I nuovi nomi del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura 2024

Dardust, Ermal Meta, Piero Pelù, il regista Francesco Amato e la poetessa Mariangela Gualtieri entrano a far parte del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura.
Si affiancano agli altri illustri membri del Comitato, i cui primi firmatari furono nel 1990 Fabrizio De André e Giorgio Caproni, e che in questa XXXV edizione del concorso sono: Francesca Archibugi, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Maria Grazia Calandrone, Luca Carboni, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Teresa De Sio, Giorgia, La Rappresentante di Lista, Dacia Maraini, Mariella Nava, Vasco Rossi, Ron, Enrico Ruggeri, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro Veronesi. Spetterà a loro il delicato compito di designare, tra i sedici finalisti, gli otto vincitori del Festival.

Intanto si sono aperte le iscrizioni all’edizione 2024 del concorso con il quale Musicultura annualmente ricerca e premia potenziali nuovi, meritevoli protagonisti dell’arte popolare della canzone.
“Di canzoni stereotipate in giro ce ne sono già tante, un concorso in più servirebbe a poco se non andasse in cerca della fantasia, della meravigliosa singolarità di certi temperamenti artistici ed espressivi, dell’autenticità di chi scrive e canta perché ha storie e sogni da condividere. – Ha commentato il direttore artistico di Musicultura Ezio Nannipieri – Ora per noi è il momento di invocare i numi della Canzone affinché ci assistano nel tre mesi di ascolto e selezione che ci aspettano, siamo consapevoli della delicatezza del compito, ci apprestiamo a svolgerlo con la curiosità e la passione di sempre”.

Gianmaria Testa, Patrizia Laquidara, Pacifico, Simone Cristicchi, Pilar, Giuseppe Anastasi, Fabio Ilacqua, Mannarino, Renzo Rubino, Margherita Vicario, Lucio Corsi, La Rappresentante di Lista, Mille, i Santi Francesi, per arrivare ai Santamarea, la band siciliana vincitrice dell’edizione 2023, sono solo alcuni degli artisti che nel corso degli anni si sono segnalati all’attenzione nazionale grazie alla vetrina di Musicultura.
Al vincitore assoluto andranno i 20.000 euro del Premio Banca Macerata, un aiuto concreto a tutela dell’indipendenza artistica di chi affronta le difficoltà degli inizi di carriera.
Ma è il concorso nel suo insieme a configurarsi come un’occasione di arricchimento professionale e artistico. L’esperienza si snoda lungo un arco di più mesi, stimola il confronto tra artisti diversi, li lascia contrattualmente liberi, non li incasella nelle necessità narrative e produttive dei format, dà loro modo di esibirsi dal vivo davanti a platee via via più consistenti, fino ai 2.500 spettatori presenti nel mese di giugno alle serate conclusive del Festival allo Sferisterio di Macerata, offre una vetrina mediatica di alto profilo che include un ampio spettro di iniziative web e social e la partnership con la Rai.

Musicultura 2023: ecco com’è andata la XXXIV edizione

Musicultura è il festival che da 34 anni ascolta, valorizza e premia la creatività nella canzone italiana, senza confini di genere.

L’edizione 2023 è iniziata registrando un record di partecipazioni al concorso: alla chiusura del bando infatti sono risultati 1.113 gli artisti iscritti. Ci sono voluti quasi tre mesi per ascoltare con cura le loro canzoni e per selezionare le proposte che, a nostro avviso, risultavano le più meritevoli. Tutti gli artisti esclusi, come avviene fin dalla prima edizione, hanno ricevuto una risposta scritta con un commento sui brani inviati.
L’iter del festival si è svolto poi nell’arco di quasi sei mesi, attraverso varie e articolate fasi, e si è concluso con la vittoria dei Santamarea.
Proviamo a raccontarvelo.

Le Audizioni Live


FEBBRAIO / MARZO 2023

Il viaggio comincia con le Audizioni, la snodo principale del festival, la prima fase live del concorso. Al Teatro Lauro Rossi di Macerata va in scena una vera e propria maratona musicale: 56 proposte artistiche sul palco (selezionate fra le 1.113 inizialmente iscritte al concorso), 234 musicisti al seguito, 4.237 spettatori in teatro, 400.000 in streaming, 10 serate consecutive di musica live.
Gli artisti in gara si esibiscono, suonando rigorosamente dal vivo i brani del proprio repertorio, davanti alla commissione di Musicultura che insieme ad una giuria composta da venti studenti universitari selezionerà, al termine delle Audizioni, la rosa dei sedici finalisti del concorso.
Tra un artista in gara e l’altro, salgono sul palco, tra chiacchiere e note, anche John Vignola, Morgan, Margherita Vicario, Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello.

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Tutte le esibizioni

I finalisti


APRILE / MAGGIO 2023

AMarti, Ilaria Argiolas, Michele Braganti, Caponetti, cecilia, Ferretti, Frenesi, Lamante, Lilo, Simone Matteuzzi, Mira, Nervi,  Rosewood, Santamarea, Cristiana Verardo, Zic sono i finalisti dell’edizione 2023 del concorso.
Le loro canzoni vanno a comporre la compilation dell’edizione, prodotta e distribuita da Musicultura, e tornano ad essere suonate dal vivo, questa volta al Teatro Persiani di Recanati: i 16 finalisti di Musicultura 2023 sono infatti i protagonisti di due serate evento in scena nella città leopardiana e trasmesse in diretta da Rai Radio1, media partner del festival.
Per tutto il mese di maggio, le canzoni di Musicultura sono anche al centro della programmazione musicale di Rai Radio1, in particolare de La Nota del giorno, trasmissione condotta da John Vignola.

L’ulteriore selezione, da sedici finalisti a otto vincitori, avviene con l’ascolto delle canzoni in gara e il voto del Comitato Artistico di Garanzia, la speciale giuria di Musicultura composta da personalità del mondo della musica, del cinema e della letteratura. Hanno valutato le canzoni di Musicultura 2023: Francesca Archibugi, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Boosta, Fabrizio Bosso, Angelo Branduardi, Maria Grazia Calandrone, Luca Carboni, Alessandro Carrera, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Teresa De Sio, Cristina Donà, Giorgia, Irene Grandi, La Rappresentante di Lista, Dacia Maraini, Mariella Nava, Vasco Rossi, Ron, Enrico Ruggeri, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro Veronesi.

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I vincitori


GIUGNO 2023 – Roma, Sedi Rai

Nella Sala degli Arazzi della sede Rai di Viale Mazzini vengono annunciati gli 8 vincitori di Musicultura 2023: AMarti, Ilaria Argiolas, cecilia, Lamante, Simone Matteuzzi, Santamarea, Cristiana Verardo e Zic sono attesi sul palco dello Sferisterio per l’atto finale del festival condotto per la prima volta da Flavio Insinna e Carolina Di Domenico.

Nel giorno dell’annuncio i vincitori di Musicultura 2023 tornano ad esibirsi dal vivo: questa volta è la Sala A della sede Rai di Via Asiago a fare da scenario al loro concerto trasmesso, sempre in diretta, da Rai Radio1 .

GIUGNO 2023 – Macerata, Arena Sferisterio

I conduttori Carolina Di Domenico e Flavio Insinna aprono le serate finali di Musicultura 2023. Il palco dello Sferisterio accoglie i vincitori del concorso e grandi nomi come Fabio Concato, Ermal Meta, Santi Francesi, Paola Turci, Dardust, Rachele Andrioli e Coro a Coro, Simone Cristicchi e Amara, Mogol…

Tutto mentre in Piazza Mazzini, nel bus di Rai Radio 1, John Vignola, Marcella Sullo e Duccio Pasqua commentano le serate in diretta e accolgono vincitori e ospiti del Festival.

Il concorso si conclude con la proclamazione del vincitore assolutoil gruppo palermitano Santamarea, con il brano omonimo, riceve non solo il premio Banca Macerata di 20.000, ma anche la Targa della Critica, del valore di 3.000 euro, intitolata a “Piero Cesanelli”, ideatore del Festival e suo direttore artistico fino al 2019.
La band si aggiudica anche il Premio PMI per il Miglior Progetto Discografico e il Premio per il Miglior Testo, del valore di 2.000 euro ciascuno. Il Premio NuovoIMAIE destinato a una tournée, invece, viene assegnato a Lamante per il brano L’ultimo piano.

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Tutte le esibizioni

Rivivere Musicultura è sempre una forte emozione e, anche se il tempo passa veloce, abbiamo modo di fissarla nel tempo: è possibile, infatti, guardare e ascoltare il meglio delle due serate all’Arena Sferisterio su Rai Play, grazie a uno special, firmato alla regia da Duccio Forzano, interamente dedicato alla XXXIV edizione del Festival andato in su Rai 2.

Quintorigo e Gino Castaldo, jazz sotto le stelle a Lunaria 2023

L’edizione 2023 di Lunaria, la rassegna estiva recanatese, inizia sull’Orto sul Colle dell’Infinito con “Mingus, la storia di un mito”, lo spettacolo che, con i poliedrici Quintorigo e il giornalista Gino Castaldo, rievoca la spiritualità di Charles Mingus, l’intramontabile leggenda del jazz.

Quintorigo

Quintorigo è un ensemble di talentuosi musicisti e cantanti formatosi nel 1996, che operano nelle vie infinite del jazz.

La loro carriera nasce come cover band ma è nel ’98 con il disco autoprodotto Dietro le quinte che trovano la vera identità musicale del gruppo. Al Festival di Sanremo 1999 si fanno conoscere al grande pubblico con Rospo e si aggiudicano il Premio della Critica nella sezione “Giovani” e quello della Giuria di qualità. Lo stesso anno grazie a Rospo vincono la Targa Tenco per la miglior opera prima.
Mingus, la storia di un mito è una trasposizione del progetto Play Mingus, che nasce come nasce il jazz, ovvero suonando dal vivo, mentre si celebra l’amore incondizionato da parte del gruppo nei confronti di Charles Mingus.

Gino Castaldo

La dialettica tra musica ed effetto nostalgia dello spettacolo è nelle mani di Gino Castaldo, critico musicale, scrittore per Repubblica e curatore del settimanale Musica insieme ad Ernesto Assante.

I suoi aneddoti, che abbiamo ritrovato anche all’interno dello spettacolo, sono il frutto di una lunga carriera, fatta di radio, tournée, televisione, rubriche specializzate, libri e molto altro ancora.

L’intervista

Quintorigo, nel 2008 avete realizzato Quinto – Play Mingus il vostro primo album dedicato alle composizioni di Charles Mingus. In occasione del centenario della sua nascita è arrivato il secondo disco Play Mingus vol.2. Com’è stato riprendere in mano una figura del genere, selezionare le canzoni da inserire nel nuovo album e farle vostre?

Valentino Bianchi, sassofonista dei Quintorigo: «Beh, certo. Il primo lavoro fu pionieristico e fu una scommessa. Non ci credevamo molto neanche noi per quanto la figura di Mingus ci attraesse magneticamente fin da ragazzini. In quel mondo era l’autore che ci diceva di più e che ci risuonava di più anche per il suo approccio così sperimentale, contaminato, libero. Invece, il disco andò molto bene, vinse anche qualche premio e suonammo tanto in giro. Ci è tornata la voglia semplicemente, anche perché una discografia smisurata come la sua non può essere riassunta da 12 tracce. Quindi approfittando effettivamente del centenario, l’anno scorso, abbiamo deciso di realizzare un Quintorigo – Play Mingus vol.2. Ci sarà forse anche un terzo, perché non basta mai. Però anche con un approccio, se vogliamo, un po’ diverso nell’arrangiamento, nella scelta dei brani. Abbiamo cercato il Mingus “più roots”, se vogliamo, quello più vicino al gospel, allo spiritual, che sicuramente era una vena che faceva parte della sua poetica. E così dal disco è nata una proposta live un po’ particolare che si avvale della collaborazione di Gino Castaldo che, rispetto a noi, ha avuto la grande fortuna di conoscerlo e di frequentarlo. Per questo, è uno spettacolo soddisfacente sia dal punto di vista musicale che della narrazione.»

Con la partecipazione di Gino Castaldo lo spettacolo si arricchisce di una componente narrativa importante che ci accompagna analizzando e facendoci comprendere meglio la figura e la musica di Mingus. Come è nata questa collaborazione e perché un normale concerto non sarebbe stato sufficiente per raccontare una personalità del genere?

Gino Castaldo:  «Allora diciamo che i Quintorigo bastavano a sé stessi tranquillamente.» ·
Valentino Bianchi:  «Come Gino Castaldo, eh!»
(ridono)
Gino Castaldo:  «Mi arrivò questa telefonata. Evidentemente loro avendo già fatto un percorso su Mingus e dovendo farne uno nuovo hanno pensato a delle cose. Morale, mi è arrivata questa telefonata dicendo – Ma se mai dovessimo… che dici? – E loro quando me l’hanno fatta questa domanda, non sapevano neanche che io avessi anche avuto la conoscenza e quindi la prima cosa che ho detto – Dico guarda, andate a toccare anche un tasto emozionante per me – perché io ho avuto anche un paio di aneddoti di cui uno molto personale che ovviamente qui non anticiperò perché è la sorpresa. Quindi ho aderito con entusiasmo. Poi io penso, ripeto, loro bastano e avanzano a sé stessi. Però queste forme, io lo sto facendo anche in altre occasioni, queste forme di narrazione collegate alla musica mi sembrano una bellissima direzione e l’abbiamo fatto alcune volte. C’è sempre piaciuto molto farlo perché mi sembra un’interazione che ha un senso anche poeticamente devo dire, no?»
Valentino Bianchi:  «Assolutamente.»
Gino Castaldo:  «A me non piace fare le cose didascaliche, quindi il mio non è un racconto didascalico. Sì, racconto delle cose, ma è anche, almeno spero, evocativo.»

Mingus, grande musicista e compositore che ha saputo unire generi diversi in una musica ricca di contaminazioni con al centro il suono, allo stesso tempo anche una figura impegnata politicamente. Quanto può essere attuale una figura come la sua oggi e cosa possono imparare da lui musicisti e non solo?

Gino Castaldo:  «Questo è difficile, risponde lui.»
Valentino Bianchi:  «No, Gino, sei tu il musicologo. (ridono) Ammazza questa…
In realtà il motivo per cui tutto questo c’è, esiste, sussiste, fondamentalmente non è per le nostre tasche, che non cambia più di tanto. È proprio per far conoscere un gigante come Mingus ad una popolazione, diciamo italiana, che suo malgrado magari non lo conosce o non lo conosce abbastanza. Quindi c’è un intento divulgativo in tutto questo. Chi esce da qui va a comprare un disco di Mingus? Bene, più che il nostro o i libri bellissimi di Gino noi siamo più contenti se uno si va poi a cercare l’originale, quindi sicuramente c’è quello. E poi c’è il piacere nostro da musicisti di reinterpretarlo.»
Gino Castaldo:  «Guarda, posso aggiungere che, se c’è un motivo per questa cosa che facciamo è perché oggi non esistono cose simili. Cioè, stiamo parlando di un gigante come Mingus, ma potremmo farlo anche in altri campi, in altri generi, filoni della musica. Sono personalità che oggi non ci sono, quindi probabilmente anche per questo hanno molto da insegnare a tutti. È materiale vivo non è museale, è qualcosa che non a caso viene suonato dal vivo. Raccontato dal vivo.»
Valentino Bianchi:  «Bravo, sì.»
Gino Castaldo: «Perché è qualcosa che tutti possono e dovrebbero, anzi, utilizzare oggi, oggi anche se è materiale di qualche anno fa.»




 

Rivivi le emozioni della finalissima di Musicultura su RaiPlay

GUARDA LO SPECIAL

Il meglio di Musicultura 2023, andato in onda su Rai 2 in seconda serata il  6 luglio e contemporaneamente trasmesso nel mondo da Rai Italia, è ora disponibile su RaiPlay.
La XXXIV edizione del Festival della Canzone Popolare e d’Autore italiana, con media partner Rai, si svolge nelle Marche, nel meraviglioso scenario dello Sferisterio di Macerata e vede quest’anno per la prima volta alla conduzione Flavio Insinna e Carolina Di Domenico.

Tra gli ospiti Simone Cristicchi e Amara, Fabio Concato, Paola Turci, Santi Francesi, Ermal Meta, Dardust. Con essi i vincitori del concorso di Musicultura, che è già stato il trampolino di lancio per artisti come Gianmaria Testa, lo stesso Simone Cristicchi, Pacifico, Fabio Ilacqua, Mannarino, Margherita Vicario, La Rappresentante di Lista, Santi Francesi e tanti altri.
I vincitori dell’edizione 2023 del concorso, nominati dal Comitato Artistico di Garanzia, sono Lamante, Santamarea, AMarti, Zic, Ilaria Argiolas, Cristiana Verardo, cecilia, Simone Matteuzzi.

Tra le peculiarità della manifestazione c’è da segnalare la possibilità che è data agli spettatori dello Sferisterio di votare ed elegge il vincitore o la vincitrice assoluta. Il programma, firmato da Matteo Catalano ed Ezio Nannipieri con la regia di Duccio Forzano e con Cristiano D’Agostini delegato Rai, vede anche la partecipazione di Rai Radio1, la radio ufficiale di Musicultura, che segue l’evento con Marcella Sullo, Duccio Pasqua e John Vignola.
Completano e impreziosiscono il racconto della manifestazione RaiNews 24, Tgr Rai e RaiPlay Sound.

“Adesso è il momento di navigare a vele spiegate”- Intervista ai Santamarea

Sono i vincitori assoluti del Festival. E mai definizione fu più appropriata. Perché oltre al Premio Banca Macerata si sono aggiudicati anche il Premio per il Miglior Testo, il Premio della Critica e il Premio -PMI per il Miglior Progetto Discografico. Un en plein, insomma. Ora, a pochi giorni dalla conclusione del Festival, i Santamarea – gruppo palermitano composto dai tre fratelli Stefano, Michele e Francesco Gelardi e dalla loro amica d’infanzia Noemi Orlandi – ripercorrono insieme alla redazione di Sciuscià tutte le tappe del loro incredibile viaggio, dalle Audizioni Live alla finalissima del 24 giugno, raccontando le emozioni vissute sul palco dello Sferisterio e anticipando alcuni dettagli sui progetti futuri.

«Siamo partiti da Palermo pensando di voler fare semplicemente un’esperienza di crescita»: leggendo queste parole si intuisce lo spirito costruttivo che vi ha portato a Musicultura e soprattutto quanto il finale di questa storia sia stato per voi sorprendente. A chi dedicate questa vittoria?

Dedichiamo questa vittoria simbolicamente a nostro nonno Stefano, che fu cantante e musicista negli anni Sessanta, in Sicilia, morto poco dopo il concerto di Recanati, proprio quando era da poco uscito il singolo Santamarea. Il suo papà gli nascose la lettera di invito a Castrocaro, impedendogli di realizzare i suoi sogni, ma vedendo in noi la stessa scintilla che aveva sempre avuto lui, si è impegnato per farla diventare un fuoco. E ci è riuscito. Nonno Stefano era il nostro primo fan: a lui va il nostro ringraziamento.

Il percorso dei Santamarea a Musicultura è stato sempre in crescita: dalle Audizioni Live fino allo Sferisterio avete conquistato sempre di più il pubblico che vi ha scelti come vincitori assoluti. C’è qualcosa che cambiereste o sentite di aver vissuto pienamente l’esperienza del Festival?

Abbiamo vissuto questo percorso con l’ingenuità di chi si lancia in un’esperienza grande e con una sincera voglia di migliorare che ci ha spinto a vivere ogni momento a pieno.
Fase dopo fase, abbiamo sempre cercato di dimostrare, appunto, la nostra crescita, prendendo a cuore tutti i consigli e le critiche, che ci sono sempre state poste con garbo. Quindi possiamo dire di aver vissuto al massimo la nostra esperienza al Festival e ci rende davvero fieri e contenti l’idea di essere stati premiati anche per questo.

Durante le serate finali John Vignola ha dichiarato che Musicultura è certamente un concorso, ma si configura più come una grande festa della musica senza alcun antagonismo tra gli artisti. Che rapporto c’è stato e continua a esserci con gli altri artisti che avete incontrato durante tutte le fasi della manifestazione?

Sin dal primo momento in cui ci siamo conosciuti, si è immediatamente creato un rapporto di sintonia artistica e sostegno reciproco. Il fatto che durante le serate finali allo Sferisterio, prima di salire sul palco, cantassimo gli uni le canzoni degli altri ne è la dimostrazione. L’ambiente di Musicultura è decisamente felice; è un posto sano in cui si respira un’aria che consente di raccontarsi i percorsi artistici senza paura, di scambiarsi esperienze, contatti e consigli che contribuiscono alla crescita artistica di tutti i partecipanti e alla costruzione di momenti di amicizia e divertimento che porteremo sempre nel cuore.

Avete vinto il Premio della Critica, il Premio Miglior Progetto Discografico, il Premio per il Miglior Testo e l’ambito Premio Banca Macerata del valore di 20.000 euro. Adesso è il momento dei festeggiamenti, ma la domanda sorge spontanea: quali sono i progetti per il futuro sui quali investirete?

Siamo passati a casa soltanto per posare le valigie e poi siamo corsi subito in studio di registrazione. Adesso è il momento di navigare a vele spiegate e abbiamo quindi deciso di anticipare progetti che erano stati programmati per un futuro un po’ più lontano. Stiamo scrivendo, registrando, preparando contenuti multimediali e programmando le date per i live. Non vediamo l’ora di farvi sentire e vedere i prossimi passi dei Santamarea. Questo è solo l’inizio.

Un consiglio musicale per chi vi ascolta. Quali sono i cinque brani che non possono assolutamente mancare nella playlist dei Santamarea?

Sicuramente un brano come Dog Days Are Over di Florence and The Machine, Breezeblocks degli Alt-J, Perth di Bon Iver, Water Fountain dei Tune Yards e La Casa in Riva al Mare di Lucio Dalla.

“Svestire le canzoni per renderle vive” – Ermal Meta a Musicultura 2023

Non è la sua prima volta come ospite di Musicultura. E infatti Ermal Meta racconta del suo legame con il Festival ai microfoni di Rai Radio 1 già nell’incontro pomeridiano in Piazza Mazzini per La Controra. Poi l’esibizione durante la seconda serata finale allo Sferisterio con i musicisti dello GnuQuartet. Sale sul palco intonando Un tempo piccolo, omaggio al maestro Franco Califano; dopo, regala al pubblico le sue Piccola anima e Mi salvi chi può addobbate di viola, violino, violoncello e flauto. Prima di questa magia, la sua intervista alla redazione di Sciuscià. Dopo due anni torna a calcare il palco di Musicultura, questa volta in compagnia dello GnuQuartet. 

Il vostro è un sodalizio artistico nato nel 2019, un “amore a prima vista” che vi ha portato in tour. Cosa vi ha spinto a riproporre la collaborazione come ospiti del Festival?

EM: È l’amore.
GQ: Sì è l’amore, insieme si crea ogni volta un’alchimia particolare grazie alla quale il meccanismo funziona, si mettono in moto energie che ci danno molta soddisfazione.
EM: Come esempio dico questo: ieri in una quarantina di minuti di prove, compresi di pausa, avevamo terminato. Sì, siamo partiti insieme in tour nel 2019 ed è stato bellissimo, è un piacere musicale suonare con loro, un piacere per le orecchie, non c’è altro modo di spiegarlo. Da amante della musica e musicista, posso consigliare a tutti del nostro mestiere di provare l’esperienza meravigliosa di condividere un palco con lo GnuQuartet.

Ecco, voi dello GnuQuartet vi siete esibiti nei teatri più suggestivi d’Italia, vestendo le canzoni di Ermal Meta con note di viola, violino, violoncello e flauto. Come scegliete il taglio giusto per ogni brano?

GQ: Ci siamo lasciati ispirare dai brani; abbiamo prima costruito degli arrangiamenti per poi provarli insieme. È stato un modo per portare a galla elementi e aspetti delle canzoni che rimanevano nascosti nella versione radiofonica. Ci siamo goduti la voce di Ermal e la sua musicalità in un modo che va al di fuori dei confini più stretti del beat o della ritmica, che solitamente non può crescere e diminuire durante un brano. Ci siamo presi degli spazi per lavorare con lui come un camerista, è il nostro musicista da camera. Con la voce però!

EM: È questa la cosa che mi ha colpito immediatamente del lavoro fatto insieme: hanno spogliato le mie canzoni, in realtà riempiendole, lasciando risalire ritmiche e suoni soffocati da alcuni confini musicali che normalmente si rispettano. Ho ascoltato delle canzoni nude, ma vivissime, a tal punto quasi da non riconoscerle.
Lui (Raffaele) se lo ricorda bene: la nostra prima prova è stata surreale perché ero talmente incantato nel riscoprire i miei lavori da non ricordare come suonarli. Mi sentivo un impostore addirittura, ascoltavo canzoni scritte da me ma completamente nuove.

Lei, Ermal, in diverse occasioni ha regalato al pubblico interpretazioni di brani che hanno fatto la storia del cantautorato italiano; ricordiamo tra tutti Amara terra mia di Domenico Modugno e Caruso di Lucio Dalla. Cosa cerca di trasmettere con la rilettura di questi brani?

Cerco di trasmettere l’emozione che attraversa me in primis. La mia è un’emozione fisica – veri e propri brividi – che mi permette di abbandonare la paura iniziale e comunicare con l’altra parte, senza aspettarmi che la persona che ho di fronte provi le mie stesse cose. Ognuno ha una sua intenzione, una sua spiritualità legata a questi grandi testi, talmente grandi che non possono non suscitare ricordi profondi. La stessa cosa, come dicevo, è accaduta con lo GnuQuartet. Il nostro sodalizio è stato, ed è, così bello proprio perché questi musicisti cercano di estrapolare l’emotività insita nelle canzoni che suoniamo insieme. La bellezza della musica è proprio questa:guardare cento volte la stessa cosa e notarla sempre nuova, perché cambia con te. La canzone diventa ciò che tu sei in quel momento. Non ci sono trucchi, c’è solo magia.

L’esibizione

Non solo musica. Lo scorso anno è stato pubblicato il suo romanzo Domani e per sempre, recentemente proposto al Premio Strega. È la storia di Kajan, un ragazzo che vive l’occupazione tedesca dell’Albania durante la Seconda guerra mondiale: la scoperta della musica gli dona una speranza in un momento fortemente tragico. Questo potere salvifico della musica si può leggere anche in relazione agli eventi contemporanei?

In relazione a tutto quello che sta accadendo nel mondo in questi anni, penso che la musica non possa salvare vite in senso strettamente fisico, ma sono convinto che possa salvare una parte della vita e guarire delle parti della nostra persona. Il romanzo che ho scritto, naturalmente, è ambientato in un periodo storico molto diverso, che va dalla Seconda Guerra Mondiale alle soglie degli anni Novanta, con la fine del regime albanese dopo la caduta del Muro di Berlino. Credo che nel nostro tempo la musica sia un bisbiglio di pace, che però rischia di non essere udibile nel frastuono delle armi.

Ha un profondo rapporto con la sua terra d’origine. La presenza albanese in Italia è molto forte, come dimostra la lunga tradizione della cultura arbëreshë – una contaminazione italo-albanese che si è radicata in alcune regioni del nostro Paese a partire dal Quattrocento. Conosce e partecipa alla vita di queste comunità?

Conosco molto bene la storia degli arbëreshë, anche se mi dispiace non poter partecipare attivamente alla loro vita per ragioni geografiche: io vivo tra Bari e Milano e queste comunità si trovano principalmente tra Calabria, Sicilia, Abruzzo e Molise. Invito tutti a scoprire la storia che ha spinto gli albanesi a lasciare la propria terra e ad arrivare in Italia perché è molto interessante: è una vicenda strettamente legata alle gesta di Giorgio Castriota Scanderbeg, eroe nazionale albanese, che ha riunito i principati e si è opposto per venticinque anni all’invasione ottomana. La storia del principe Scanderbeg è incredibile: fu rapito dai Turchi quando era bambino e divenne uno dei generali più stimati dal sultano, finché all’età di quarant’anni raccolse ventimila fedelissimi e resistette per anni all’assedio di oltre duecentocinquantamila uomini. Purtroppo, alla morte di Scanderbeg i principati si divisero e gli ottomani riuscirono a invadere l’Albania: in molti fuggirono e approdarono in Italia dove diedero vita alle comunità arbëreshë.

Tu chiamale, se vuoi, Emozioni – Mogol a Musicultura 2023

Un poeta i cui versi hanno segnato la storia della musica italiana e internazionale. I suoi testi hanno radicalmente trasformato la cultura popolare degli ultimi cinquant’anni, lasciando un segno profondo nella vita di ognuno di noi. Una carriera da autore, editore musicale, difensore del diritto d’autore e formatore che gli vale, sul palco dello Sferisterio, la Targa per Alti Meriti Artistici dalle Università degli Studi di Macerata e Camerino. Ospite d’onore della XXXIV edizione di Musicultura, Mogol, prima dell’incontro pomeridiano col pubblico de La Controra, ha ripercorso ai microfoni della Redazione di Siuscià alcuni momenti della sua vita straordinaria, dal sodalizio con Lucio Battisti a quello con Mario Lavezzi, dall’impegno in ambito sociale alle considerazioni sull’importanza della cultura popolare.

Il suo ultimo progetto discografico Capolavori nascosti, realizzato con Mario Lavezzi, comprende quattordici tracce poco conosciute che avete deciso di presentare al pubblico per dare loro l’attenzione che meritano. Vi sta dando le soddisfazioni sperate?

Il disco è uscito nel marzo 2023 ma le canzoni sono di trent’anni fa. Il progetto è nato perché prima non c’è stata vendita. Nessuno conosceva questi pezzi, molti dei quali cantati da Mango, Dalla, Cocciante, Mannoia, tutti artisti di straordinario valore. Mario mi ha ricordato e fatto ascoltare brani di cui io avevo scritto i testi e che hanno risvegliato in me una grande soddisfazione. Così è nato Capolavori nascosti, 13 tracce di allora più una che abbiamo scritto recentemente. Gli arrangiamenti sono eccezionali e i testi buoni. Si ha un insieme di cose culturalmente di alto livello. E infatti ha un riscontro molto alto, sia trai giornalisti che tra il pubblico.

Il CET, Centro Europeo Toscolano di cui lei è fondatore e docente, è un’associazione no profit e la scuola più importante a livello europeo. Negli anni ha formato più di 3000 autori, compositori e interpreti. Il progetto, lei dice, è nato per senso di dovere nei confronti di questo nostro Paese che da qualche anno vive una certa recessione nella cultura popolare. Vuole spiegare questa sua affermazione?

Le canzoni parlano da sé; quelle che hanno un livello sopravvivono alle generazioni e qui non mi pare che ci siano molte canzoni che sopravviveranno. Ho fondato il CET proprio per senso di dovere. In trent’anni di lavoro sono stato l’unico docente a non aver mai percepito uno stipendio. È un regalo che faccio al mio Paese e voglio che rimanga tale. A proposito della cultura popolare, io penso che sia il mezzo più immediato e potente per l’evoluzione della gente. La diffusione della cultura popolare di buon livello è fondamentale. Non dimentichiamo che Dante Alighieri scriveva nella lingua del De Vulgari Eloquentia, non in latino. Prima di chiunque altro aveva capito l’importanza di un linguaggio non selettivo e che arrivasse a tutti.

In un’intervista ha detto che in fase di progettazione non si ha la percezione di quello che diverrà la canzone. Ha dichiarato che “quando scrivevamo le canzoni io e Lucio eravamo soddisfatti e felici di aver fatto una cosa bella. Non potevamo immaginare che poi milioni di persone in tutto il mondo avrebbero amato il nostro lavoro”. Le va di raccontarci un aneddoto legato al sodalizio artistico Mogol-Battisti?

Io e Lucio eravamo coscienti di aver fatto qualcosa di bello. Ogni volta che scrivevamo qualcosa di nuovo, la facevamo ascoltare a qualche amico. Negli ultimi tempi, per esempio, eravamo soliti andare in un istituto per malati di tumore a far sentire in anteprima i brani ai pazienti ricoverati. Lui con chitarra e voce; io lo presentavo. È stata una cosa bella che ci ha portato anche tanta fortuna.

Nel 1981 ha fondato la Nazionale Italiana Cantanti. Lei in prima persona è sceso in campo collezionando negli anni quasi 300 presenze e più di 30 reti. Che ricordi ha di quei tempi e quali soddisfazioni le ha dato negli anni l’associazione?

La Nazionale Italiana Cantanti nasce perché il mio amico Walter Tramontana, presidente della Croce Verde Sempione, mi chiese di organizzare un evento per raccogliere i soldi necessari all’acquisto di un’autoambulanza. Lui aveva pensato di organizzare un concerto; io proposi una partita di pallone. Molti furono i cantanti che parteciparono all’iniziativa tra cui Battisti e Leali, entrati in campo senza aver mai toccato una palla in vita loro.
Da lì è partito tutto. In più di quarant’anni di attività l’associazione ha donato in beneficienza l’equivalente di 100 milioni di euro, tutti devoluti a sostegno dei bambini sofferenti. Per me inizialmente è stato un gioco, mi sono divertito. Il sapere poi che questo divertimento sia diventato un qualcosa di importante mi fa tanto piacere e lo considero un regalo.

Nel 2019 ha ricevuto il prestigioso “Premio Giacomo Leopardi”. In tale occasione ha affermato che trascorsi cinquant’anni si può valutare se un testo è una poesia vera. Lei, come Leopardi, è a tutti gli effetti un poeta le cui parole hanno segnato la storia della musica italiana e internazionale. Dove è riuscito ad arrivare con la musica?

La Società Dante Alighieri, che è la società culturale più importante del mondo, mi ha candidato al Nobel per la letteratura. È una grande soddisfazione e un traguardo importante, considerando il numero di dischi che ho venduto nel mondo, ben 532 milioni. Davanti a me ci sono solo i Beatles e Elvis Presley. La mia profonda fede mi porta a credere di essere un protetto. Non mi sarei mai immaginato tutto questo. Sono cosciente di aver avuto più di quello che meritavo.


 

Dardust a Musicultura. Un viaggio tra Giappone ed elettropop, psicologia e dualità

Dualità è la parola d’ordine, Duality il titolo del suo ultimo progetto da solista. Dario Faini, in arte Dardust, ha costruito un tassello dopo l’altro la sua carriera spaziando tra generi e influenze differenti, e mostrandosi al pubblico attraverso le due anime che lo contraddistinguono: pianistico-minimalista la prima ed elettronico-sperimentale la seconda. Autore e produttore di alcuni tra i più importanti nomi del panorama musicale contemporaneo – Mahmood, Elodie, Ermal Meta, Mengoni, ma anche Sophie and the Giants – ha riempito palchi d’Italia e d’Europa con le sue sonorità adrenaliniche e coinvolgenti.
Arriva sul palco dello Sferisterio come ospite della seconda serata finale della XXXIV edizione di Musicultura, travolgente e suggestivo nei suoi colori elettropop e immerso in una scenografia di luci, tamburi e influenze giapponesi dai timbri al vestiario. È così che ha entusiasmato, e fatto ballare, il pubblico della serata, ribadendo l’importanza del Festival nel suo intervento dopo l’esibizione e dichiarandosi onorato di calcare un palco su cui, da emergente, non era mai riuscito a esibirsi. Questa la chiacchierata con la Redazione di “Sciuscià”, in un intreccio di idee musicali e spirituali.

Sei ospite allo Sferisterio di Macerata durante uno degli eventi più importanti per le Marche: Musicultura. Che effetto ti fa prendere parte al Festival, nella tua regione, praticamente a pochi passi da casa?

Mi fa davvero un bell’effetto, anche se ormai vivo a Milano da anni e torno poche volte in Ascoli. Suonare allo Sferisterio è qualcosa di importante e al tempo stesso inatteso, soprattutto perché agli inizi – vent’anni fa più o meno – cercai più volte di passare la selezione del Festival proponendo le mie canzoni con la band dell’epoca, ma fui sempre scartato. Oggi invece sono sul palco in veste di ospite. Devo dire che è un bel risultato per me, una bella gratificazione, essenziale per capire quanto delle volte la vita sia inaspettata e i percorsi che la creano non siano mai del tutto logici.

In un’intervista hai spiegato come, in ambienti più puristi della musica neoclassica ed elettronica, non venga vista di buon occhio la capacità di produrre brani pop, “hit” commerciali, creando un pregiudizio nei confronti di chi, come te, ha interesse nell’approcciarsi a entrambi i mondi. Si tratta di una concezione fortemente limitante della musica in sé, ma anche della contaminazione di generi che porta alla vera sperimentazione. Ti va di approfondire questo punto di vista?

Sì. Penso che nelle nicchie puriste-estremiste del genere neoclassico – chiamiamola pure musica contemporanea – così come di quello elettronico, sia insita l’attitudine un po’ radical chic di snobbare artisti che prediligono la contaminazione, che riescono a vivere e a essere vincenti in diversi contesti. Chi scrive una hit pop prima, e decide di dedicarsi a un progetto sperimentale poi, crea una sorta di spaccatura nel sistema e non convince proprio per questa diversificazione di interessi. Allo stesso modo, nel mio percorso come Dardust, la volontà di parlare a un pubblico trasversale, più generalista, potrebbe sembrare poco cool. Personalmente sono riuscito a non dare troppo ascolto a questo tipo di pareri, specialmente perché, suonando in Italia e in Europa, ho capito quanto la mia musica possa parlare alle nicchie così come a un pubblico più ampio, senza distinzioni. Nel percorso artistico-creativo è bene essere ambiziosi, sperimentare, lasciarsi condizionare è invece altamente limitante. Ci sono dei colori interessanti nelle nicchie che sarebbe bello riportare a un uditorio vasto, è così che si sposta il pop verso il futuro.

L’esibizione

Profonda è la tua conoscenza della cultura giapponese e delle pratiche a essa legate – quali il Dàimoku, pratica meditativa del buddhismo – con influenze ben riconoscibili anche a livello musicale e performativo. Qual è stato il primo legame con questo territorio, e da cosa sei attratto in particolare?

Il mio passaporto per il Giappone, a un livello più adolescenziale-superficiale, sono stati i film di Miyazaki e tutta l’animazione giapponese. Da lì, crescendo, ho portato avanti una ricerca sempre più profonda e importante sul lato spirituale. Essendo anche un laureato in psicologia, quindi avendo una parte molto razionale, ho sempre sentito il bisogno di colmare un vuoto nella sfera opposta, di indagare la spiritualità: è lì che risiede qualcosa in più, al di là della nostra portata, della nostra razionalità e della nostra conoscenza. Quella è stata in effetti la chiave per farmi sopravvivere, per riuscire a guardare ai fallimenti come risultati e non come disastri, a imparare dagli errori e perseverare con atteggiamento costruttivo e spinta positiva. Credo che il buddhismo, in questa sua declinazione giapponese, sia stato per me il gancio fondamentale con questa terra.

La pluralità di riferimenti ti ha permesso di maturare una visione musicale originale, ad oggi una delle firme ben riconoscibili nel panorama italiano. Firma che, lo abbiamo appena detto, porta con sé anche una laurea in psicologia: questa scienza mentale ed emotiva influisce in qualche modo nella gestazione musicale?

Influisce eccome. Permette di cambiare prospettiva, sviluppare l’empatia, immedesimarsi in chi ascolta. Con una buona conoscenza della psicologia dell’ascolto e le sue varie declinazioni, ad esempio, si riesce ad avere un approccio variegato, una marcia in più proprio in fase costruttiva. Soprattutto, aiuta a capire quando gli stimoli creativi arrivano dall’inconscio, in maniera puramente emotiva e autentica, o quando al contrario si tratta di un prodotto dell’ego e delle sovrastrutture del cervello. Ecco, è come un terzo occhio a livello spirituale, come avere a disposizione una telecamera ad ampio raggio dall’alto che aiuta a comprendere i meccanismi in cui si è immersi, a individuarli e valorizzarli.

Tutti i tuoi dischi nascono “come forma di catarsi dai momenti scuri”: si potrebbe dire che Dardust curi Dario?

Sì, assolutamente. Dardust cura Dario, è l’alter ego illuminato, il pioniere, il coraggioso tra i due, il mio Spiderman. È il lato di me che mi porta a essere quello che sono. La cosa bella è che più passa il tempo, più Dario e Dardust si fondono: il mio lavoro in questo senso permette un avvicinamento continuo al proprio ideale, avanzando quanto più avanza la maturità. È un bel percorso.

Yasmina Pani a La Controra – L’intervista della redazione di “Sciuscià”

Se è vero che la musica è fatta soprattutto di note e strumenti, difficilmente però potremmo immaginare una canzone senza testo, senza parole. E così, a La Controra 2023, arriva anche Yasmina Pani, insegnante di lettere specializzata in Linguistica storica, autrice del saggio Schwa: una soluzione senza problema (2022). All’interno di un dibattito complesso come quello del linguaggio inclusivo e di genere – dibattito che interessa anche la musica e che spesso rischia di appiattirsi su un’unica posizione – Yasmina Pani rappresenta quel rigore scientifico che, a torto, viene scambiato per offesa o insensibilità verso alcune comunità o minoranze. «Il funzionamento della lingua – spiega – segue regole meccaniche e pragmatiche, il tutto per agevolare il più possibile la comunicazione», senza implicazioni sessiste né sentimentalistiche. Prima dell’incontro con il pubblico di Musicultura, Yasmina ha rilasciato quest’intervista alla redazione universitaria di Sciuscià, spaziando dal rap a Giacomo Leopardi.

I tuoi articoli sul web parlano soprattutto di letteratura italiana (da Dante a Pasolini), linguaggio inclusivo, uso e abuso di anglismi nella pratica quotidiana. L’unica traccia di musica è in un breve accenno al mondo del rap. Cosa ci fa, allora, una ‘linguista tascabile’ –così ti autodefinisci – a Musicultura, al Festival della Canzone Popolare e d’Autore?

Sono stata invitata a parlare del mio libro e di linguaggio inclusivo, ma la musica – e Musicultura in primis – ha a che fare con la cultura in generale. Tutto passa attraverso il mezzo linguistico, comprese l’arte e la musica. Credo che le riflessioni sul linguaggio inclusivo, che sono molto diffuse, e quelle sul rispetto del prossimo per non offenderlo riguardino tutto il mondo della produzione culturale, non solo quello linguistico e letterario. Per contrastare l’impoverimento lessicale della lingua italiana dici che dobbiamo cercare tutti di essere dei ‘parlanti attivi’.

A tal proposito, come può contribuire un cantautore o un musicista?

Secondo me i musicisti potrebbero dare un grande contributo, come d’altronde hanno già fatto nella storia, scegliendo quali parole usare, quali messaggi veicolare. Un cantautore ha tantissima libertà, più di quella di un parlante normale nella sua quotidianità, perché può servirsi di un lessico molto variegato. Per esempio un rapper che volesse usare termini poco conosciuti, potrebbe insegnarli ai ragazzi e ai giovani che lo ascoltano attraverso i testi. Quindi per me, nell’arricchimento della lingua, la musica ha un ruolo davvero importante.

Torniamo alla letteratura. Nei tuoi articoli su Leopardi (e non solo), cercando di renderlo più ‘appetibile’ a un pubblico non specialista, mostri quei lati del poeta che a scuola non vengono raccontati. Come si fa a bilanciare questo tentativo di avvicinamento al lettore con la necessità di non decontestualizzare o alterare la sua poetica?

In realtà è piuttosto facile: lascio che sia Leopardi a parlare attraverso i suoi testi. Ciò che dico su di lui, e su tutti gli altri di cui parlo, si trova nelle loro opere. A scuola, in primis, si deve insegnare la lettura del testo. Non bisogna mettere in bocca all’autore cose che non ha mai detto, ma semplicemente guidare lo studente nella lettura, in particolare aiutandolo a contestualizzare il tutto nell’epoca di riferimento. Proprio Leopardi, se letto col linguaggio di oggi, può essere facilmente frainteso. Dal mio punto di vista è molto più semplice avvicinare gli studenti ai poeti, piuttosto che rendere i poeti noiosi. Mi spiego meglio: se lascio che il testo parli da solo, è più probabile che lo studente poi apprezzi il poeta, mentre se di lui do già un’interpretazione senza aver fatto leggere l’opera, ecco che gli studenti si allontanano.

Contestualizzare il problema del genere grammaticale inclusivo, dargli delle coordinate scientifiche è proprio l’obiettivo del tuo libro. Nel dibattito sul tema, però, la tua sembra una posizione controcorrente, nonostante la sua scientificità. Da dove deriva tutta questa difficoltà, da parte dell’opinione pubblica, nel separare il genere linguistico da quello biologico, la natura convenzionale della lingua dai problemi sociali ed educativi?

Secondo me deriva dal fatto che molte persone sono convinte di conoscere il funzionamento della lingua in quanto parlanti. Un po’ come credere di essere cardiologi perché abbiamo il cuore. La lingua, invece, è complessa e se non la si è studiata da un punto di vista scientifico è impossibile conoscerne le specificità; in questo caso possiamo solo usarla. Oltretutto, quando si parla di lingua attraverso i media più famosi, non se ne parla sul piano scientifico ma in modo molto romanzato, senza informazioni tecniche né sostanza. Ecco che allora il parlante medio, non avendo una formazione ad hoc e fidandosi di chi sente più spesso, ascolta solo una campana, solo una versione dei fatti. La mia, peraltro, è mediaticamente poco risonante. Le persone sanno quello che gli viene detto e non possono essererimproverate per questo.

Nel corso degli anni hai scritto anche delle poesie. Rappresentano semplicemente un lato del tuo essere linguista o con la poesia cerchi qualcos’altro?

Le ho scritte in momenti non particolarmente favorevoli o belli, allora rappresentavano più che altro una forma di evasione. Ho sempre cercato la consolazione nella letteratura: in modo passivo attraverso la lettura o attivamente con la scrittura. Sono poesie molto personali, ma anche in esse c’è una sorta di ricerca linguistica, magari nel desiderio di voler usare parole poco note o cercando di sfruttare quelle potenzialità del linguaggio che nella quotidianità non trovano posto.

“Torneremo ancora” sul palco dello Sferisterio – Simone Cristicchi e Amara a Musicultura 2023

Introspezione e riflessione, analisi di se stessi e del mondo circostante, legami da costruire e desiderio di conoscere: questi i tratti distintivi di due cantautori profondi e autentici, le cui carriere si nutrono di molteplici esperienze e forme: musica, teatro, scrittura e non solo. Amara e Simone Cristicchi – il cui cammino musicale prende il via dal 2005, anno in cui è stato vincitore proprio di Musicultura– erano già stati ospiti a Recanati, durante la scorsa edizione del Festival.
“Ti sei mai guardato dentro? / Ti sei mai chiesto del tuo desiderio profondo? / La nostalgia che si nasconde dentro te, Che cosa ti abita?”: questi i tre interrogativi che avevano posto – attraverso il brano Le poche cose che contano- al pubblico del teatro Persiani, esortandolo a un’autoanalisi. Ora, il viaggio alla ricerca dell’essenza, e dell’essenziale, continua. Da più di un anno i due artisti sono impegnati in un progetto in cui ripercorrono, con assoluto rispetto, la biografia musicale di Franco Battiato, luce in grado di elevare gli animi e condurli alla libertà. Così, ospiti allo Sferisterio in occasione della serata conclusiva di Musicultura XXXIV, ci regalano un frammento di Torneremo ancora- Concerto mistico per Battiato. Prima di salire sul palco, ne hanno parlato in questa intervista alla redazione di “Sciuscià”.

Le poche cose che contano è uno dei primi brani che avete scritto insieme, nel periodo della pandemia. Parla della necessità di fermarsi e scavarsi dentro per capire quali sono davvero i propri punti saldi. In un mondo che tende sempre di più al superfluo, secondo voi come si arriva a comprendere cosa è realmente necessario?

A: Innanzitutto, è molto importante fare esercizio di silenzio. L’ascolto interiore ti spinge a porti delle domande insolite, profonde; ne conseguono risposte- o meglio, rivelazioni- che normalmente non puoi raggiungere.
Bisogna fermarsi e riconsiderare le cose care che ti stanno intorno, imparando a dargli il giusto valore; si parte dall’amor proprio, si continua con il rispetto delle persone a cui si vuole bene, la cura che gli si rivolge e il tempo che gli si dedica, stando attenti a non infilarle tra un impegno e l’altro, rendendole protagoniste del presente. Poi, fondamentale è trovare un senso di comunità e fratellanza: siamo tutti uguali, proveniamo dallo stesso canale e siamo tutti sulla terra. Si tratta di concetti semplici, che i bambini conoscono bene, dovremmo prendere esempio da loro.

Ricerca del necessario ma anche ricerca di equilibrio, di un “centro di gravità permanente”; proprio a Franco Battiato è dedicato Torneremo ancora- Concerto mistico per Battiato, con cui vi fate portavoce dei suoi messaggi spirituali. Dove nasce l’idea di questo progetto?

S.C: L’idea di questo progetto nasce dal grandissimo amore che nutriamo per Battiato: un sentimento che lui ha regalato a noi e che a nostra volta abbiamo la missione di portare avanti; si tratta di un artista che con le sue composizioni riusciva a riportare la musica al suo legame originario con il sacro. Le sue canzoni – in particolare quelle che abbiamo scelto per il nostro spettacolo- sono unite da questo specifico filo conduttore: la sacralità e il senso liturgico della musica, capace di elevare il nostro spirito a notevoli altitudini.

“Cittadini del mondo cercano una terra senza confini […] finché non saremo liberi, torneremo ancora”, queste le parole del brano di Battiato- l’ultimo che ha inciso- che dà il nome al vostro progetto. Per voi dov’è e cos’è la libertà?

A: La parola libertà contiene molte sfumature. Per quanto mi riguarda, credo che la casa della libertà sia la mente di ognuno di noi; la sua parte razionale costruisce dei muri che vanno necessariamente abbattuti, per sentirsi liberi. Il passo decisivo è capire di essere prigionieri in una galera che ha la porta aperta: una volta individuata l’uscita, bisogna percorrere quella via, così da trovare uno spazio di libertà reale. Dunque, noi stessi siamo l’unico ostacolo per una mancata libertà.

L’esibizione

Durante le vostre esibizioni, le canzoni si alternano a momenti di lettura. Qual è il legame tra studio, conoscenza, letteratura e musica?

S.C: Nel nostro caso, il legame è strettissimo: per fare questo concerto abbiamo studiato davvero tanto, ascoltato tutto il repertorio di Battiato e centinaia di interviste per estrapolarne frammenti della sua personalità, letto diversi libri dedicati a lui e libri scritti dai maestri che più l’hanno influenzato. Alla base di questa necessità di conoscenza, c’è la volontà di rievocare una persona che non c’è più ma che con i suoi messaggi, in realtà, è estremamente presente intorno a noi. La presenza di Battiato è una luce accesa che contribuisce a creare un legame tra la terra e il cielo; ai fini di questo risultato conoscere-lo studio, dunque-è fondamentale.

Per entrambi quello di Musicultura è un palco ormai familiare; avete trovato la giusta connessione, qui, con chi vi ascolta?

A: Trovare la giusta connessione è una questione di empatia, ogni palco ha un pubblico diverso con cui si crea un legame differente: questa è la bellezza. Per quanto riguarda Musicultura, particolare è l’attenzione, minuziosa, che caratterizza questo posto; attenzione al vero, alla corda che scricchiola, alla voce nuda. Tutto ciò rende l’atmosfera intima e raccolta.