inizialmente da David Crosby e Stephen Stills e in seguito anche da Neil Young.
La data di Lunaria è uno dei pochissimi appuntamenti italiani col cantautore statunitense, impegnato quest’anno in un grande tour mondiale, che fa seguito all’uscita del suo sesto album da solista “This Path Tonight”. Per l’occasione affiancherà la nuova produzione ai grandi classici del suo repertorio cantautorale, frutto del lavoro negli anni con le diverse formazioni The HolliesCrosby, Stills & Nash and Crosby, Stills, Nash & Young. Per l’imperdibile occasione Graham Nash sarà accompagnato da Shane Fontayne alla chitarra e da Todd Caldwell alle tastiere per un indimenticabile serata dedicata al rock e al folk.
Fotografo, visual artist e filantropo, oltre alla ricchissima carriera musicale Nash vanta esposizioni e pubblicazioni nei più prestigiosi musei del mondo, tra cui, su tutti, il National Museum of American History al Smithsonian Institution. Nominato dalla Regina Elisabetta II “Ufficiale dell’Ordine Britannico” per i suoi meriti artistici, ha inoltre ricevuto importanti riconoscimenti onorari da Università ed Accademie tra le più prestigiose degli Stati Uniti, a testimonianza ed attestazione della sua instancabile e pluridecennale attività e ricerca nel campo delle arti.
Dal rock degli anni ’60 al folk, passando per sperimentazioni jazz ed elettroniche, Nash ha attraversato magistralmente mezzo secolo di scena musicale, una scena che ha sempre vissuto da protagonista e che porterà in tutte le sue preziose sfumature a Recanati.
Graham Nash con la sua chitarra,  accompagnerà il pubblico nell’atmosfera intima ed acustica di una indimenticabile  erata sotto le stelle in Piazza Leopardi, opportunamente allestita come un vero e proprio salotto grazie alla presenza delle  numerose poltroncine.


INFO ACQUISTO E RITIRO BIGLIETTI
Per tutti coloro che hanno acquistato i biglietti online o che volessero aggiudicarsi gli ultimissimi posti ancora in vendita, il botteghino del concerto aprirà alle ore 17.00 di domenica 1à luglio presso il Teatro Persiani, in Via Cavour a Recanati (a 100 mt circa dalla piazza).
Info: 071 757 9445

Lunaria accende l’estate 2018 con Graham Nash, Ron, Le Vibrazioni, Loredana Bertè e Lo Stato Sociale

1 luglio GRAHAM NASH
5 luglio RON in Lucio! – Il Tour
12 luglio LE VIBRAZIONI con Guido Catalano
19 luglio LOREDANA BERTÈ
23 luglio LO STATO SOCIALE

Recanati, Piazza Leopardi (21.30)


Torna in Piazza Leopardi Lunaria, l’attesa rassegna estiva ideata e curata da Musicultura in collaborazione con il Comune di Recanati, che prenderà il via dal 1° luglio a Recanati. Nata nel 1996, Lunaria si è rapidamente imposta come una delle rassegne italiane più originali e seguite dal pubblico.
Le calde notti sotto le stelle dell’estate recanatese da più di vent’anni uniscono al fascino indiscutibile della location l’accompagnamento di una colonna sonora fatta di musica e parole della miglior tradizione della canzone della poesia italiane ed internazionali. L’edizione 2018 avrà protagonista un ricco panorama musicale che abbraccia e attraversa almeno tre generazioni, dando vita così ad un viaggio ideale in grado di accompagnare lo spettatore da Ron a Loredana Bertè fino a Lo Stato Sociale, passando per Le Vibrazioni.
Ad inaugurare la rassegna, il concerto di un’autentica leggenda internazionale: Graham Nash, cantastorie in grado di affamare con la sua musica, ancora oggi, il nostro immaginario collettivo con le atmosfere di un’America così lontana, eppure così familiare. Questi i nomi che si alterneranno sul palco recanatese nelle serate di questo luglio 2018, ma vediamo nel dettaglio l’intero programma.


Domenica 1 luglio Graham Nash

Quello di Piazza Leopardi è uno dei pochissimi appuntamenti italiani col cantautore statunitense, impegnato quest’anno in un grande tour mondiale, che fa seguito all’uscita del suo sesto album da solista “This Path Tonight”. Per l’occasione affiancherà la nuova produzione ai grandi classici del suo repertorio cantautorale, frutto del lavoro negli anni con le diverse formazioni The HolliesCrosby, Stills & Nash and Crosby, Stills, Nash & Young. Voce e chitarra, il cantautore ci accompagnerà nell’atmosfera intima ed acustica di una serata dal rock degli anni ’60 al più tipico folk americano.


Giovedì 5 luglio:  Ron in Lucio! – Il Tour
Il cantautore torna a calcare il palco della rassegna recanatese con un progetto a cui tiene moto. Il concerto nasce sulla scaletta dell’omonimo album «Lucio!» con i pezzi storici di un lungo sodalizio fra l’allievo Ron e il maestro Lucio, compreso quel “Piazza Grande” che nel 1972 fece scoprire la forza autorale di un giovanissimo Rosalino Cellamare. A marzo è infatti uscito il nuovo disco di Ron, un album dedicato all’amico e collega Lucio Dalla in occasione dei 75 anni dalla sua nascita. Un album che contiene dodici canzoni di Dalla, tra le quali il brano inedito con cui Cellamare ha calcato il palco di Sanremo 2018 “Almeno pensami”. L’album, come il tour che ne fa seguito, è l’occasione per rievocare insieme a tutto il pubblico dell’artista bolognese momenti di vita tra musica e vita privata.


Giovedì 12 luglio è il giorno di Le Vibrazioni con Guido Catalano
Francesco Sarcina, Stefano Verderi, Marco Castellani e Alessandro Deidda tornano on the road con le canzoni di “V” e – immancabili – i loro più grandi successi. Da “Così sbagliato”, il pezzo presentato al Festival di Sanremo 2018 a “Dedicato a te”, “Giulia”, “Vieni da me”, una scaletta da cardiopalma per tutti i fan delle Vibrazioni e non solo. Tutta la loro musica in un unico imperdibile evento, tutto in una notte d’estate.
A dividere il palco con la band il poeta Guido Catalano.


Giovedì 19 luglio Loredana Bertè
Loredana Bertè è senza dubbio una delle più importanti interpreti della canzone italiana: capace di attraversarne la storia con una carriera ricca di collaborazioni prestigiose, canzoni indimenticabili ed interpretazioni capaci di arrivare diritte all’anima di un pubblico affezionatissimo. Dopo il nuovo singolo “Non ti dico no“, insieme ai Boomdabash, è in attesa di consegnare al mercato il suo nuovo album d’inediti. Calcherà il palco recanatese con la sua band portando in scena un concerto antologico costellato da canzoni senza tempo, cantate e vissute fino in fondo.


Lunedì 23 luglio Lo Stato Sociale

Dopo i successi di “Una vita in vacanza”, brano più trasmesso dalle radio italiane, arrivato secondo all’ultima edizione del Festival di Sanremo, il gruppo bolognese riparte con una tournée estiva, anticipata dall’uscita del singolo “Facile”. Il concerto, come da tradizione per il collettivo, sarà un inno alla libertà, un autentico parco giochi di canzoni e provocazioni. Musica che trascende la musica stessa, facendosi evento musicale e collettivo, sospeso in equilibrio tra una forte carica ironica e messaggi importanti. Una normalità che sa di disillusione e speranza, serietà e dileggio, divertimento e noia.


Crediti e ringraziamenti
L’ideazione e la direzione artistica di Lunaria sono di Musicultura. La rassegna ha il sostegno del Comune di Recanati. Tra gli sponsor: Astea Energia, BCC

I biglietti per il concerto di Graham Nash, in vendita a 28, 20 e 15 euro, sono disponibili presso i punti vendita autorizzati Vivaticket in tutto il territorio nazionale, sul circuito regionale Amat, presso la biglietteria del Teatro Persiani di Recanati e online su www.vivaticket.it. Info: Tel 071.7574320

INTERVISTA. Sul palco dello Sferisterio, il ritorno di Mirkoeilcane un anno dopo dalla sua vittoria a Musicultura

Vincitore assoluto della scorsa edizione del festival, Mirko Mancini, in arte Mirkoeilcane, domenica 17 giugno è tornato a Musicultura dopo un anno importante che lo ha visto conquistare, tra gli altri, il palco dell’Ariston.

Il cantautore romano da sempre si guarda intorno alla ricerca di un pezzo di mondo da raccontare, che trova spesso nella sua città, a cui è stretto da un forte senso d’appartenenza e da un puro amore; ma anche negli sguardi delle persone che incontra, giorno dopo giorno, lungo il suo percorso. Al Festival è stato accompagnato, come sempre, da Francesco Luzzio al basso, Domenico Labanca alle tastiere e Alessandro “Duccio” Luccioli alla batteria: degli amici, oltre che i suoi musicisti, che gli sono stati sempre accanto, anche quando lo scorso anno ha presentato al pubblico dello Sferisterio il brano “Per fortuna”; gli stessi che lo affiancano ora nel tour “Poco demoscopico” in giro per l’Italia, per far conoscere non solo la musica di un cantautore che sta avendo sempre di più un gran successo, ma anche per far percepire al pubblico le sensazioni che si celano dietro a delle storie, diventate poi canzoni, che hanno il sapore della nostra società, di ciò che stiamo vivendo e delle tante vicende che spesso non vengono prese in considerazione come avviene invece nei testi di Mirko.

Così l’artista romano, in occasione del suo ritorno a Macerata, si è raccontato nuovamente alla redazione di Sciuscià.

“Secondo me”, il tuo ultimo disco, ha un titolo che potrebbe far pensare, a chi non ti conosce, che il punto di vista privilegiato – quello da cui osservi le cose – sia soltanto il tuo. In realtà non è così: ti fai portavoce anche di tante storie che non hai vissuto in prima persona, penso a Beatrice e a Stiamo tutti bene, ad esempio. Credi che l’essenza di un cantautore stia proprio in questo, cioè nell’assumere un ruolo ben preciso di narrazione e di critica sociale? 

Sì, assolutamente. La mia battaglia “benevola”, se così possiamo definirla, è riempire le canzoni di un qualcosa di significativo. Non che nessuno lo faccia; però il vento tira verso una superficialità, una povertà di contenuti che va a favore di un accompagnamento musicale più importante, perché si possa ballare meglio e possano spopolare delle hit che fungono anche sottofondo per lo shopping. A me invece piace l’idea di dedicarsi all’ascolto della musica, magari una mezzora al giorno. Ad esempio, quando sono in macchina metto un disco che non conosco per sentire ciò che un artista ha da dire. Vorrei che le canzoni, almeno in Italia, si riappropriassero dei ruoli che hanno sempre avuto e che sono stati estremamente importanti nella società: penso ai brani di De Gregori, di Dalla, di Fossati e di Califano. Mi chiedo quanti si saranno innamorati o avranno fatto scelte di vita dopo aver ascoltato un loro pezzo. Sarebbe bello che questo accadesse anche oggi.

A proposito di storie da raccontare, Stiamo tutti bene è la storia di Mario, ma anche di moltissime altre persone che attualmente si trovano nella sua stessa condizione. Qual è stato il tuo primo pensiero dopo la decisione del governo italiano di sbarrare l’accesso ai tanti che hanno intrapreso un viaggio proprio come quello di Mario? 

Voglio evitare di schierarmi politicamente, non per mancanza di coraggio ma perché lo trovo semplicemente inopportuno. Un cantautore si occupa di dare un punto di vista e non un’opinione. In Stiamo tutti bene ci sono il mio pensiero e quello di Mario. Mi sono trovato allibito di fronte alle ultime manovre del governo; queste mi hanno turbato perché non hanno preso in considerazione il valore dell’umanità: come può qualcuno decidere della vita di qualcun altro? Non voglio entrare troppo nel merito della questione, mi basta dichiarare ciò che mi viene in mente.

In “Secondo me” c’è una canzone, Da qui, che è una dedica alla tua città. Ci racconti quali sono, per te, quelle meraviglie esclusivamente romane, che non stanno da nessun’altra parte? 

Da romano è un po’ più complicato trovarle, perché l’abitudine gioca un brutto scherzo: per me passare davanti al Colosseo significa soltanto fare tardi. Roma viene spesso considerata per qualcosa che non è e non è fatta solo di grandi monumenti. È certamente una grande città, ma anche un insieme di quartieri, ricco di vie diverse in cui si possono notare realtà differenti. Questo dipende molto dal fatto che, a suo modo, è cosmopolita: ha accolto e accoglie tantissime culture. Per quanto adesso il vento tiri da un’altra parte, Roma rimane un posto in cui la convivenza è piuttosto leale, senza troppi problemi. È un contenitore di mille storie, di tante avventure e ricca spunti; nella Capitale c’è tutto e, proprio per questo motivo, è semplice abituarsi a lei; avrei preferito di più essere un turista, piuttosto che un autoctono.

Se potessi scegliere un qualsiasi artista o gruppo, passato o presente, con chi ti piacerebbe collaborare e perché? 

Mi piacerebbe collaborare con i Beatles e con Francesco De Gregori. Sono anche affascinato, per la maniera in cui scrive e per il modo in cui si propone al pubblico, da Samuele Bersani; una collaborazione con lui sarebbe di certo più realistica di quelle che ho prima citato e mi piace pensare che un giorno questa possa realizzarsi.

A distanza di un anno, eccoti di nuovo qui a Musicultura, stavolta come ospite. In questi mesi hai vissuto tante esperienze e hai ricevuto molti riconoscimenti importanti. Com’è tornare nel posto in cui un po’ tutto è cominciato? 

Ti dico la verità: quando sono arrivato a Macerata mi è sembrato di non averla mai lasciata, di non esser mai andato via da questa città. Mi è anche capitato di tornarci in quest’ultimo anno, per affetto personale: ho preso la macchina e sono venuto per vedere dei posti che mi avevano consigliato e che non ho avuto modo di visitare quando ho partecipato a Musicultura; dei luoghi come, ad esempio, Sirolo. È bello essere di nuovo qui, dove avverto un grande affetto da parte della gente. Mi piace molto quello che si è creato in questo territorio che, nonostante le ultime vicende che ha vissuto, è piena di persone intelligenti e che sanno vivere bene assieme.

INTERVISTA. Cinzia Leone a Musicultura: “Trasformate qualunque cosa in un’occasione”

Venerdì 15 giugno Cinzia Leone si è esibita sul palco dello Sferisterio in “Nannarella suite, ricordando Anna Magnani” e ha reso omaggio alla grande artista romana, facendo rivivere le sue parole e i suoi pensieri attraverso la recitazione e anche grazie a brani popolari eseguiti da La Compagnia di Musicultura.

A La Controra l’attrice comica, divertente e a tratti cinica e irriverente, ha parlato dei suoi ultimi lavori e ha messo in risalto il grande amore nei confronti della recitazione: “Il coraggio di sbagliare e di dichiarare l’errore è la cosa bella del teatro. Condividere con gli altri le proprie imperfezioni ci aiuta ad accettare anche noi stessi”.

Durante l’incontro con la redazione di Sciuscià, Cinzia Leone ha ricordato alcune tappe importanti della sua carriera artistica, evidenziando la sua viva ed entusiasmante passione per il teatro.

A chi non si è mai cimentato nella recitazione, con quali parole spiegherebbe la sensazione che si prova sul palco di un teatro? 

Se ricevi degli applausi perché il pubblico ti capisce, se reciti un tuo pezzo con l’intento di divertire la gente che di conseguenza ti risponde positivamente, allora la sensazione che si vive sul palco è di approvazione e di amore. Si tratta dunque della stessa emozione che si percepisce quando sai di aver fatto la cosa giusta; inoltre è l’esatto contrario di quando a casa tutti ti rimproverano perché fai male qualcosa, e viceversa: è come se mamma e papà ti dicessero che sei bravissimo.

Nel corso della sua carriera cinematografica ha avuto modo di lavorare con Mario Monicelli: vuole raccontarci qualche ricordo legato al regista? L’esperienza di “Parenti Serpenti” con Mario Monicelli è stata la più bella e interessante che io abbia fatto nella mia vita, dal punto di vista professionale. Ho interamente improvvisato l’inizio della scena in cui io dico: “Ciao come stai? Stai bene? Son contenta”. Dopo aver finito di girare il film, sono stata male; Mario mi chiamò quando ero ancora in America e mi disse che aveva montato quel dialogo anche se si vedeva che avevo la bocca chiusa, ma in ogni caso gli era piaciuto quel tormentone. Monicelli era un regista che mi ha compresa come nessun altro al mondo.

In “Disorient express”, uno dei suoi ultimi spettacoli teatrali, restituisce ironicamente al pubblico l’immagine di una realtà disorientata e travolta da continui mutamenti. Raccontare le contraddizioni della contemporaneità è stata sempre una necessità costante nei suoi progetti: come mai? 

Esatto, è vero. Credo che sia importate utilizzare la comicità come viatico, per trattare con leggerezza un argomento che a volte appare pesante; quando parlo di “leggerezza”, mi riferisco al modo in cui Italo Calvino l’ha intesa e ben focalizzata nelle “Lezioni Americane”. “Disorient express” è uno spettacolo incentrato sulla contraddizione della democrazia: tutti la invochiamo, ma da quando abbiamo più strumenti per esercitarla, come ad esempio attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, non sappiamo esserne all’altezza. Capita che a volte ci diano fastidio persino gli altri, quando esprimono i loro punti di vista. Bisogna preparare un paese alla democrazia, perché altrimenti prevarrà lo snobismo, che poi scade nel pettegolezzo e nel giudizio. A volte è necessario saper ascoltare e comprendere. Mentre scrivevo “Disorient express” ho capito che in realtà non siamo disposti ad accettare che esistano delle persone che hanno un punto di vista differente dal nostro e vorremmo che fossero come li immaginiamo noi. Forse “democrazia” significa capire e accettare la realtà così com’è, anche quando è formata da idee differenti dalle nostre. Non si può negare il diritto di pensare in un determinato modo, piuttosto che in un altro.

Sul palco di Musicultura ha presentato “Narrarella suite, ricordando Anna Magnani”; è un’esibizione che mette in luce una grande responsabilità, ma è anche un gesto bellissimo con cui lei ha voluto rendere omaggio all’artista romana. Secondo lei quale, tra i tanti pregi artistici della Magnani, l’ha consacrata tra le migliori attrici italiane di tutti i tempi? 

La professionalizzazione della verità, come aveva già notato Zeffirelli, è stato il suo grande pregio artistico. Credo che la Magnani sia stata mandata sulla terra per insegnarci qualcosa: come un profeta, è stata un dono per l’umanità, proprio per la sua capacità straordinaria dar concretezza agli aspetti veri della vita. Lei era così sincera che non rappresentava qualcosa, ma era quella cosa. Oltre a queste sue caratteristiche, aveva anche capacità artistiche e tecniche, proprie del mestiere. Sono onorata di aver reso omaggio alla Magnani; ho solamente voluto evocare il suo spirito, considerando che qualsiasi mio tentativo di metterlo in scena sarebbe stato inascoltabile. Nessuno può imitarla, proprio per quella straordinaria capacità di immedesimazione che lei possedeva, che nasceva da un bisogno profondo e infinito di essere amata, come lei stessa sottolineava.

Conosce bene il mondo dello spettacolo, avendo lavorato per il teatro, per il cinema e per la televisione; c’è un consiglio che vuole dare agli otto vincitori, che aspirano a proseguire la carriera artistica?

Consiglio di resistere, perché il mondo dello spettacolo è in assoluto il più difficile, dove si pensa di poter esprimere la nostra parte più autentica. Invece bisogna essere assolutamente strategici nel condurre le redini del potere, le stesse che ti permetteranno poi di arrivare in scena. Questa gestione della realtà è la parte più complicata di qualsiasi lavoro. Per quanto riguarda invece il percorso individuale di ognuno degli artisti in concorso, suggerisco di trasformare qualunque cosa accada, anche la sconfitta, in un’occasione per riflettere.

INTERVISTA. L’attrice Cristina Donadio si racconta a La Controra di Musicultura 2018

Cristina Donadio è stata protagonista dell’incontro “A tu per tu”, sabato 16 giugno al Cortile del Palazzo Municipale, in occasione de La Controra; l’attrice napoletana si è così presentata al pubblico di Musicultura svelando gli aspetti più interessanti del suo mestiere, ricordando i tanti momenti e le molteplici collaborazioni che hanno avuto un ruolo decisivo nella sua carriera.

L’artista, famosa per aver interpretato il personaggio di Scianel nella serie tv Gomorra, ha raccontato i primi passi nella recitazione e la fortunata e meritata svolta del suo percorso, avvenuta interpretando un ruolo femminile che l’ha consacrata, a livello internazionale, tra i volti italiani più noti nel mondo dello spettacolo.

Anche nell’intervista rilasciata alla redazione di Sciuscià, ha voluto sottolineare l’importanza di alcuni progetti in cui ha partecipato e gli incontri che le hanno permesso di crescere artisticamente e umanamente.

Il suo personaggio in Gomorra, Scianel, è conosciuto in 190 paesi. Cosa si prova a essere uno dei volti italiani più noti e amati a livello internazionale? 

È una bellissima sensazione. Ogni giorno mi arrivano mail da tutto il mondo: dagli Stati Uniti al Giappone. Anche in strada, passeggiando per Napoli, mi capita di incontrare persone di tante nazionalità che mi riconoscono. Tutto questo è molto gratificante e soprattutto è una grande occasione. È grazie a questa notorietà che mi arrivano offerte di lavoro da molti paesi.

Una delle tue più grandi passioni è il teatro: con Enzo Moscato hai scritto una pagina della nuova drammaturgia napoletana. Com’è nata questa collaborazione e quali sono i tuoi progetti futuri in ambito teatrale? 

La nostra collaborazione è nata dopo il grave incidente del 1986, in cui sono morti mio marito e Annibale Ruccello, un grande autore che collaborava assiduamente con Enzo. Le nostre strade si sono incrociate dopo quel lutto, che ci ha unito: io avevo perso mio marito, lui Annibale. Da quel momento in poi non ci siamo più lasciati. Colgo ogni occasione per ringraziare Moscato, un drammaturgo straordinario a livello mondiale, che mi ha insegnato il senso del teatro. Abbiamo appena finito a Bologna una retrospettiva a lui dedicata e adesso realizzeremo insieme un nuovo spettacolo per la prossima stagione teatrale: “Festa al Celeste e nubile santuario”, un suo vecchio testo. Essere in scena con lui mi fa sentire a casa.

A molte attrici accade di essere “inghiottite” dal proprio personaggio, a causa della portata o della notorietà che ricopre. Scianel è una donna che, puntata dopo puntata, è decisiva nello sviluppo della storia. Quale preparazione c’è stata dietro? 

Interpretando Scianel avrei rischiato di essere “inghiottita” da alcuni meccanismi propri di questo mestiere, ma grazie alla mia formazione teatrale mi sono posta in una distanza di sicurezza, non solo nel creare il personaggio ma anche nel considerarlo un archetipo e non una camorrista. Ciò ha dato a questa figura femminile la giusta universalità. Allo stesso tempo ho capito l’importanza del lavorare in altri progetti, continuando la mia carriera teatrale. Noi attori rischiamo in continuazione di essere sopraffatti dal ruolo che mettiamo in scena: ciò accade soprattutto quando non si ha un background stabile alle spalle. È un peccato essere vittima del proprio personaggio. Il bello di questo mestiere è considerarsi “uno, nessuno e centomila”, non essere uno e basta.

Ha recitato insieme a Sergio Castellitto, Claudia Cardinale e Fabrizio Bentivoglio, solo per citarne alcuni. Quanto è stato formativo per lei, a livello professionale e personale, potersi confrontare con attori di questo calibro? 

Per me è fondamentale collaborare con altri professionisti del settore. Per un attore, la curiosità di conoscenza e la condivisione di esperienze dovrebbero essere la molla che spinge sino all’ultimo giorno della carriera. L’unica pecca del mio percorso artistico è stata quella di aver rinunciato alla collaborazione con Federico Fellini, che mi aveva scelto per un suo film; era un personaggio straordinario e un regista imprevedibile. Firmai un contratto con lui e recitai sotto la sua regia per un po’ di tempo. In seguito arrivò la proposta di lavorare in “Bim Bum Bam” e fui contenta di accettarla. Di professionisti come Fellini non ce ne sono più. Avevo solo 19 anni quando ho lasciato il set del suo film e, se dovessi tornare indietro, non ripeterei un errore simile. Credo che le collaborazioni siano per un attore il pane quotidiano e inoltre penso che rinchiudersi nella propria torre di avorio non serva a nulla.

Qui a Musicultura ogni anno si esibiscono cantautori emergenti che hanno da una parte personalità e storie diverse, dall’altra il sogno comune di vivere da protagonisti la scena musicale. In questo periodo, quanto conta la presenza scenica per un artista?

La presenza scenica è fondamentale; non s’impara con l’esperienza, ma bisogna averla dentro e sentirla. È necessario abbassare il freno a mano che abbiamo dentro di noi.

INTERVISTA. A Musicultura Brunori Sas, il cantautore alla ricerca dello stupore

Dario Brunori, in arte Brunori Sas, è stato uno degli ospiti più attesi di questa XXIX edizione di Musicultura; reduce dall’esperienza televisiva del suo primo programma “Brunori Sa”, andato in onda la scorsa stagione su Rai3, domenica 17 giugno il cantautore siciliano è tornato ad esibirsi sul palco del Festival e a La Controra, occasione in cui ha intrattenuto il pubblico con i racconti incentrati sulla sua musica e sulla vita professionale.

Membro del Comitato Artistico di Garanzia del concorso, Brunori ha avuto un ruolo importante nella scelta degli 8 vincitori, avendo ascoltato il disco contenente i brani dei 16 finalisti di Musicultura e avendo dato un voto alle proposte artistiche che ha ritenuto più interessanti. In riferimento alla sua musica socialmente “impegnata”, grazie alla quale ha ottenuto grandi riconoscimenti, ha confessato: “Ho avvertito un’emergenza emotiva di raccontare la cronaca”. È un artista, oltre che uno dei più famosi cantautori della scena musicale italiana, che negli anni ha saputo raccontare la società con parole semplici e vere, mantenendo un proprio stile e facendo dell’onestà artistica la sua cifra stilistica. Anche alla redazione di Sciuscià ha voluto parlare delle tante sensazioni e dei pensieri racchiusi nelle sue canzoni, ma anche del nuovo progetto vissuto come conduttore.

L’Amnesty International Italia ha premiato il suo pezzo, L’uomo nero, come miglior brano sui diritti umani. Un testo sottile e politicamente impegnato. Com’è nato? C’è stato un evento particolare che l’ha spinto a scrivere di intolleranza?

Sì, la storia è nata quando ho incontrato un ragazzo sulla linea 90 a Milano, che cantava il Corano. Questo evento ha scatenato in me una sorta di attrito tra il mio non essere influenzato da ciò che mi circonda e la realtà intorno, fatta di una serie di paure che pensavo di non avere. Quel momento e tante altre occasioni mi hanno spinto a scrivere il pezzo. Ho sicuramente cercato di raccontare da una parte la sensazione di amarezza che stiamo vivendo tutti, dunque la consapevolezza che ci sia un ritorno di fiamma di alcune vicende che pensavamo fossero seppellite, di paure e pregiudizi considerati ormai lontani; dall’altra invece l’idea che di fronte a tutto questo non possiamo puntare il dito contro qualcuno e ammettere che alcuni argomenti non ci interessino. Dobbiamo provare a comprendere noi stessi e le nostre angosce per capire anche gli altri, cercando così di trovare una chiave di lettura che non sia solo “io sono contro di te perché tu pensi qualcosa che per me è assurdo”. Citando una frase attribuita a Gaber, ognuno deve analizzare prima il mostro che ha dentro, per poi capirlo. In ogni caso, molte cose che sto dicendo adesso le sto comprendendo mano a mano, a posteriori; nel momento in cui scrivo sono spinto dalle mie emozioni e non so davvero i motivi che ci sono dietro ad alcuni argomenti che affronto nei miei brani.

Restando in tema, secondo lei perché si avverte di più questa intolleranza di cui parla? Come mai sta aumentando il nazionalismo e forse il cinismo, nel nostro Paese? 

Sicuramente il motivo risiede nell’incertezza e nell’insicurezza nei confronti del futuro. Lo straniero è sempre stato il bersaglio più semplice; questo lo dicono anche molti di studiosi. Accusare una minoranza è più facile e consente di dare spiegazioni che altrimenti sarebbero troppo complesse da ricercare. Noi sappiamo benissimo che la realtà che viviamo oggi non può essere causata semplicemente dall’arrivo di altre persone nel nostro Paese; così capita che l’immigrato viene visto come una sorta di capro espiatorio, un problema concreto e visibile. Baumann affermava che se non ci fosse stata la figura dello straniero, qualcuno avrebbe dovuto inventarla. Chi governa sa che è facile agire in questa direzione. Purtroppo, come diceva una famosa sentenza di un filosofo, quando c’è in atto una guerra tra le fasce dei più poveri, il massimo potere ne esce vincitore e a lui conviene questo odio.

Quest’anno ha indossato anche le vesti di conduttore televisivo e protagonista in “Brunori Sa”, un programma di ironia, poesia e musica. Com’è nato questo progetto? 

È nato un po’ per caso e senza tante aspettative. Abbiamo voluto creare una trasmissione che potesse fungere da documentario, da fiction e da serie televisiva. Ad ogni puntata ho invitato alcuni amici: cantautori e non, per cui provo ammirazione o con i quali ho instaurato, negli anni, rapporti di amicizia. È stato fondamentale che io già conoscessi le persone che ho voluto nel mio programma, perché con loro ho avuto la giusta confidenza per trattare alcune tematiche. L’argomento di ogni episodio è stato poi decisivo nella scelta sia delle materie da affrontare, sia dei brani da eseguire.

Molti la etichettano nel genere “indie”, nato per contraddistinguere gli artisti indipendenti. Com’è cambiato questo stile? Chi sono oggi i cantautori indie? 

L’indie è un contenitore di cose diverse fra loro, ma allo stesso tempo collegate da un’attitudine a creare “dal basso”, per far sì che i progetti vengano fuori quasi in una maniera spontanea. Gli artisti indie non si sono mossi secondo le regola classiche della discografia “ufficiale”; partendo da questa premessa, c’è distanza dal percepire lo stile indipendente come un’estetica musicale. C’è da dire che oggi identifichiamo con l’indie l’itpop, una corrente melodica, all’italiana, che racconta situazioni vicine ad una parte della società, quella dei giovani. Personalmente io non mi riconosco nell’atteggiamento attuale dell’indie; questo genere prima era caratterizzato da suoni aspri, si poteva definire combattivo e combattente. Adesso analizzare i suoi contenuti può essere interessante; si potrebbe fare un confronto con la narrazione degli anni ’90 e quella attuale, in modo da cogliere i cambiamenti della società e della fascia giovanile.

Facendo parte del Comitato Artistico di Garanzia del Festival, ha ricevuto il disco con i brani dei 16 finalisti di Musicultura, per poter ascoltare e valutare le proposte in concorso. Su quale aspetto si è focalizzata di più la sua scelta di voto? 

Mi hanno sorpreso maggiormente le proposte artistiche che hanno un qualcosa di innovativo da raccontare. Come ascoltatore cerco degli elementi che vadano al di là della tradizione, seppure come cantautore sia legato ad essa. Sollecito a proseguire il loro percorso quegli artisti che, anche in modo naïf, mi fanno provare stupore, curiosità e voglia di conoscenza.

INTERVISTA: “Un film è un viaggio”: il regista Gianni Amelio a La Controra di Musicultura 2018

Venerdì 15 giugno, a La Controra della XXIX edizione di Musicultura, Gianni Amelio ha presentato il libro “Padre quotidiano”, nel quale delinea i tratti principali del rapporto molto sofferto tra genitore e figlio, che lui stesso ha analizzato attraverso il cinema e la scrittura.

Da “Colpire al cuore” fino a “La tenerezza”, sotto l’occhio della sua cinepresa si sono susseguiti quasi 40 anni di storia e di cinema d’autore italiano; nei suoi film i temi inerenti all’attualità, alla politica e alla società sono analizzati sempre attraverso un’indagine sull’introspezione umana, mettendo in risalto sentimenti ed emozioni. L’argomento centrale, in gran parte della produzione cinematografica del regista, è la paternità, che gli è molto caro: Amelio infatti ha dovuto affrontare un’infanzia difficile, avendo vissuto l’abbandono da parte del padre; lui stesso inoltre ha un figlio in adozione, un ragazzo albanese conosciuto durante le riprese del film “Lamerica”.

In questa intervista, il famoso sceneggiatore ha parlato di questo e di molto altro anche con la redazione di Sciuscià, lasciandosi andare ai racconti sulla sua vita e sulla brillante carriera all’insegna della cinematografia.

Da “Colpire al cuore” fino al suo ultimo film “La tenerezza”, il rapporto tra padre e figlio è stato un tema costante in tutta la sua produzione cinematografica; come mai? 

Diciamo che le storie e i sentimenti che uno racconta, così come gli argomenti di un film o di un libro, non arrivano mai per caso. A volte non bisogna neanche andarli a cercare, perché vivono in ognuno di noi e, quando capiscono che è il momento giusto, bussano per uscir fuori e ci dicono: “Quand’è che parli di noi? Quand’è che ci racconti?”. Io ho avuto un’infanzia che non rientra proprio nella norma familiare, perché sono vissuto senza una figura paterna, che tra l’altro ho conosciuto solamente quando avevo 17 anni. Tutto questo mi ha segnato in maniera negativa. A scuola mi ripetevano che non avevo un papà, eppure sapevano che non ero orfano. Mio padre era emigrato in Argentina e aveva in qualche modo abbandonato mia madre, come era successo anche a mia nonna e a tanta gente del mio paese, che è San Pietro di Magisano, in provincia di Catanzaro. All’epoca da noi esistevano le “vedove bianche”, ovvero quelle donne rimaste sole, a casa, per occuparsi dei figli perché i loro mariti sono stati costretti, per cercare fortuna, ad allontanarsi dalla loro terra per andare dall’altra parte dell’oceano. Questa è la mia storia, ma è anche quella di tante famiglie calabresi e siciliane che hanno vissuto negli anni prima della guerra e anche nel dopoguerra. Noi eravamo un po’ come i migranti di adesso o come gli albanesi che venivano nel nostro Paese. Il tema della paternità, che ricorre spesso nei miei film, nasce come una fatalità, da un bisogno interiore: nel momento in cui una persona ha sperimentato sulla propria pelle certe esperienze, è chiaro che in qualche modo queste emergano.

“Lamerica” è la storia di un viaggio verso l’Italia: quello dei tanti albanesi che fuggono dalla povertà, ma anche quello di Michele, che cerca di tornare a casa in Sicilia. Perché nei suoi film – penso ad esempio anche a “Il ladro di bambini” – troviamo spesso dei personaggi “in cammino”? 

Perché il cammino è una ricerca che dovrebbe portarci ad una vita migliore. Da una parte anche questo tema è autobiografico, dato che anche io mi sono dovuto spostare dal mio paese per lavorare. Anche un film è un viaggio, che prende il via con delle persone dapprima sconosciute, che poi però diventano come membri di una famiglia. Raccontare una storia è come muovere i passi in un percorso che si snoda tra i nostri sentimenti. Il mestiere del regista è formato da due aspetti: da un lato si cerca di raccontare la propria esperienza e si è sempre protesi verso la ricerca di una realtà e di un futuro; dall’altra bisogna tener conto del prodotto cinematografico, che è un po’ la metafora di questa indagine.

È proprio durante le riprese di “Lamerica” che si svolgono i fatti narrati nel libro “Padre quotidiano”: per quale motivo ha deciso di raccontarli scrivendo un romanzo, piuttosto che stando dietro la macchina da presa? 

Ho realizzato “Lamerica” in un momento in cui sentivo il bisogno di raccontare come un paese, l’Albania di allora, si sforzasse il più possibile per uscire dalla condizione spaventosa nella quale si trovava. Il mio intento non era quindi quello di filmare vicende già riprese e mostrate. Successivamente ho capito che m’interessava sperimentare un’altra forma di comunicazione, ovvero la scrittura. Non è stato facile, pur essendomi cimentato durante la mia carriera nella realizzazione delle sceneggiature dei miei film; lavorare ad un testo cinematografico è diverso, perché in esso le battute possono anche trasformarsi in corso d’opera. Invece per scrivere un libro bisogna trovare le parole giuste, il tono esatto ed essere il più possibile sinceri, senza nascondersi dietro le cose. E’ stato naturale, necessario, quasi obbligatorio, utilizzare un altro mezzo per raccontare determinati momenti.

Anche se nel suo cinema prevalgono spesso l’intimità e i sentimenti, ogni suo film ha anche uno sguardo critico sulla società. Quali temi legati alla contemporaneità ha voluto mettere in luce in “La tenerezza”? 

In “La tenerezza” ho voluto dare risalto all’intimità degli uomini e a ciò che si nasconde dietro dietro ad una famiglia apparentemente felice, come l’incomprensione tra un padre e una figlia; magari ho affrontato temi meno sociali e meno politici rispetto a quelli presenti in “Ladro di bambini” o “Così ridevano”, in cui trattavo la migrazione interna in Italia. Però secondo me le storie familiari vanno raccontate, dato che il privato è anche politico. Non è che i sentimenti personali siano staccati dalla realtà e dal nostro ruolo all’interno della società: tutto è collegato e in ogni momento vissuto esplodono le nostre pulsioni, ad un certo punto. In “La tenerezza”, che è forse il film più personale che ho realizzato, da una parte racconto la mia età, perché è la prima volta che inserisco un protagonista che ha i miei stessi anni e poiché in qualche modo mi interrogo sul motivo dell’incomunicabilità tra genitori e figli; dall’altra mi soffermo su una piccola famiglia, apparentemente felicissima, che nasconde però delle nevrosi. Faccio riferimento anche a delle vicende che purtroppo ci circondano e che ogni tanto vediamo esplodere persino nella cronaca.

 Alcuni artisti che partecipano a questa edizione di Musicultura hanno espresso il loro desiderio di comporre colonne sonore per il cinema: vuole dare loro qualche consiglio su come adattare un brano ad un prodotto cinematografico? 

Io penso ad entrambi le cose, dunque alla colonna sonora e all’immagine; la maggior parte della volte però ho prima in mente la musica. Mi appassionano molto gli artisti che cantano dei loro tormenti, dei dolori e di vicende che sento a me vicine. Così nei miei film, piuttosto che inserire una musica intesa come commento di un episodio, spesso preferisco includere delle melodie che nascono da una storia ben precisa. Oppure ci sono pezzi che io amo, indipendentemente dal progetto a cui lavoro;  ad esempio “La tenerezza” non ha una colonna sonora composta da un musicista e poi applicata alle immagini, ma ha come anima una canzone greca che ho sentito quando ero ragazzino, un pezzo degli anni ’60 di cui non ho mai capito tutte le parole. Solo adesso le ho un po’ imparate, tradotte in italiano, e mi sembra che queste ben si sposino con i caratteri dei personaggi. È una musica malinconica, tenera e non drammatica; la storia invece ha degli scossoni di grande violenza. Da un lato è una colonna sonora che conduce apparentemente al sogno, dall’altro verso la realtà cruda, che ti scuote e talvolta ti uccide: questi due aspetti formano il contrasto giusto trasmettere il senso del film.