Il Festival svela le conduttrici e i primi ospiti delle serate finali allo Sferisterio

Diodato, Enzo Avitabile, Serena Brancale, Marcin, Alessandro Bianchi e Filippo Graziani sono i nomi dei primi ospiti che Musicultura annuncia in vista delle serate finali della XXXV edizione del Festival della Canzone Popolare e d’Autore. Le loro performance si intrecceranno sul palco dello Sferisterio, il 21 e 22 giugno, con le esibizioni degli otto giovani artistiche saranno proclamati vincitori del Concorso in base all’esito del vaglio, tutt’ora in corso, del Comitato Artistico di Garanzia.
La conduzione è affidata a una coppia inedita: Paola Turci e Carolina Di Domenico il cui intreccio di competenza e dinamismo, sensibilità e intensità, annuncia belle sorprese.

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Venerdì 21 giugno andranno in scena: Diodato, fresco della vittoria del suo secondo David per la miglior canzone originale con “La mia terra” e sempre più garanzia di profondità ed eleganza artistiche; la poliedrica e meritatamente lanciatissima Serena Brancale; il giovane chitarrista polacco Marcin, al debutto in Italia dopo avere già conquistato col suo formidabile approccio tecnico e stilistico il pubblico americano e quello di mezza Europa; Filippo Graziani, che con la pubblicazione di Per gli amici, album composto da otto brani inediti del padre Ivan, da lui arrangiati e interpretati, ha realizzato una delle più brillanti iniziative discografiche di questo 2024.
Sabato 22 giugno Enzo Avitabile festeggerà a Musicultura, con i Bottari e la formazione al completo, i 20 anni di Salvamm‘ o munno, il capolavoro discografico che segnò uno snodo fondamentale nel viaggio artistico dell’artista, che a ragione è considerato il re della world music made in Napoli. Alessandro Bianchi porterà in scena una nota d’intelligente ironia.

Gli artisti vincitori del concorso si esibiranno tutti e otto sia venerdì 21 che sabato 22. La somma dei voti del pubblico delle due serate consacrerà il Vincitore Assoluto della XXXV edizione, al quale andrà il Premio Banca Macerata di 20.000 euro.

“Presto comunicheremo il programma completo, qualche ospite non lo annunceremo proprio, lasceremo che sia il pubblico a scoprirlo la sera stessa vedendolo comparire sul palco – Ha commentato il direttore artistico Ezio Nannipieri – Ringrazio i finalisti in concorso e invito a seguirli con attenzione: la meritano. Qui trovano una zona cerniera dove la purezza dell’ispirazione è tutelata nel suo affacciarsi al mercato. A Musicultura storie artistiche molto diverse fra loro convivono e si confrontano in libertà, senza condizionamenti, distorsioni, pressioni. Ci piace pensare che questo sia il modo migliore per gettare i semi di futuri raccolti. Auguro a tutti questi giovani artisti di mantenersi vicini alla fiamma che oggi li spinge a scrivere e cantare canzoni e spero raggiungano forme di popolarità artistica più gratificanti di quella che offre la musica quando è ridotta a prodotto massificato.”

Intanto prende forma anche il ricco cartellone de “La Controra”, la sezione del Festival che per l’intera settimana animerà piazze e cortili del centro storico di Macerata con più appuntamenti giornalieri completamente gratuiti, tra concerti, recital, presentazioni editoriali e arti performative. Sarà il concerto di Fabio Concato il 18 giugno ad aprire l’intensa settimana de La Controra; tra gli altri nomi attesi nei luoghi più suggestivi del centro storico maceratese anche Cochi Ponzoni, Gigliola Cinquetti, Mimmo Locasciulli, Luigi Sbriccoli, Gek Tessaro e Serena Grandi.


 

Ascolta la compilation di Musicultura 2024

Le 18 canzoni finaliste a Musicultura 2024 sono ora disponibili in streaming e downloading su tutte le piattaforme.

Un viaggio nella spiccata diversità di linguaggi e poetiche dei finalisti della XXXV edizione del Festival, artisti le cui personalità differiscono nettamente l’una dall’altra ma in cui risuona una comune percezione della durezza e delle incognite dei tempi che attraversiamo.
Appaiono ideologicamente meno schierati dei loro nonni, psicologicamente più attrezzati dei loro padri, non si aspettano che qualcuno o qualcosa arrivi a tirarli fuori dalle secche. Nei brani scavano in sé alla ricerca di un fuoco, di un sentimento, di una voce che possano genuinamente connetterli agli altri e alla vita.

FALCEIn debito; Helle, Lisou; Nyco Ferrari, Sono fatto così; Sandro Barosi, Venezia di sera; Eda Marì, Tossic; Alec Temple, Cenere; PORCE, La fine della festa; De.Stradis, Quadri d’autore; Velia, Scogli; Tommi Scerd, Mela 5; Eugenio Sournia, Il Cielo; Ormai, Vivere è ok; Nico Arezzo, Nicareddu; Anna Castiglia, Ghali; DELVENTO, Inferno rosa; Bianca Frau, Va tutto bene The Snookers, Guai; Dena Barrett, Halloween.

Buon ascolto!

 

 

Non esiste un dottore in grado di curare i problemi d’amore ma esistono le poesie: Guido Catalano ospite a Musicultura 2024

Non solo musica: sul palco del Teatro Persiani di Recanati, in occasione del concerto dei finalisti della XXXV edizione di Musicultura, spazio anche ad altre forme d’arte. Ospite della serata del 26 aprile, infatti, è stato Guido Catalano, scrittore e poeta che, dopo avere letto un pezzo del suo ultimo libro, Cosa fanno le femmine in bagno, ha regalato al pubblico quattro delle sue poesie: Ti voglio bene si dice al cane, C’era una volta una storia, Teniamoci stretti che c’è vento forte, che hanno come tema centrale la fine di una storia d’amore, e Consigli, un elenco di consigli, appunto, scritto inizialmente per se stesso, pubblicato successivamente con l’idea che potesse esser d’aiuto anche per gli altri. Perché la poesia può far questo: può aiutare. Soprattutto quando, come in questo caso, elemento distintivo ne è l’ironia, che non solo diverte, ma è anche in grado di affrontare, alleggerendole un po’, tematiche particolari, alle volte estremamente personali e delicate.
Scopriamo un po’ di più, di questo e di altri argomenti, con questa intervista.

Guido Catalano al concerto dei Finalisti di Musicultura 2024

Partiamo dalla scrittura, grazie alla quale ha avuto modo di spaziare in vari ambiti, dai testi per la band di cui faceva parte da ragazzo, fino alle poesie di cui si occupa oggi. Ecco, la musica e la poesia: che legame hanno per lei queste due forme d’arte?
Per me musica e poesia hanno un legame fondamentale, tanto che ho iniziato cantando – male -, ma scrivevo i testi quantomeno. Poi a un certo punto il gruppo si è sciolto, ma ho proseguito a scrivere; piano piano, quei testi sono diventati non più testi per canzoni, ma poesie. E io ho sempre continuato a lavorare con la musica: anche quando mi esibisco, spesso lo faccio con dei musicisti o con dei cantautori; ho avuto il piacere di dividere il palco, per esempio, con Dente, Brunori, Levante e altri. Anche perché secondo me la poesia comunque ha un rapporto intimo con la canzone, nel senso che mi piace pensarla come una canzone con la musica dentro. È una questione di ritmo, anche per quello va letta ad alta voce; io leggo le poesie degli altri ad alta voce per sentire meglio. E quindi sì, per me la musica è fondamentale. In più mi ispira: alcune mie poesie sono ispirate anche a grandi canzoni dei nostri cantautori, sia quelli di una volta, sia quelli attuali.

L’amore e l’ironia sono due elementi ricorrenti nelle sue opere, non solo letterarie ma anche teatrali. Eppure, questi due temi sembrerebbero quasi contrapposti: l’amore, soprattutto se non corrisposto, può portare alla sofferenza e alla tristezza; al contrario, l’ironia porta allegria e divertimento. Come e perché si incontrano nelle sue opere?
L’ironia, secondo me, e anche il senso del comico, la comicità, sono un po’ dei doni che uno ha. Difficilmente si impara l’ironia: ce l’hai o non ce l’hai. Ho iniziato tanti anni fa a scrivere poesie d’amore, quando ero molto triste perché le cose non funzionavano, e mi hanno aiutato a esorcizzare la tristezza, quindi secondo me si può e si deve, alle volte, parlare di argomenti tristi tentando di scherzarci. E tutto mi è venuto naturale; non è successo a tavolino che mi sono detto, a un certo punto: “Questa cosa funziona, non potrei farne a meno”. Tra l’altro, le persone ironiche o le persone che hanno senso dell’umorismo sono le persone che mi piacciono di più. Una persona senza il senso dell’umorismo mi annoia dopo un po’.

Restiamo in ambito di amori non corrisposti. Dando consigli su questi ultimi, sui social è conosciuto anche come “dottore del cuore”. Nel corso della sua vita, le è capitato di trovarsi in situazioni simili a quelle vissute dalle persone che la ascoltano? Pensa che i social possano aiutare anche a condividere tematiche tanto delicate e personali come la malinconia e lo sconforto che scaturiscono da un amore non corrisposto?
I social possono essere molto utili, sono un mezzo importante. A me hanno cambiato la vita, tanti anni fa, dandomi la possibilità di scrivere le mie cose e farle conoscere a un grande pubblico. Poi, ovvio, bisogna stare attenti a non limitarsi solo a loro: è importante vedersi dal vivo, altrimenti è la fine. È la fine dell’umanità, fondamentalmente. Io ho fatto delle rubriche, ho addirittura dei podcast in cui fingevo, appunto, di essere un dottore del cuore, perché non credo che possa esistere realmente una persona che risolva i problemi di cuore se non parlando delle proprie esperienze, e quindi sì, lo faccio spesso con la poesia. E sì, l’ho fatto anche giocando con un podcast, l’ho fatto addirittura sul giornale, però sempre in maniera ironica, quindi non prendendomi troppo sul serio, pur facendo le cose sul serio.

Guido Catalano

Nell’immaginario collettivo, i giovani non si interessano di poesia, ma una buona parte del pubblico che segue i suoi spettacoli, legge le sue opere, è fatta proprio di giovani. Qual è il suo segreto per avvicinarli a questa forma d’arte?
In realtà, appunto, la mia percezione è che i giovani amino la poesia e quindi sono ottimista. Soprattutto in questi ultimi anni, la poesia ha avuto una rinascita; secondo me è diventata più pop. In generale, comunque, credo che l’amore per questa forma d’arte dovrebbe partire dalla scuola e dalla famiglia. Io sono stato fortunato, perché avevo dei genitori che leggevano molto, sia poesia che romanzi. E leggere è proprio quello che auguro ai giovani, perché è come augurare a una persona di fare sport: è fondamentale fare sport perché altrimenti il corpo decade; è fondamentale leggere perché altrimenti il cervello decade.

Stasera ci ha regalato in anteprima la lettura di un brano del suo prossimo libro, che uscirà a breve: Cosa fanno le femmine in bagno. Il tema centrale è la scoperta del mondo femminile da parte del genere maschile. Come mai ha scelto questo titolo e questo argomento?
Il titolo mi è venuto in mente mentre ero Salone del Libro, dove c’è tanta gente ma ci sono pochi bagni. Tipicamente la coda, però, dove la vediamo? Davanti al bagno delle donne. Perché hanno più cose da fare probabilmente. Da lì mi è venuta proprio la domanda: “Ma cosa fanno le femmine in bagno?”. E poi è nato il libro, che chiaramente non è un saggio che spiega cosa fanno le femmine in bagno, non mi permetterei mai; la narrazione prende piede da quella stessa domanda, ma a porla in questo caso è un bambino – quindi non un adulto al Salone del Libro – che a scuola vede due bambine uscire dal bagno delle femmine, ridendo, tenendosi a braccetto, guardandolo e ridendo, ridendo e guardandolo. Così, essendo lui un bambino, ed essendo quindi una persona curiosa, nasce questa domanda che appunto ha a che fare con la scoperta di un mondo diverso ma molto simile al suo: quello femminile.


 

Speranza, bellezza, umanità: Simona Molinari ospite a Musicultura in ricordo di Mercedes Sosa

Nata a Napoli ma cresciuta a L’Aquila, dove si è diplomata al conservatorio, Simona Molinari è una cantautrice pop-jazz dal percorso artistico brillante. Il fil rouge di una carriera ricca di esperienze – che la vede pubblicare sette dischi, partecipare due volte a Sanremo e ottenere numerosissimi premi e riconoscimenti – non è il mito del successo, né la smania di vendere il più possibile; perché non è importante quanto, ma come. Così la sua attenzione è sempre rivolta alle emozioni e al sentire profondo; il suo obiettivo è prendere per mano chi la ascolta e portarlo «un pochino più in alto», sopra le dinamiche di una società ostica e complicata, regalandogli la speranza, e forse la convinzione, di quanta bellezza sia possibile nel mondo. Tutto questo è alla base del suo ultimo progetto, HASTA SIEMPRE MERCEDES, in cui si propone di portare avanti il messaggio di pace di Mercedes Sosa, attivista argentina che con la sua voce ha lottato con forza in difesa dei diritti civili. Ospite al teatro Persiani di Recanati, in occasione del concerto dei finalisti di Musicultura, propone una selezione proprio dei brani di questo disco, Gracias a la vida e Solo le pido a dios, a cui aggiunge un grande classico della musica napoletana, Caruso, che Mercedes stessa amava cantare. Infine, un dono ancora più personale: il brano inedito Nu fil ‘ e voce. Un filo di voce, appunto. Lo stesso con cui spiega alla  redazione di Sciuscià quanta umanità ci sia nell’arte, quella vera.

Il panorama musicale odierno sembra minato da una sfrenata volontà di ottenere il maggior numero di stream. Nel tuo caso, invece, assistiamo a una carriera all’insegna della ricerca e della qualità, in cui sei rimasta fedele a un genere che oggi non è considerato tra i più fruibili e che si muove lontano dalle logiche consumistiche: il jazz. Cosa pensi del modo in cui oggi viene valutata e consumata la musica?

Trovo che attualmente ci sia una sorta di dittatura dei numeri che ti spinge a produrre sempre di più per dinamiche legate agli algoritmi e al consumo; è inevitabile che, a un certo punto, questo meccanismo ti allontani da chi sei sia musicalmente che come persona, ti allontani dalla tua stessa umanità. Credo che ci siano tre modi di fare arte: per business e intrattenimento; per raccontare la realtà, in modo che a posteriori si possa rivivere il momento in cui una canzone è stata scritta; infine, c’è il modo per cui tenti di portare lo spettatore un pochino più in alto, cercando di nutrirlo di fiducia, di speranza e di passione, delle cose che ti tengono in vita e che ti fanno alzare dal letto la mattina. Ecco, io voglio essere divulgatrice proprio di questo modo di fare musica. Spesso si pensa che chi suona o canta debba necessariamente parlare delle brutture del mondo, ma non è così. Piuttosto si può – ed è quello che cerco di fare – immaginare e narrare di come il mondo potrebbe essere, per trasmettere a chi ti ascolta la speranza che qualcosa di bello può accadere.

Musica e non solo: oltre a 7 dischi pubblicati, la tua carriera si nutre anche di molteplici esperienze nel mondo del teatro e della recitazione. Quali sono i punti di contatto tra queste due forme d’arte nella tua vita?

Sono due canali che si sposano benissimo.  Inizialmente i miei modelli – o meglio, le figure che vedevo in tv – erano artiste molto brave tecnicamente e in grado di gestire gli strumenti al massimo, donne perfette sia a livello musicale che estetico. Quando ho iniziato a fare teatro da ragazza – da sempre legandolo alla musica – ho capito che attraverso il canto potevo raccontare e dire delle cose che ritenevo importanti, utilizzando la voce come uno strumento per comunicare e non solo per trasmettere un suono. Il teatro, dunque, è stato in grado di regalarmi una visione completamente diversa della musica stessa, grazie alla quale ho iniziato a scrivere. Oggi esistono tantissime donne che suonano e scrivono in maniera profonda e impegnata, che sono molto più di una bella voce e un bel vestito: è un grandissimo orgoglio.

Il tuo ultimo lavoro è un album dal titolo HASTA SIEMPRE MERCEDES, dedicato alla cantante e attivista argentina Mercedes Sosa, figura di riferimento nel suo paese e simbolo della lotta per la pace e per i diritti civili. Come nasce l’idea di questo progetto? Qual è il messaggio di Mercedes che vuoi trasmettere con la tua voce che, in particolare, ritieni importante oggi?

In tutta la musica di Mercedes c’è sempre un richiamo fortissimo all’umanità. Credo che i suoi messaggi siano importantissimi, oggi in generale, in quanto veicolo ed espressione della bellezza, in risposta a tutte le ingiustizie e le prevaricazioni che vengono portante avanti dagli uomini.

Rimaniamo su questo disco. Inizialmente HASTA SIEMPRE MERCEDES non ha visto la sua pubblicazione in digitale: è una scelta che sicuramente colpisce. Che motivazione c’è dietro?

A mio avviso, il fatto di convertire la musica in file sporca un po’ il senso della musica stessa. Se fatta con amore e passione, ogni canzone è un’opera d’arte; relegare il mio lavoro in una dimensione digitale mi sembrava come togliere il valore a qualcosa che secondo me ce l’ha, o almeno che ho fatto pensando di metterci dentro un valore. È esattamente come se si potesse mettere un quadro in un click; non lo trovo giusto.

Che consiglio daresti ai giovani, magari ai finalisti di Musicultura, che vogliono intraprendere la strada della musica per rimanere fedeli a se stessi e non lasciarsi snaturare dalle dinamiche del mercato discografico?

Innanzitutto, credo sia importantissimo custodire le ragioni che porti – e che ti portano – sul palco: è ciò che arriva al pubblico in platea ancora prima di quello che dici, di quello che fai e del tuo modo di cantare. Quando fai musica, a un certo punto, arrivano l’ego, il narcisismo, la voglia di essere popolare o di fare business; di fronte a tutto questo bisogna proteggere e salvaguardare con cura le proprie motivazioni profonde e ciò che ci muove dall’interno. Oggi viviamo in una società liquida, in cui tutto sembra scorrere e impossibile da poter trattenere. Secondo me, però, le cose che hanno un messaggio vero e sincero resistono nel tempo e bisogna lottare per tenere vivo il loro valore: è così che si resta se stessi.


 

Un mare di musica e poesia a Recanati per Musicultura

Concerto dei Finalisti 2024, secondo tempo. Ancora una volta è Recanati a fare da cornice allo spettacolo: un borgo in cui la poesia e la musica sono nell’aria, tanto che qui in passato un noto poeta è riuscito a scorgere l’azzurro fra le colline e l’infinito oltre la siepe. E allora il naufragar ci è dolce, anche questa sera, in un mare di suoni e parole, traghettati dal nostro conduttore di fiducia John Vignola fra le poltroncine rosse del Teatro Persiani. Per chi invece naviga fra frequenze radio, niente paura: ci sono Marcella Sullo e Duccio Pasqua che commentano la serata in diretta su Rai Radio 1, partner radio del Festival.

In effetti, le esibizioni si aprono proprio in tema marittimo con il brano Scogli. A suonarlo sono i Velia, un duo romano che trae il suo nome d’arte da un immaginario acquatico e antico. Dopo l’esibizione, Irene e Matteo raccontano al pubblico dell’alchimia professionale e artistica che è nata tra loro spontaneamente quando si sono accorti di avere un modo di scrivere molto simile. «Quando pensiamo alla musica rappresentata dal vivo c’è un insieme visivo e coreografico, oltre che musicale», spiegano. Il Concerto prosegue sulle note dolci di Nicareddu, la litania malinconica in dialetto siciliano con cui Nico Arezzo ci culla verso mondi lontani. «Una canzone è pronta quando ti dà quella botta alla pancia e potresti riascoltarla all’infinito», afferma il cantautore in risposta alla domanda di John Vignola. Quanto alla scrittura nella sua lingua, dice di non averci mai provato finché un giorno non si è reso conto che «tornare al punto di partenza è importantissimo» per capire in quale direzione proseguire. È allora che il senso di appartenenza e il richiamo delle proprie origini sono stati per lui il trampolino di lancio per una nuova sintesi musicale tra Modica e Bologna. La terza finalista è Anna Castiglia, con la sua Ghali. Accompagnata da tromba e tastiera e armata di chitarra, ironia e precisione vocale, la cantautrice catanese dimostra di riuscire a spaziare con grande eclettismo tra il cantautorato, il Libertango e la trap. Ormai, infatti, il suo cavallo di battaglia la precede: lo conferma il fatto che il pubblico intona già il ritornello a memoria battendo le mani a tempo. Ai conduttori rivela che il frequente ricorso alla citazione e l’abitudine di “frullare” elementi diversi nelle canzoni risentono della lezione di cantautori romani come Daniele Silvestri.

Per tornare alla poesia, questa sera Musicultura non poteva che rendere omaggio al lirismo di questa città con un ospite che di mestiere fa il “poeta professionista”: Guido Catalano. Lo scrittore presenta in anteprima al pubblico recanatese un assaggio del suo prossimo libro in uscita, Cosa fanno le femmine in bagno. Si tratta di una raccolta di versi liberi, ironici e “tristallegri”, con cui invita a osservare il mondo con lo stupore e la curiosità di un bambino. Infatti, tutto nasce dalla domanda di un ragazzino timido degli anni ‘70 che, vedendo uscire dal bagno della scuola due compagne di classe ridacchiando, comincia a riflettere sulla vita e sull’amore.


Ma prima di procedere con la poesia, ancora un po’ di musica. È la volta di Sandro Barosi, cremonese di origine e veneziano d’adozione, che ci porta a ballare tra i colori e le luci di Venezia di sera. «Si scrivono canzoni sui luoghi quando le persone con cui li si condividono li animano: questa canzone è dedicata non tanto alla città di Venezia, quanto alla persona con cui l’ho condivisa e vissuta di sera», commenta dopo l’esibizione. Ci spostiamo poi nella scena all’underground torinese, passando dal registro intimo e sussurrato del cantautorato a quello più energico e concitato del rap, con FALCE. In debito è il titolo della sua canzone. Qui, tra una barra e l’altra, fa cenno anche al collettivo North Flow, di cui è fondatore e che porta avanti parallelamente al suo progetto solista. Dopo l’esibizione, infatti, dice qualcosa di più sulla grande sinergia con cui la sua crew lavora ai mixtape. È la volta di Lisa Brunetti, in arte Helle. La sua Lisou è una canzone d’amore dalle sonorità pop-folk accompagnata da chitarra classica e da una base registrata di violino. Per spiegare al pubblico il suo rapporto con la scrittura, la cantautrice bolognese rivela che comincia tutto con un’immagine: «ci sono alcune immagini che suggeriscono una musica». E ancora, dice che per lei c’è sempre un po’ di musica nella poesia e viceversa: queste due arti sono intimamente legate e solo unendole riesce a raggiungere una visione più intima. Il concerto prosegue con PORCE, milanese di Carugate, classe 1974. Dopo aver lavorato per anni come tecnico informatico, per lui la pandemia è stata un’occasione per sperimentare, riscoprirsi e intraprendere una nuova vita, questa volta da musicista. Il primo capitolo è proprio il Concerto dei Finalisti di Musicultura, dove si racconta in maniera sincera con il brano autobiografico La fine della festa.

È finalmente arrivato l’atteso momento dei versi di Guido Catalano. Con la lettura di alcune poesie dedicate alla fine dei rapporti d’amore, che definisce spiritosamente “PFR”, lo scrittore strappa agli spettatori in sala risate e momenti di riflessione. Titoli come Ti voglio bene si dice al cane o Teniamoci stretti, che c’è vento forte sono infatti un viaggio dolce amaro dello spirito, nel suo duplice significato di anima e umorismo. È proprio questo il senso del suo ricettario lirico di Consigli, con cui invita il pubblico a fare spazio nella propria vita a bellezza, ascolto e ironia. «Penso che la poesia e la canzone siano cugine: il testo di una canzone ha bisogno della musica, la poesia no, ma si stanno simpatiche», afferma prima di lasciare il palco.

Direttamente da Livorno arriva poi a Musicultura Eugenio Sournia, che ci regala un «piccolo intermezzo di realtà» con Il cielo. Dopo l’esibizione, rivela di voler fare musica in «assenza di filtri» e alterando il meno possibile la grande forza e sincerità racchiuse nella prima stesura delle canzoni: «per me quello che conta di un brano è che arrivi l’idea originaria». Quadri d’autore è il titolo del brano dell’ultimo finalista. Si chiama De.Stradis ed è diviso tra la Puglia e Bologna. Infatti, questo dualismo si riflette nella sua musica, che procede sui due binari paralleli del progetto solista e di quello con i Westfalia. Al pubblico spiega che per lui una canzone è pronta per circolare quando la melodia si presenta come decisa, granitica, e ha presa sull’orecchio di chi ascolta.

La serata si chiude con un ultimo saluto dei 9 finalisti di oggi, che salgono sul palco sulle note de I cieli di Chagall – brano del fondatore del Festival, Piero Cesanelli – accolti da uno scrosciare di applausi. Prossimo appuntamento? Il 5 giugno agli studi Rai di Via Asiago con lo Speciale Musicultura nell’ambito del quale scopriremo chi sono gli otto vincitori di questa XXXV edizione del concorso.


 

Una performance dopo l’altra, il racconto della prima serata del concerto dei finalisti di Musicultura 2024

Che edizione di Musicultura sarebbe senza fare tappa al Teatro Persiani di Recanati? Ed eccoci qua, nella città di Giacomo Leopardi, con la prima delle due serate live dedicate al concerto dei finalisti del Festival. Sul palco, nove dei diciotto artisti selezionati per questa fase del concorso; ad accompagnarli, e a fare gli onori di casa, John Vignola, alla conduzione della serata insieme a Marcella Sullo e Duccio Pasqua, che con le loro voci traghettano la diretta dell’evento sulle frequenze di Rai Radio 1.

Simona Molinari

La prima a calcare il palco è un’ospite speciale, Simona Molinari, un’artista – parola di Vignola – “che ha curiosità e cambiamento nel suo orizzonte” e che propone al pubblico il racconto di una donna argentina che ha attraversato la musica con la sua personalità: Mercedes Sosa, alla quale ha dedicato il suo ultimo lavoro, Hasta siempre Mercedes. Così, sulle note di Gracias a la vida, lo spettacolo prende il via.

Tra i finalisti, ad aprire la serata spetta a Nyco Ferrari con Sono fatto così. Con il suo sound indie-pop ricorda al pubblico quanto la musica sia parte di lui e quanto lo siano i vari posti del mondo che ha visitato. Come New York, città che con le sue iniziali, NY, è addirittura parte integrante del suo nome d’arte. Va tutto bene è invece il brano proposto da Bianca Frau. Torna di nuovo il tema del viaggio: gli studi in jazz al conservatorio le permettono di spostarsi molto, ma è una città in particolare a segnare la carriera di quest’artista sarda, Bruxelles, risultata fondamentale per sperimentare e seguire il suo animo un po’ più pop. Tocca poi a Ormai con Vivere è ok. “Credo che un brano sia terminato solo quando lo si esegue per la prima volta dal vivo – rivela durante l’intervista dopo la sua esibizione – perché c’è quantomeno una relazione diretta con lo sguardo del pubblico”. Pubblico al quale intende arrivare, dichiara, cercando di portare avanti il cantautorato con tutti i suoi mezzi, le sue capacità e le due potenzialità.

“Io e il mio producer ci guardiamo, sorridiamo e sappiamo che c’è”: è questo il modo in cui, invece, Alec Temple capisce che un suo brano è finito; è questo il modo in cui immaginiamo sia stato terminato Cenere, il pezzo in concorso al Festival, in cui l’artista cremonese racconta del dolore vissuto da una sua amica. Due diverse forme d’arte si fondono poi nell’esibizione di Eda Marì; le parole della sua canzone Tossic, infatti, sono accompagnate dai passi di ballo di sua sorella: “Musica e danza fanno parte di me allo stesso modo”, afferma, e condividere così il palco con mia sorella “mi carica e mi dà tanta forza”. “Ho trovato un po’ di libertà nel mio nome d’arte, il vento mi infonde il senso di libertà che cerco ogni giorno. Quel senso di libertà la cui più grande espressione, per me, è la poesia”: si presenta così DELVENTO, artista di Messina che propone al pubblico recanatese e a quello di Rai Radio 1 la sua Inferno Rosa.

È poi la volta di una band, i Dena Barrett. Il pezzo con cui si sono aggiudicati un posto tra i finalisti di Musicultura è Halloween e, come gli altri brani del gruppo, è frutto di un lavoro in cui il tutto, per fare appello alla Gestalt, è più della somma delle parti: “Veniamo – spiegano – da contesti musicali diversi e questo significa avere ognuno qualcosa in più da inserire nel progetto”. Ed è di nuovo tempo d’ospite speciale. Simona Molinari torna sul palco e si esibisce in altri brani tratti dal suo ultimo progetto, che spiega essere un dialogo visionario tra Maradona e Mercedes Sosa. Interpreta, così, Nu fil’ e voce, Solo le pido a dios e Caruso.

E ora? Ora sono Guai – questo il titolo della loro canzone – con i The Snookers, duo i cui componenti si sono conosciuti al liceo. Dai banchi di scuola a oggi – spiegano – è stata chimica. E questa chimica, nel tempo, si è alimentata anche di ascolti “diversi e simili abbastanza vari”. A chiudere la serata è Tommi Scerd, autore di Mela 5, artista bresciano, genovese d’adozione e nomade per destinazione. “Quando mi accorgo che una canzone è finita e posso condividerla? Quando me lo fanno notare”, afferma con molta sincerità e strappando molti sorrisi in sala. Quegli stessi sorrisi con cui la serata si conclude. Prossimo appuntamento? Ci ritroviamo domani per conoscere gli altri nove finalisti di Musicultura 2024 e i loro brani.


 

A tu per tu con DELVENTO e il suo “Inferno rosa”

Carmelo Genovese, in arte DELVENTO, torna a Musicultura dopo quattro anni con una consapevolezza diversa. Volgendo gli occhi all’esperienza fatta all’epoca, si vede “non troppo deciso e artisticamente acerbo”, soprattutto a confronto col suo primo palco importante. Ora, invece, col suo Inferno Rosa è tra i 18 finalisti del Festival, spinto da un uragano che è la libertà di perseguire i propri obiettivi e dalla bellezza della poesia,  punto di partenza delle sue canzoni, come ci racconta in quest’intervista rilasciata alla redazione “Sciuscià”.

Il palco delle Audizioni di Musicultura non ti è nuovo, avendo tu già partecipato nel 2020. Come è stato tornare e perché hai deciso di farlo?

Tornare sul palco di Musicultura è stato emozionante, ho avuto l’opportunità di mettermi ancora alla prova. Ho deciso di tornare perché penso che Musicultura sia una tappa fondamentale del cammino del cantautore in Italia; per crescere artisticamente è tappa obbligatoria, lo dico anche pensando al me del 2020, quel me cantautore ancora non troppo deciso e artisticamente acerbo ritrovatosi sul suo primo palco importante. Adesso ci sono di nuovo e non vedo l’ora di rimettermi in gioco e continuare a imparare.

Proprio alle Audizioni, hai aperto la tua esibizione con Tetto del mondo, brano che, a mio avviso, ci ha catapultati appunto all’interno del tuo mondo. Su Instagram, poi, nella tua biografia parli di “tutto il vento che vuoi”. Ecco, quanto di quel vento c’è sul Tetto del mondo?

Sul tetto del mondo c’è un uragano, e quell’uragano si chiama libertà. Io amo il concetto di “libertà”; cercare di elaborarlo è un esercizio per la mente critica, fantasticarci su è un esercizio per la mente emotiva; le sue infinite vie colorate, i suoi lati oscuri e la sua natura contraddittoria la rendono una grande fonte di ispirazione. Conciliare essere umano e libertà è la sfida originale; io in Tetto del Mondo parlo della libertà identificandola nel perseguimento degli obiettivi; quindi, “Stare sul tetto del Mondo” per me è il percorso, non la vetta; un percorso di vento, fatto di uragani e sogni, di vita vera ed emozioni fortissime, di enormi sofferenze, ma anche di grandi conquiste. Quanto siamo disposti a sacrificare per vivere liberi?

Ancora a proposito di biografia: leggiamo che hai iniziato la tua carriera partecipando a reading poetici. Quest’altra forma d’arte, la poesia, ti ha aiutato nella scrittura delle canzoni? Se sì, in che maniera?

Tutte le mie canzoni partono da una poesia. Per me la poesia è amore profondo: quando ne leggo o ne scrivo una, sprofondo in uno stato emozionale che ancora non riesco bene a descrivere: sembra di provare tutto, dalle emozioni più oscure a quelle più calorose e avvolgenti. Non so esattamente come la poesia aiuti la scrittura delle mie canzoni, però so che le canzoni sono emozione. Se in una canzone non c’è una chiara e forte emozione a far da collante alla musica e al testo, è meglio cestinarla e scriverla di nuovo.

Passiamo invece a Inferno rosa, brano selezionato da Musicultura per il tuo ingresso nella rosa dei 18 finalisti. Parlando di inferno, il primo colore a cui verrebbe da pensare è un rosso scuro, a definizione di un ambiente tetro, e invece tu lo hai descritto come rosa, facendo del titolo del pezzo quasi un ossimoro.  Come mai questa scelta?

Secondo me ognuno di noi vive il proprio inferno; per scrivere questa canzone mi sono distrutto emotivamente e poeticamente, l’ho cestinata e ricestinata, ho visto la protagonista nascere parola per parola e me ne sono innamorato. E ho pianto perché più la storia andava avanti più capivo che per lei non avrei mai potuto fare nulla se non attenuare un po’ il rosso del suo inferno con la dolcezza e la morbidezza del bianco, trasformandolo così in rosa.

Hai appena concluso il tuo Carmelo Tour: come hai vissuto quest’esperienza? Hai altri progetti in cantiere per il prossimo futuro? 

Stare in tour è mistico, è un mondo a sé; ha il suo codice, i suoi climax ed è la parte più bella del lavoro. Ho fatto un bel su e giù da settembre, con quasi 30 date in Italia tra piccoli club di periferia, teatri e club importanti del circuito, un po’ in band, un po’ da solo chitarra e loop; in tutti questi posti ci ho lasciato un pezzetto di cuore. Per quanto riguarda il futuro, al momento sono molto concentrato sul fare bene a Musicultura; seguiranno la release di Inferno rosa su tutte le piattaforme, a fine aprile, e nei mesi estivi altri singoli supportati da concerti.


 

Musicultura 2024: con “Halloween”, l’elogio all’imperfezione dei Dena Barrett

Un nome (e un cognome) che ne racchiude quattro: i Dena Barrett sono Tommaso, Elia, Michel e Marco, quattro ragazzi di Viareggio, figli degli anni ’90, uniti dalla passione per la musica e dall’esigenza di far sentire la propria voce. Così nasce la loro band che – muovendosi tra sonorità dark pop e indie rock, arricchite da echi cantautoriali – dimostra di avere tanto da dire già nel suo disco d’esordio, Immobili a ballare, espressione delle dinamiche di una generazione che non può, e non vuole, più stare in silenzio: precarietà e vita di provincia, senso di oppressione e di inadeguatezza, lavoro e alienazione, aspettative e tempistiche da rispettare sono solo alcuni dei temi di cui si fa portavoce questo progetto. Si aggiudicano un posto tra i finalisti di Musicultura con la loro Halloween; a spaventare, però, non sono i travestimenti horror – no, neanche quelli da fantasmi di Ghostbusters (da cui il nome della band) – ma una società che sembra pretendere sempre di più, schiacciando qualsiasi libertà. Come spiegano alla redazione di “Sciuscià”, la loro risposta è un elogio all’errore e all’imperfezione. In un mondo che si muove sempre più veloce, la loro protesta è quella di permettersi di restare fermi; e, infatti, alle feste non ballano.

Per cominciare, parliamo della vostra storia. Come nascono i Dena Barrett e come siete riusciti a conciliare le vostre precedenti esperienze artistiche personali, soprattutto in un anno difficile come il 2020?

Nonostante tutto quello che stava accadendo nel mondo, per noi è stato facile iniziare a scrivere musica insieme: i nostri percorsi precedenti con altre band ci hanno portato a frequentare gli stessi ambienti della realtà viareggina, quindi ci conoscevamo già tutti e quattro; ci piaceva quello che facevamo divisi e così abbiamo deciso di unirci. Il fatto di aver avuto esperienze diverse ci ha dato molti spunti creativi e allo stesso tempo ci ha spinti a ricercare un sound e una poetica che fosse più nostra e identitaria possibile: speriamo di esserci riusciti.

Immobili a ballare è il vostro disco di esordio. Il titolo è un ossimoro che sembra voler sintetizzare la difficoltà-necessità di esprimersi e il senso di inadeguatezza che fa da sfondo a tutti i nove brani. È così? Ci parlate di questo album?

È proprio così. Con questi nove brani abbiamo voluto raccontare il nostro punto di vista: quello di quattro ragazzi figli degli anni ’90 un po’ incazzati e un po’ disillusi; quelli della generazione che, citando Alberto Ravasio, da bambini ci hanno ingrassati di desideri. E quando poi siamo cresciuti, c’hanno detto che erano finiti i soldi”. Per questo, sentirsi inadeguati in questo tipo di società, forse, è una naturale conseguenza. In questo disco ci sono le dinamiche umane che ci fanno scervellare quotidianamente, dal rapporto con l’altro alla condizione di individui che cercano un loro posto nel mondo, lavorativo o esistenziale che sia. Canzoni che sono piccole cose nostre ma, forse, anche di altre persone.

“Nascendo in provincia si vive con un elastico legato al cuore, più provi ad andare lontano e più ti tiene qui”, si legge nel testo di Clara. La provincia, dunque, è un punto di partenza da tenere saldo o qualcosa da cui evadere?

Questa è una domanda che ci coinvolge molto. Probabilmente per chi nasce e cresce in provincia arriva sempre un momento in cui ti chiedi: “Ma io voglio vivere tutta la vita qui?”. A noi è successo e chissà, magari succederà di nuovo. Io (Tommaso) ed Elia (chitarrista) ci siamo trasferiti per un anno rispettivamente a Torino e a Milano; come diciamo dalle nostre parti, ci siamo rigirati presto. Vuoi per un motivo, vuoi per un altro, ma ad incedere è stata anche la nostalgia, è stato quell’elastico di cui parliamo che in qualche modo ti porta a tornare al punto di partenza. Vivere in provincia è quella cosa che ti fa sentire un po’ indietro rispetto a quelli che vivono in città -forse questo è un dato di fatto abbastanza scontato- e, per recuperare questo gap, la soluzione più naturale sembrerebbe quella di andarsene. A noi è servito a poco, ma invidiamo molto chi ci riesce.

Il brano selezionato per il Concerto dei finalisti, Halloween, esprime il disagio di una generazione rinchiusa in vincoli e sovrastrutture sociali, alla ricerca di un “elemento anarchico” per liberarsene. Credete di poterlo trovare qui a Musicultura? Cosa vi aspettate da questa esperienza?

Il fatto che Musicultura sia un festival che difende e porta (in) avanti la musica d’autore -ascoltando ciò che arriva dall’industria musicale mainstream- forse rappresenta già di per sé un elemento anarchico. Essere arrivati fino a qui per noi è bellissimo. Abbiamo tante cose da dire e poterlo fare in un contesto del genere è molto importante e gratificante.

“In ritardo da sempre per sentirsi vivi/col rischio di arrivare sempre ultimo, ma a me piace restare e sentirmi l’ultimo” è una affermazione, contenuta proprio in Halloween, che mi ha colpito; cosa volete dire? Forse che il percorso è più importante dell’arrivo?

Per noi quella frase è un elogio all’imperfezione. In un sistema che ci vuole sempre performanti, sempre al passo con i trend del momento, produttivi e consumatori, in cui si dedicano sempre più articoli a persone – solitamente privilegiate – che raggiungono obiettivi impossibili per i più, generando in questi ultimi maggiore ansia, crediamo che essere sbagliati sia anche un piccolo atto di resistenza e un motivo d’orgoglio. Quindi, volevamo dire che sentirsi inadeguati, a volte, ci fa anche piacere.


 

“Vivere è ok” e Ormai è a Musicultura

Il crollo e il disastro che lasciano spazio a sogni, idee e desideri; gli esordi con una band sperimentale; la vita tra euforia e baratro; il desiderio di lasciare un’impronta e un nome d’arte che se ne fa testimone. E ovviamente lei, la musica. C’è tutto questo nell’intervista che Ormai, tra i 18 finalisti di Musicultura con il brano Vivere è ok, ha rilasciato alla redazione Sciuscià.

La tua carriera artistica prende il via da unesperienza in un gruppo, per poi passare al progetto solista. Esser parte di una band ti ha fornito gli strumenti necessari per iniziare il tuo percorso da solista o senti di aver ricominciato tutto da capo?

Inquietude, la band in questione, è stata singolarmente l’esperienza formativa più importante del mio percorso, se la sommi alle esperienze autorali. Basta pensare che in tre, su quattro che eravamo nel gruppo, siamo sul palco di Musicultura. Quando abbiamo iniziato non pensavamo ci saremmo scambiati così tanto: molto di quello che ora sappiamo sulla musica nasce dalle ore divise insieme.

“E dico frasi assurde come Vivere è ok“: questo è un estratto di Vivere è ok, brano selezionato per il concerto dei finalisti di Musicultura. Cosa porta a pensare che vivere è okay” sia così assurdo e cosa, invece, può condurre lontano da questa assurdità?

“Vivere è ok” è una assurdità perché oscilliamo tra l’euforia e il baratro. Vivere per me è sempre stato un disastro perfetto, allo stesso modo in cui le stelle vincono sulla notte ma quest’ultima rimane fondamentalmente oscura. Ho perso moltissime persone e ne ho trovate altrettante, con la facilità con cui sono uscito da dipendenze mi sono tuffato dentro altre. Non so come si esca dall’assurdo e dal paradosso di malsopportare la vita e poi restare stupefatti di fronte a un tramonto qualunque. Forse è un assurdo che mi piace.

In diverse occasioni hai dichiarato di sentirti tormentato dall’idea di essere costantemente in ritardo e non al passo con i tempi che corrono. Deriva da questa sensazione il tuo nome d’arte, Ormai? Raccontaci della sua genesi. 

Non sono fatto per quest’epoca musicale. Questo è evidente. Penso però che, in ritardo o in anticipo, sia giusto fare le cose in modo puro, anche se nel processo ci fa sentire inadeguati o imperfetti. Penso sia parte dell’esperienza di essere artisti. Il mio nome d’arte arriva da “orma” perché volevo, come si fa da adolescenti, lasciare un’impronta, una scritta sul muro. È diventato “Ormai” perché ero parecchio disperso all’epoca.

Stai lavorando al tuo primo album, riguardo al quale dichiari di avere una missione ben precisa: parlare a chi soffre di esperienze simili alla tua, trovare una nota positiva, la scintilla da cui ripartire. Qual è, o qual è stata, per te quella scintilla?

Senz’altro la scintilla è il rapporto con gli altri, sentire di dedicarsi a qualcuno e viceversa. Forse tempo fa avrei detto che era la musica, ma purtroppo la musica non può salvare nessuno, amarsi e amare invece sì.

Hai collaborato con Clementino, Rosa Chemical, Nayt, Fabri Fibra, Giorgia; immagino che queste esperienze abbiano arricchito molto il tuo percorso artistico. In che maniera ti aspetti che quest’ultimo venga ulteriormente impreziosito dal confronto con gli altri finalisti di Musicultura e col palco del Festival?

Intanto ascoltando gli altri partecipanti sto scoprendo brani bellissimi. Spero di legare con chi ha missioni simili alla mia. Ogni artista con cui ho lavorato mi ha dato qualche frammento di esistenza su cui arrovellarmi. A pensarci bene, ha fatto lo stesso ogni persona in generale con cui ero pronto ad ascoltare. Penso ci sia margine per crescere parecchio.


 

“Scogli”. Perché senza il mare i Velia non sarebbero quelli che sono

Irene e Matteo si sono conosciuti alle audizioni per entrare all’Officina Pasolini.  Dopo un’iniziale collaborazione per la produzione di testi, hanno deciso di iniziare a fare musica insieme. La loro intesa, ben evidente sul palco, passa anche per il legame con il mare, il cui richiamo è presente nel titolo e nel testo di Scogli, brano col quale sono in concorso a Musicultura. Il tema centrale del pezzo è la capacità che ha appunto il mare di custodire i ricordi e i segreti che le persone si portano dentro. E qualcuno di questi ricordi e di questi segreti attraversa anche questa intervista. 

Velia, ovvero Irene e Matteo: due giovani cantautori, una sola creatura musicale. Il classico caso in cui il tutto è più della somma delle singole parti. Come vi siete conosciuti e com’è nato questo sodalizio artistico?

Ci siamo conosciuti all’Officina Pasolini, un laboratorio di alta formazione musicale di Roma. Ci siamo presentati singolarmente alle audizioni per entrare nella nuova classe con due progetti individuali, separati. Il sodalizio artistico è nato per necessità: entrambi avevamo bisogno di un aiuto per le produzioni e per i testi. Iniziando a collaborare abbiamo anche iniziato a suonare insieme, e sono state le persone che venivano ad ascoltarci a farci rendere conto che il modo in cui cantavamo e ci accompagnavamo non era da progetti singoli, ma era da gruppo. È stato un processo naturale, dovuto anche al fatto che ci sono state sin da subito una specie di colpo di fulmine artistico da parte di entrambi, profonda stima e voglia di imparare dal modo di fare musica l’una dall’altro.

L’immaginario marino è il vostro elemento distintivo, richiamato sia dal titolo del singolo Scogli, con cui siete in concorso a Musicultura, sia dal nome d’arte, Velia. Questa parola latina, infatti, significa “nascosto” e rimanda forse a tutto ciò che è avvolto dalle onde e si deposita sui fondali. Perché è così importante per voi il mare?

Il mare è il luogo dove entrambi siamo cresciuti; quello di Irene è il mare pugliese e quello di Matteo è il mare toscano. Entrambi abbiamo sempre avuto un legame particolare con il mare, che sentiamo essere un elemento che negli anni ha accolto e custodito i nostri segreti e le nostre paure. Probabilmente senza la vicinanza al mare non saremmo le persone che siamo.

Il brano Respirare, che avete presentato alle Audizioni Live del Festival, parla delle reazioni umane di fronte al dolore e della capacità di affrontarlo per andare avanti. C’è stato un avvenimento particolare che vi ha portato a scrivere questa canzone? E perché avete scelto proprio questo titolo?

Respirare racconta la storia vera di un trauma che Irene ha affrontato pochi anni fa; descrive la giornata in cui ha perso suo padre, nell’ambito della quale molte delle persone che aveva intorno si aspettavano da lei una reazione più visibile di quella che all’apparenza ha avuto. Non riusciva a piangere, ma guardava nel vuoto perché si concentrava a respirare, una funzione primaria che in quel momento faceva molta fatica a svolgere. Questa canzone è stata scritta da lei dopo un paio di anni in cui è stata totalmente in silenzio su come si fosse sentita ed avesse affrontato quella giornata in particolare: scriverla è stata una vera e propria liberazione. L’ha poi fatta ascoltare a Matteo che con la massima delicatezza possibile è riuscito a dare, con l’arrangiamento e la sua produzione, un valore aggiunto alla comprensione del testo e del momento che c’era dietro.

La vostra musica è un’originale contaminazione tra elementi pop ed elementi alternative rock. Come vi siete avvicinati a questi generi? Ci sono degli artisti che vi hanno particolarmente ispirati?

Abbiamo avuto culture musicali per certi versi simili e per altri molto diverse. Entrambi abbiamo avuto in comune l’amore per i Queen, partito sin da piccolissimi, che poi si è diramato in Matteo per una passione per gruppi come Depeche Mode e Muse e per Irene per gruppi come Florence and The Machine e Aurora.

A quali progetti vi dedicherete dopo Musicultura e cosa porterete con voi di questa esperienza?

Di Musicultura sicuramente ci porteremo dietro la gentilezza e la professionalità che abbiamo incontrato in tutte le persone che ne fanno parte: lavorare insieme a loro è una coccola e nonostante chi concorre viva un momento di tensione, la professionalità con cui poi ci si rapporta rende tutto sereno. Per quanto riguarda i nostri progetti, ci dedicheremo all’uscita del nostro EP, che abbiamo previsto per settembre, e a suonare live il più possibile: è il momento che in assoluto preferiamo del nostro lavoro.